Capitolo 4 - Tributi (Parte 1)

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Un suono acuto riecheggiò nella stanza.
La ragazza si rigirò nelle coperte e senza nemmeno aprire gli occhi mugugnò infastidita: «Ray, spegni quella cazzo di sveglia!»

Affondò il viso nel cuscino, stringendolo contro le orecchie.
Quel penetrante rumore non voleva cessare.

«Ray!» emise un grido soffocato dalle piume del guanciale.

Tutto inutile.

Sbuffò e sollevò la testa, «Ray, cazzo, non dirmi che sei chiuso in bagno a farti le segh-»
Mise a fuoco l'ambiente, rischiarato dal sole mattutino che filtrava dalla finestra.
Quella, decisamente, non era la sua stanza.

I neuroni annebbiati iniziarono a connettere e un enorme sorriso sornione le spuntò sulle labbra.

Individuò la fonte del trillo: il telefono di servizio sul comodino.
Rotolò nella sua direzione sull'enorme letto king-size, ma finì per avvolgersi al lenzuolo e rimase incastrata.
Tra i rantoli, strisciò in avanti il più possibile facendo forza sui gomiti, ma le coperte invece di cedere si strinsero ancor più al suo corpo, letali come un boa constrictor.
Allungò al massimo il braccio in uno slancio disperato e la mano raggiunse a stento il comodino.
Dopo diversi colpi a vuoto, riuscì con la punta delle dita a tirare a sé l'infernale apparecchio, facendo cessare il rumore.

Agguantò la cornetta e la avvicinò alla testa.
Non fece nemmeno in tempo a rispondere, che una fastidiosa voce registrata le gracchiò nell'orecchio: «Questa sveglia è gentilmente offerta dalla Suprema Presidentessa Giuls. Caro Tributo, troverai la colazione sul tavolo del tuo salottino. Ti avvisiamo inoltre che alle nove meno un quarto dovrai recarti fuori dalla porta della tua camera. Ad aspettarti ci sarà un addetto che ti accompagnerà, assieme ai tuoi avversari, presso la palestra, dove vi allenerete in vista della vostra valutazione da parte degli Strateghi che si terrà tra tre giorni.»

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Quando uscì dalla stanza, nel corridoio debolmente illuminato c'erano solo un paio di altri Tributi.

Una donna rigida e impostata era appoggiata alla parete, con le braccia incrociate e gli occhi chiusi. I capelli rossi a caschetto erano sorretti sulla fronte da una sorta di fascia in acciaio, che riluceva al bagliore giallognolo delle lampade. Indossava un'armatura in cuoio con placche metalliche su petto, spalle, avambracci e stinchi, in parte tinte di azzurro.
La ragazza non aveva mai visto un'uniforme simile, ignorava a quale Corpo d'armata o nazione potesse appartenere.

L'aveva già notata sul pullman: quella donna si era sempre prodigata di tenersi a distanza dagli altri, in silenzio e con un'espressione imperscrutabile stampata in viso. Le era bastata una sola occhiata al suo portamento fiero e allo sguardo risoluto, per capire che fosse una guerriera.
Era l'unica tra gli altri Tributi che a prima vista riteneva davvero pericolosa.

In effetti, anche il ragazzo alto lì vicino, con i capelli biondo cenere rasati ai lati, aveva l'aspetto di un combattente. Sul giacchetto beige in pelle spiccava un logo con due ali incrociate blu e bianche, come di un'armata, e sopra ai pantaloni candidi pendevano delle strane cinghie, che dovevano servire per forza a sostenere delle armi.
Stava imprecando a bassa voce, rimbalzando da un lato all'altro del corridoio mentre muoveva in modo convulso il cellulare in aria, accompagnato dal tacchettio degli stivali in cuoio alti fino al ginocchio, usurati come il resto degli indumenti.
Nel suo caotico zigzagare, nemmeno si rese conto di stare per urtare la ragazza.

Lei lo schivò con un rapido scatto laterale.
Mentre le sfilava accanto, lo sentì sussurrare tra sé con voce preoccupata: «Marco... Oh, Marco... Non avrei mai dovuto lasciarti lì da solo... E se la città fosse stata attaccata dai Giganti? Marco... perdonami, non dovevo andarmene-»

At the Hunger Games (Parodia) - La ragazza dagli occhi di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora