Cap 10

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Mi guardava esterrefatto, mentre percepivo nitidamente la sua rabbia risalire velocemente tutti i gradini della scala. Sollevai una mano di fronte a lui, proprio con l'intento di bloccare la sua esplosione di collera e potermi spiegare.

"Aspetta! Ho solo detto che voglio andare a casa mia, non intendevo dire che voglio rimanerci... non da sola almeno..."

Lentamente, le sue spalle si rilassarono, nel momento in cui realizzò che avrei gradito la sua presenza.

"Allora spiega, perché devi tornarci?" mi chiese, con l'ombra di un sorriso a sollevare un lato delle sue labbra. C'era un pensiero sul suo volto, un'idea che gli piaceva molto, che lo faceva sorridere, ma non riuscii a leggerla.

"Ho bisogno di prendere le mie cose, i miei vestiti, i miei effetti personali..." non volli approfondire quali, ma stavo pensando espressamente alla sua pistola nel cassetto della mia credenza: qualcosa mi induceva a credere che presto mi sarebbe tornata utile.

Mi ero allontanata un po' da lui, perché stavo cercando di rimanere lucida e fare un piano, che potesse in qualche modo far contenta me e far stare tranquillo lui. Che ironia la vita! Avevo passato gli ultimi mesi cercando con tutte le mie forze di nascondermi, di rintanarmi in posti che mi facessero sentire al sicuro e in pochi giorni, quando la paura era diventata la mia seconda pelle, sentivo la necessità di tranquillizzare la mia guardia del corpo, invece che me stessa.

"Si, naturalmente." rispose, avendo realizzato, forse, che non aveva preso in considerazione quell'aspetto fino a quel momento. "Però... poi torniamo qui e resti qui! E domani dai le dimissioni..." cercai di controbattere, ma mi bloccò: "No Jewel, non sei al sicuro nei campi, non ora che ti hanno localizzato. Se vuoi lavorare, troverò io qualcosa per te, ma non così allo scoperto."

Fece una pausa per analizzare la mia reazione e quando si rese conto che non ero ancora convinta, insistette: "Per favore..."

Lo disse in un tono così dolce che non potei trattenere un sorriso: "E va bene!" concessi "Ma sei sempre così testardo?"

La sua espressione divenne in un istante rilassata, ma con un pizzico di ironia, che trasbordò sorprendentemente nella sfacciataggine: "Soprattutto con le femmine che insistono a dirmi di no!"

Lo disse con un tono caldo e roco, che mi fece salire un brivido bollente sulla schiena, fino alle guance. Mi fissò per un lungo istante, come alla ricerca di qualcosa e si staccò da me solo quando sembrò soddisfatto.

"Andiamo subito, è più sicuro" ordinò d'improvviso, dirigendosi verso il portone. Mi guardai intorno, cercando di capire se avessi dovuto prendere niente con me, ma un pensiero delizioso mi attraversò la mente: ero con lui, non avevo bisogno di nient'altro.

Salii sul caccia solare colma di quell'idea e solo una volta seduta, mi ricordai di aver dimenticato un particolare importante: "Buongiorno T21" dissi a voce alta.

"Buongiorno Jewel, benvenuta a bordo"

Iliakòs mi guardava con una luce brillante negli occhi, come se fosse stato piacevolmente colpito da quel mio piccolo gesto. Ero consapevole che T21 era solo un computer, ma era così umanizzato che faticavo a considerarlo tale, esattamente come Smir't.

Ci sollevammo con leggerezza e il volo fu piacevolmente rilassante, senza che avvertissi la nausea. Quando intravidi Giant City, venni presa da un'inspiegabile frenesia, che mi faceva pesare ogni secondo che mi separava da casa. Riconobbi la zona centrale, con le alte torri di roccia dei palazzi dell'amministrazione Ryut: enormi guie rocciose, interconnesse da ponti sospesi o con colonne altissime asorreggere stupefacenti archi a più di trenta metri da terra. Il loro caratteristico colore grigio, spezzato di continuo dal verde dei giardini pensili, spiccava al centro della città, come il marchio della nuova civiltà. Era nel loro stile, non nel nostro, ma bisognava riconoscere che era elegante e signorile, sinuoso e possente, come loro.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora