海洋

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La notte cambia tutto.
Al calar delle tenebre la vita si transforma, tutte le certezze, le intenzioni e i desideri, che apparivano limpidi e candidi alla luce del sole, si macchiano del nero della notte, avvolti dell'oscurità.
La notte cambia gli umori, i sentimenti, ci permette di riscoprire il nostro essere più intimo, deboli e vulnerabili, a volte, o coraggiosi e superbi, altre.
La notte è il tempo della solitudine e dei pensieri che ti affollano la mente, come uno sciame di api il cui ronzio non ti abbandona mai, negandoti la pace e la tranquillità.
È il tempo delle lacrime silenziose che ti bagnano il cuscino, dei silenzi e delle paure.
Perché di notte sei solo, e se sei solo hai paura, paura del buio e dei pensieri nascosti lì, sotto il tuo letto, in attesa.
Ed io la notte la temevo, la temevo perché con me la vita era stata bastarda e il buio mi metteva una paura fottuta.
Perché il sonno non era un sollievo ma il mio peggior nemico, sprofondando nell'oblio più assoluto e nei ricordi più treti.
Eppure le appartenevo, era parte integrante del mio io più nascosto, ero la notte e ed ero proprietà dell'oscurità.
Quella sera , però, non avevo paura, perché se si è in due nessun timore è troppo grande, se si è in due nessun peso è insopportabile e nessun muro è tanto forte da non poter essere abbattuto.
Nessun pensiero per quella notte, nessuna preoccupazione e nessun mostro sotto il letto, solo due giovani cuori che si muovevano svelti nell'oscurità più totale.

La piccola banchina in legno oscillava leggermente, mossa dalle onde calme del mare nero.
Uno scricchiolio improvviso mi fece rabbrividire, ma ripresi a camminare sul piccolo percorso, rassicurata dalla mano calda di Ignazio.
Le nostre dita intrecciate ci tenevano uniti mentre raggiungevamo la piccola imbarcazione , ormeggiata sulla destra ed illuminata da una miriade di lucine dorate e luminose.
Le vele erano entrambe spiegate, gli alti alberi si ergevano contro il buio della notte, sfidando la forza di gravità.
Karma on the road, riuscii a leggere sulla poppa, serrando leggermente gli occhi per mettere a fuoco la piccola scritta.

L'odore di salsedine mi bruciava forte nelle narici, aspirai a pieni polmoni l'aria fredda e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dal movimento ondulatorio della piccola imbarcazione a vela, cullata dalle dolci onde del mare.
-sai goveranare una barca?- chiesi avvicinandomi ad Ignazio, che armeggiava con il timone.
Nessuna risposta, continuava ad armeggiare con l'imponente ruota, per poi spostare l'attenzione sulle diverse leve e pulsanti.
-forse dovremmo restare in porto- disse lui, leggermente dispiaciuto.
Corsi con lo sguardo lungo il suo braccio possente, passai in rassegna ogni minimo centimetro della sua pelle nuda, soffermandomi sulle labbra piene, il profilo perfetto e le sopracciglia corrugate, nel tentativo di comprendere la funzione delle diverse spie luminose.
-Lascia stare- dissi, spingendolo delicatamente di lato, e curvandomi sui diversi comandi.
Avevo praticato vela per un paio di anni in Italia, poco prima di partire per la cina, e fortunatamente governare una barca a vela di quelle dimensioni non era un problema.
-andiamo a vela?- chiese con voce roca.
-dobbiamo uscire dal porto a motore-

Ero all'interno della piccola cabina, le mani salde sul timone e gli occhi attenti e vispi.
Osservavo l'immensa distesa nera della quale era impossibile individuare una fine, ero al timone di un vascello fantasma diretto sull'isola dell'eternità, sulla quale giaceva inerme il tempo, sconfitto da due giovani amanti.
Le leggera imbarcazione scivolava leggera sull'acqua scura, il suono delle onde che si infrangeva contro lo scafo mi riempiva i sensi, le stelle apparivano più numerose, la loro luce più forte.
Alzai lo sguardo e mi persi nell'immensità dell'universo, sentivo di aver perso il contatto con il suolo e di essere attirata verso quello spazio infinito.
Fu la mano calda di Ignazio sul mio fianco a riportarmi con i piedi per terra.
-siamo fuori, puoi spegnere- disse, ed annui leggermente.
Uscii dalla piccola cabina e presi posto accanto al timone, posizionato sulla poppa.
L'oscurità più totale ci avvolgeva, la luce delle stelle lottava contro l'oblio.
-adesso, devi fare tutto ciò che ti dirò- dissi.
-va bene, prima però...- disse, e si fermò un attimo, guardandosi attorno.
Estrasse dalla tasca dei jeans una piccola cartina, indicandomi la nostra meta.
-ci sai arrivare?- chiese.
-non è un problema- risposi io.
-Un'ultima cosa- aggiunse frettolosamente.
Spostai la mia attenzione dall'immensa distesa di acqua a lui, corrugando le sopracciglia.
-Ti ho baciata in aereo, in teatro, in una camera d'albergo...mai sull'Oceano- disse malizioso, e poggiò le sue labbra sulle mie.
Il freddo della notte si tramutò in caldo e afa, il suo tocco mi provocò la pelle d'oca.
-va bene, ora levati dai piedi- dissi sorridendo.
Si sedette sulla panchina in legno sul lato destro della barca, distese le gambe, portò le braccia dietro la testa e si lasciò cullare dal movimento dolce dell'imbarcazione.
Era tutto tranquillo, il vento soffiava debole e non era un problema riuscire a controllare la vela da sola, il manico del timone in una mano, mentre l'altra stringeva saldamente la cima del Fiocco.
-ora viro, giù la testa- annunciai.
Il silenzio era nostro compagno.
Non ci dispiaceva, anzi, era quanto di più dolce potesse esistere.
Solo la voce del mare e il battito dei nostri cuori, come sfondo, la luce delle stelle.
La luce fioca di un faro in lontanza segnalava un piccolo porticciolo, e diressi la barca in quella direzione.
Attraccare non fu un gran problema, sebbene Ignazio non avesse gran voglia di lavorare.
-dai, dammi la mano- mi disse, porgendomi la sua.
Nel frattempo lui era già sceso, le gambe leggermente divaricate per avere maggiore stabilità sulla banchina instabile.
Salii sul bordo dell'imbarcazione, leggermente timorosa e indecisa sul da farsi, il piccolo pontile in legno non sembrava granché stabile, e saltare dal bordo sul legno cigolante era fuori discussione.
Ignazio sembrò leggere la preoccupazione nei miei occhi scuri, così si avvicinò e mi prese saldamente i fianchi, mentre io poggiavo le mie mani sulle sue spalle possenti.
Sentii i suoi muscoli contrarsi e lavorare insieme non appena mi sollevò di peso, per poi abbassarmi lentamente.
-Grazie- sussurrai, lasciandogli un bacio umido proprio sull'angolo della bocca.

La sua figura alta torreggiava su di me, i suoi occhi scuri brillavano maliziosi nell'oscurità circostante, si avvicinò con prepotenza, cosicché indietreggiai leggermente.
Un passo falso oltre la banchina troppo breve e per poco non caddi in acqua, se solo le sue mani non mi avessero afferrato tempestivamente i fianchi.
-E questa è la seconda volta che ti salvo la vita- ridacchiò, tirandomi a sé.
Lo disse in tono scherzoso, più una provocazione che una vera e propria affermazione.
Eppure, mai come quella volta, ero d'accordo con lui.
Lui l'aveva fatto davvero, mi aveva salvata da me stessa e dalla corazza che io stesso mi ero costruita, e che ora mi opprimeva soffocandomi.
Lasciò un bacio sulla mia fronte, solleticandomi il volto con i suoi ricci scuri.
Rimasi sorpresa del suo gesto tenero, completamente in antitesi alla malizia che debordava dai suoi occhi.
-Ti fidi di me?- la sua voce suonò sommessa e roca nell'aria fredda dell notte, carica di elettricità ed eccitazione.
-si-
-Allora vieni con me- disse, prendendomi per mano.
Le nostre dita si intrecciarono all'istante, come se si fossero cercate a lungo e fossero state riunite dopo un tempo infinito.

Il piccolo villaggio sembrava come stregato, vittima di un maleficio che aveva fatto sprofondare i suoi abitanti nel sonno più profondo ed eterno.
Percorremmo le piccole stradine illuminate dalla luce soffusa di qualche lampione sparso qua e là.
Osservavo le abitazioni, le saracinesche serrate e le automobili parcheggiate ai lati delle strade, era come se il tempo si fosse fermato e tutto fosse rimasto immobile, destinato a tacere per l'eternità.
Imboccammo un piccolo sentiero che si snodava lungo il fianco di un piccolo promontorio, addentrandoci nella fitta vegetazione.
Strinsi più forte la sua mano, non appena fummo completamente avvolti dell'oscurità circostante.
-non aver paura- mi rassicurò, voltandosi verso di me.
Non ero sicura di dove stessimo andando e nemmeno delle reali intenzioni di Ignazio, e per la seconda volta nella mia vita lasciai che la mia parte razionale fosse del tuo soffocata dalla mia codardia e paura, solo che la prima volta il risultato era stato disastroso.
Non avevo avuto il coraggio delle mie azioni, avrei dovuto dire semplicemente "basta" e lei ora sarebbe con me, e invece non l'avevo fatto.
Avevo lasciato correre e avevo guardato la mia amica morire, e ora stavo rivivendo le stesse identiche emozioni.
Sentivo il bisogno di urlare, di scappare e di dire "no" , ma ciò che provavo per lui andava oltre ogni logica, ogni spiegazione razionale.
Andrà tutto bene.
Sentivo una paura del tutti irrazionale ribollormi dentro, e ben presto sarebbe risalita in superficie, esplodendo.
Sei un codarda, cazzo.
Mi guardai attorno, la vegetazione cominciava a farsi più rada, intravidi una piccola radura e una casa tradizionale cinese, situata su un alto strapiombo che cadeva a picco sul mare.
Rimasi leggermente intimorita, era l'ultima cosa che mi aspettavo di trovare, e a quel punto la voglia di scappare aveva toccato un picco storico.
-stai tranquilla- mi ammonì, ma la sua voce suonò così dura che ebbe il risultato opposto.
Percorremmo il piccolo prato verde e giungemmo davanti l'abitazione, salimmo i piccoli gradini in legno, che cigolarono sotto il nostro peso.
Ignazio si guardò intorno, prima di estrarre una chiave dai jeans, aprendo la porta e facendola scorrere di lato.
-Prego- disse sorridente, spostandosi di lato per liberarmi l'accesso.
Varcai titubante la soglia, la grande camera che si apriva davanti ai miei occhi rivelò un arredamento moderno, stridente con l'aspetto esterno della casa, tradizionale.
Un grande camino illuminava l'ambiente, il fuoco scoppiettante crepitava e riscaldava l'aria, un tappeto , un tavolino, e un grande divano era posizionati davanti al fuoco, mentre una grande portafinestra celava al mondo l'interno dell'abitazione, coperta da una lunga tenda.
Le pareti erano tinte di crema, intenso e caldo, mentre il pavimento in legno scuro rendeva l'ambiente più rustico.
Sul lato opposto della sala, un grande bacone centrale in legno occupava gran parte dello spazio, una gran varietà di alcolici erano posionati ordinatamente su delle alte mensole, mente degli sgabelli, dalle sedute in velluto erano posionati davanti al bancone.
Un grande televisore era sulla parete, poco lontano dalla porta, davanti al bancone.
La mia attenzione fu richiamata da una piccola scala a chiocciola che doveva condurre al piano superiore, probabilmente completamente adibita a zona notte.
-prendi qualcosa?- disse entrando dietro al bancone.
- Gin&Tonic-
-arriva subito- sorrise.
Presi il drink e mi accomodai sul divano in tessuto rosso, piuttosto comodo.
-Finalmente- sussurrò al mio orecchio Ignazio, e sobbalzai leggermente, non avendo percepito il suo avvicinamento.
Sentii il suo respiro caldo sul mio collo e deglutii a fatica.
-finalmente cosa? - chiesi dubbiosa.
-finalmente non puoi scappare-


Salve gente,
premettendo che il capitolo mi fa schifo dalla prima parola all'ultima, vi chiedo scusa se ci ho messo tanto, ma ultimanente la fantasia non è dalla mia parte e quindi ho scritto anche contro voglia, ma sentivo il dovere di aggiornare, sebbene sia stata tentata di mandare tutto a puttane.
Siate clementi,  besos

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