Capitolo 8 - Sessione privata per valutazione

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«La ragazza dagli occhi di ghiaccio!»
La voce gracchiante proveniente dai megafoni invase l'enorme stanzone in cemento.

La grata metallica che bloccava l'unico accesso si sollevò e una giovane poco più che ventenne fece il suo ingresso.

I tre Strateghi la osservarono dall'alto della loro loggia: i ricci castani le ondeggiavano sulle spalle mentre con andatura fiera procedeva verso i numerosi espositori presenti nella sala. I suoi passi rimbombavano appena sul pavimento in linoleum, unico suono a turbare il silenzio che regnava nella palestra che fino al giorno prima era invece pervasa da chiacchiere, urla e versi concitati dei ventiquattro Tributi.

Non degnò gli Strateghi di uno sguardo e prese subito ad analizzare le armi a disposizione. Pressoché le stesse disponibili durante gli allenamenti, ma erano state tirate a lucido e riordinate per l'occasione: la temutissima "sessione privata per valutazione" in cui i Tributi, a uno a uno, dovevano mostrare ciò che sapevano fare.
Non aveva ben capito a cosa servisse quel test, mentre Haymitch spiegava i dettagli, lei come al solito era in disparte a farsi i fatti propri. Sapeva solo che le sessioni erano registrate e trasmesse in diretta sul principale canale TV di Panem, una sorta di presentazione al pubblico di tutti i partecipanti ai Giochi. Le loro prestazioni sarebbero state tra l'altro valutate da degli sponsor che avrebbero potuto aiutarli, una volta nell'Arena, mandando loro dei doni.
Gli altri Tributi dicevano che era anche per decidere quali partecipanti potessero essere dei validi prestavolto per delle campagne pubblicitarie. Vociferavano che Pappafava, quell'imbranato che aveva sempre mal di schiena, sarebbe sicuramente stato scelto come testimonial per una crema contro le emorroidi.

Con estremo disappunto, la ragazza si accorse che tra gli innumerevoli archi, spade, asce e coltelli, non c'era ciò che stava cercando. Eppure aveva chiesto duecento volte a quel Zombieland di permetterle di usare la propria arma.

Fece una smorfia di delusione. Era addirittura stato aggiunto un nuovo espositore con delle fruste delle più disparate forme e dimensioni: da quelle lunghe da cowboy, a quelle da fantino.
Si bloccò e dovette guardare un paio di volte per essere certa di ciò che c'era lì in mezzo: quelli parevano a tutti gli effetti degli strizzacapezzoli, con accanto una maschera in latex e alcune cinghie in cuoio piene di borchie.
A Panem dovevano avere delle peculiari tradizioni in fatto di combattimento, tra l'altro quei grossi manganelli neri e rosa sulla mensola accanto avevano delle forme alquanto bizzarre.

«Ma bada questa, non ci considera nemmeno!» una voce maschile dal marcato accento toscano attirò la sua attenzione.
Lei non rispose alla provocazione, finse di non aver sentito e continuò a muoversi tra gli espositori.
«Ohibò! Questa l'è cieca e pure sorda!»
Una sguaiata risata femminile seguì l'ennesima battutaccia dell'uomo.

La ragazza si lasciò sfuggire un lieve mugolio tra i denti stretti in un ghigno di disprezzo.
Inclinò appena il capo per riuscire a guardare con la coda dell'occhio in direzione della voce: sul balcone illuminato da luci rosate, a circa tre metri da terra, vi erano tre individui. Dovevano per forza essere quegli Strateghi di cui si parlava tanto.

L'uomo al centro era seduto su un trono cromato. Era lui il toscano, vestito in un elegante completo gessato in pendant con gli scuri capelli brizzolati.
Passava disinvolto la mano sinistra sul pelo del gatto nero che gli sedeva in grembo.
Gli occhi dorati del felino scrutavano con attenta superiorità la ragazza; tutto il contrario del padrone, che, tra una risata e una frase idiota, pareva molto più interessato al contenuto del calice che stringeva nella mano destra. Sorseggiava quel liquido aranciato con espressione estasiata, accompagnando ogni assaggio con un versetto di godimento.

Sulla destra c'era una donna vestita in modo quasi antico, con una lunga gonna rossa e una camicia bianca dalle voluminose maniche, coperta da una sorta di corpetto nero. Aveva tutta l'aria di essere un costume tipico delle terre alle pendici dell'Etna.
Anche lei era accomodata su un trono. I lunghi capelli scuri ondeggiavano mentre ribatteva, in un incomprensibile dialetto siciliano, alle stupide battute del collega e rideva senza ritegno, portando la mano alla bocca per evitare di sputacchiare il limoncello che stava sorseggiando.

At the Hunger Games (Parodia) - La ragazza dagli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora