Cap 37

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Era troppo. Sentivo che la mia mente stava, con amara e sfacciata dolcezza, scivolando nel buio della disperazione; tutti i miei punti di riferimento erano caduti, non avevo più pilastri su cui appoggiarmi; ero senza più lacrime, senza urla, senza più battiti di dolore; tutto ciò che avevo amato in quella breve misera vita mi era stato strappato con lame e fruste, scarnificato via con la forza dalla mia essenza.

Non mi ero accorta di aver iniziato a tremare, non fino al momento in cui Bahkkat non si piegò su di me, mi costrinse ad aprire le braccia e a lasciare a terra il corpo esangue di mio padre; mi sollevò con delicatezza con le sue braccia da guerriero Ryut e mi strinse forte a sé. Non era un abbraccio caldo, non ci fu dolcezza, mentre costringeva la mia fronte, o meglio il mio casco, a poggiarsi sul suo torace avvolto nel giubbetto da soldato; non ci furono parole di consolazione a rincuorarmi, ma riuscì comunque ad impedire alla mia mente di naufragare. Mi aggrappai, con le poche forze che mi erano rimaste sulle dita, alla sua divisa e urlai tutta la mia angoscia, appannando la visiera. Non mi lasciò andare, mi tenne stretta a sé, mentre intorno a noi i medici si muovevano veloci, i soldati sollevavano altri corpi, le parole scorrevano su fili che io non riconoscevo più. Dal petto di quel guerriero usciva un suono gutturale, profondo come l'oceano e caldo come il sole: "Bambina... bambina..." mi consolava, senza davvero darmi un motivo per non soffrire, massaggiandomi lentamente la schiena con le sue mani grandi.

Quando le mie corde vocali furono stremate e il dolore smise di fare rumore, tutti i suoni intorno a noi mi assalirono all'improvviso e mi riportarono di fronte alla cruda realtà. Sollevai lentamente la testa e trovai gli occhi di Bahkkat fissi nei miei.

"Meglio?" mi chiese con la sua voce profonda. Avrei voluto chiudere gli occhi e dormire per tutto il tempo che mi rimaneva da vivere, ma il suo ghigno mi fece capire che non me lo potevo permettere: "Dobbiamo pensare ai vivi, adesso." mi spronò, "Occuparci di chi sta soffrendo, perché ha lottato contro la morte, per non essere portato via da noi. Guarda!" mi indicò con un cenno della testa.

Stremata, seguii il suo sguardo e vidi il corpo di mia madre a terra, mentre un medico le metteva la mascherina dell'ossigeno e le tamponava una profonda ferita tra le gambe nude. Un brivido violento mi fece battere i denti, ma riuscii comunque a chiedere: "E' viva?". Il soldato si voltò verso di me, il viso serio e concentrato, ma prontamente rispose: "Se la caverà, ci vorrà tempo, ma non è in pericolo di vita"

Lentamente mi strecciai dalle braccia di Bahkkat e, pur non avendo più forze, rimasi in piedi per domandargli: "E' stata torturata anche lei?" Il medico guardò con aria interrogativa Bahkkat, che negò impercettibilmente con la testa, ma io lo vidi e decisi di insistere: "Cosa? Che cosa le hanno fatto?" Posarono mia madre incosciente sulla barella, il dottore si voltò e ritornò al suo lavoro senza rispondermi.

"Bahkkat, che cosa le hanno fatto?" urlai allora alla mia guardia del corpo, che mi guardò tristemente, ma continuò a negare: "Non ora, principessa, ne riparleremo... Adesso andiamo a casa." Abbassai sfinita lo sguardo sui miei piedi, considerando che forse aveva ragione lui, non ero in grado di sopportare altro strazio.

Lentamente, ancorata al braccio di Bahkkat per sostenermi, mi avviai dietro la barella di mia madre, verso il primo blocco di soccorso, verso i giorni di ospedale che avrei passato in attesa che tutto tornasse alla normalità, anche se di normale non ci sarebbe stato più nulla.

"Jewel? Jewel, per favore..." sentii sbraitare poco lontano da me "No, io devo parlare con lei!" supplicò qualcuno, il cui tono urgente mi costrinse ad alzare lo sguardo. Un segnalato strattonava due Ryut, perché lo lasciassero venire da me, ma le mie guardie del corpo glielo stavano impedendo.

"Lasciatelo!" ordinai con decisione, non capendo il loro atteggiamento. Mi ubbidirono all'unisono e il ragazzo cadde in ginocchio di fronte a me. Nel suo volto trovai qualcosa di familiare.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora