Cap 1

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Anche le montagne erano diverse: non che io me le ricordassi com'erano prima, ma confrontandole con le vecchie foto, davano un'impressione più verde, meno rocciosa.

Tutto il pianeta era cambiato in centocinquanta anni. Se lo guardavo con gli occhi della Natura, si poteva dire che era migliorato; tutti i danni fatti dall'uomo si stavano riassorbendo... grazie a loro e al loro stile di vita così salutistico.

Sbuffai contro me stessa: dovevo essere proprio stanca se quella sera riuscivo a trovare qualcosa per cui ringraziarli!

Sorrisi tra me e me, staccai lo sguardo dal panorama e proseguii a testa bassa per la strada in discesa che mi avrebbe condotto al mio bilocale.

Mia nonna mi raccontava che la sua di nonna era sul punto di laurearsi, quando iniziarono a diffondersi le prime notizie su di loro. C'erano scuole libere per tutti e si poteva scegliere qualsivoglia lavoro, anche diventare medico, bastava frequentare i corsi giusti. A me avevano insegnato a scrivere il mio nome e poi via a lavorare nei campi! Chissà se sarei potuta essere abbastanza intelligente da diventare almeno insegnante. Dopotutto, la scrittura ero riuscita ad impararla da sola, seguendo le lettere di vecchi libri.

Il sole stava tramontando e accellerai il passo per non dovermi ritrovare in strada dopo il crepuscolo. Mi tornò subito in mente il volto tumefatto di un ragazzo, che le guardie avevano sorpreso lungo il marciapiede sotto le mie finestre, qualche settimana prima. Insieme al rumore nauseabondo delle ossa che si sbriciolavano sotto i colpi delle loro armi, nelle orecchie risentii le loro urla stridule piene di odio.

La mia bocca si arricciò dal disgusto, mentre i miei piedi iniziarono a correre sulla terra battuta. Era compatta e umida, come un sentiero nella foresta. Nulla a che vedere con quelle splendide strisce nere, precise e lisce che erano le strade asfaltate di un tempo! In un video, quando ero piccola e vivevo ancora a casa con la mia famiglia, mio padre mi mostrò il volto delle antiche città: avevano splendidi palazzi di vetro e viali dritti e lucidi per la pioggia. Non riuscii neanche a riconoscere il mio mondo e gli chiesi ingenuamente che pianeta fosse. Doveva essere bello vivere lì, sembrava come se tutto fosse splendente e pulito; le persone che apparivano sul filmato avevano un'aria felice, circondate dalle persone che amavano, in case calde e confortevoli.

Accellerai, mentre il cielo si tingeva di rosso fuoco.

Mi fermai solo pochi minuti al negozio di Chan, all'inizio del viale alberato dove abitavo.

"Che hai stasera di buono, Chan?" Chiesi con poca speranza.

Da quando c'erano loro, le coltivazioni erano monopolizzate e ogni giorno veniva permessa la distribuzione di soli quattro prodotti alimentari. Per la salvaguardia delle risorse del pianeta, era la loro giustificazione, come se fossimo così stupidi da non capire che invece la maggior parte della produzione andava sulle loro tavole eleganti, nei loro palazzi di roccia.

"Ti ho tenuto due uova e... questo!" Tirò fuori da dietro il bancone un fagotto incartato con la carta acetata. Prima di aprirlo davanti a me, si guardò furtivo intorno. Mi avvicinai ancora di più a lui, più per fargli da schermo che per vera curiosità. Dalla carta uscì un pezzo di carne bianca e rosa, così grande che mi preoccupai:

"Non posso pagarti per quello!" sottolineai delusa.

Due occhietti piccoli e neri mi fissarono con un misto tra la pietà e la simpatia.

"Dammi ciò che puoi, il resto domani" fu la sua proposta.

Il signor Chan era un ometto alto quanto me, decisamente fuori forma e con una testa così rotonda che ci si sarebbe potuto giocare a palla. Da quando vivevo in quella città, era sempre stato gentile con me, così tanto che mi ero convinta che lo facesse perché gli facevo pensare alla figlia.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora