走吧

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Ombre scure si aggiravano per la silenziosa stanza dall'albergo,  proiettate dalla luce della luna.

Disegnavano stilizzati arabeschi sul pavimento rosso della camera, figure misteriose e danzanti.

Il vento soffiava impetuoso,  sibilando e agitando le foglie degli alberi, i cui rami danzavano sulle note di quella tetra melodia.

Goccie di pioggia colpivano incessantemente la finestra, come tamburi suonati dal vento.

Fui cullata dal tenebroso incalzare della composizione, che corrispondeva ad un peggioramento delle condizioni atmosferiche.

Fui risvegliata da una nota stonata, un suono sordo che proveniva da lontano, seguito da un lampo di luce che squarciò il cielo nero, senza stelle.

La strada era deserta, nessun anima coraggiosa si aggirava per il centro, le saracinesche dei negozi erano abbassate, le luci spente.

Un secondo tuono mi fece trasalire, senti la scarica elettrica corrermi lungo la schiena, per poi risalire fino alla nuca.

Il mio respiro si condensò sulla finestra fredda, offuscando la visuale.

Non dormii molto,  quella notte.

Semplicemente tornai a letto e aspettai le prime luci dell'alba.

Il cinguettio degli uccelli fu il segnale del cessate il fuoco, la tempesta si era placata, e la routine quotidiana riprese a scorrere tranquillamente.

Cercai tentoni il cellulare sul piumone, e dopo averlo trovato digitai velocemente un messaggio ad uno dei miei coinquilini,  chiedendogli di portarmi il resto dei bagagli.

Nel frattempo, mi recai in bagno per lavare via la stanchezza della notte insonne.

Aprii il rubinetto della doccia e lasciai che l'acqua scorresse per qualche minuto, generando una gran quantità di vapore che riempì la stanza.

Rimasi a lungo sotto il getto caldo, con il volto rivolto verso l'alto, sperando che l'acqua lavasse via i timori per il viaggio che stavo per intraprendere.

Racchiusi i lunghi capelli neri in una treccia che lasciai cadere morbida sulla spalla destra, mi aggirai per la stanza, coperta da un semplice asciugamano bianco, alla ricerca della borsa.

Non so che casino avesse fatto la forza di gravità,quella notte,  ma ritrovai la borsa solo dopo un'ora,  gettata sotto il letto.

Mi vestii rapidamente,  infilai le vans nere senza calzini e la giacca nera.

Applicai un velo di fondotinta sulla mia pelle bianca, quasi trasparente, puntellata di lentiggini qua e là.

Mascara e eyeliner per gli occhi, e ravvivai il rosso delle mie labbra piene.

Aprii la finestra che immetteva sul balcone, ed una folata di vento mi investì in pieno.

Rabbrividii all'istante,  sentivo la carne bruciare e gli occhi lacrimare a causa del feddro, ma non mi mossi.

Restai lì per un tempo indeterminato, mi piaceva ricordare a me stessa che io, in quel momento,  ero viva.

Ero parte integrante di un sistema più grande di me, ma anche io ero importante.

Fui richiamata alla realtà dalla vibrazione del mio cellulare.

"Sono qui sotto, vieni a prendere le valigie"

recitava il messaggio di Louis, mio coinquilino.

Scesi rapidamente le scale, uscii dalla porta principale e grazie all'auito di un portantino portai le valigie in camera.

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