Cap 14

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Avevo ancora tante domande che mi affollavano la testa: che cosa sapevano i miei genitori che non mi avevano voluto dire? Perché di sicuro conoscevano la leggenda, eppure mi avevano dato lo stesso il mio nome, condannandomi a una vita in continua fuga. Vivere senza radici, guardarsi sempre le spalle, non fidarsi mai di nessuno.

Il dott. Nichols aveva insinuato che non era stata una scelta, ma che non avevano potuto fare altrimenti, come se io trasportassi davvero dentro di me il mistero capace di cambiare il futuro del mio pianeta.

Perché tutte quelle domande sull'amore delle mie antenate per la scienza? In realtà, io non avevo mai chiesto né a mia madre, né a mia nonna nulla di particolare sul loro lavoro. Mi meravigliava soltanto che avessero potuto avanzare così tanto negli studi, quando a me non veniva concesso altro che saper scrivere il mio nome...

Perché distruggere il mio futuro con un nome?

Già, tutto girava intorno a quella scelta, così inspiegabile da lasciarmi l'amaro in bocca. Ero certa che la mia famiglia non avrebbe mai voluto mettermi in pericolo, quindi doveva esserci per forza un'altra spiegazione, ma in quel momento non riuscivo ad essere lucida a sufficienza per scoprirlo.

Sarebbe stato utile poter rivedere mia madre, magari solo un momento e domandarle di persona. Il problema però era che non mi era permesso avvicinarmi di nuovo ai miei familiari, a causa delle leggi Ryut.

Spostai involontariamente lo sguardo su Iliakòs, lì silenzioso ai comandi di T21. Era il figlio dell'imperatore...

Avevo fantasticato mille volte su quel giovane tenente, mi era sembrato strano che fosse già così in alto nella carriera militare, ma mai avrei immaginato che fosse un membro della famiglia reale. Non che per me facesse differenza... o forse per alcune cose sì: avrei potuto chiedere servilmente, tramite lui, un permesso speciale per rivedere la mia famiglia, esclusivamente per avere maggiori informazioni sulla mia storia e il mio destino. Era una scusa plausibile, avrebbero quasi sicuramente acconsentito. Non ero certa però che Iliakòs avrebbe accettato che mi servissi di lui per i miei scopi: troppo ligio al dovere, troppo soldato...

Lo studiai con la coda dell'occhio, mentre il rumore tenue dei motori della navicella facevano da sottofondo al nostro silenzio. Nei suoi confronti non avevo certezze: non capivo perché mi piaceva averlo vicino, a tal punto che ne sentivo disperatamente la mancanza, cosa che non mi era mai capitata neanche con i miei simili; non ero certa di trovarlo attraente, ma non scatenava in me il solito disgusto che provavo di fronte ai Ryut; incomprensibilmente poi, stava davvero guadagnandosi la mia fiducia e il mio rispetto.

Eravamo amici adesso? Non avrei saputo dirlo. Magari ero solo un bagaglio prezioso che gli era stato ordinato di tenere al sicuro. Una missione importante per il futuro del pianeta, null'altro.

Eppure, nei suoi occhi gialli mi perdevo ogni volta, dimenticandomi delle mie disgrazie... Da parte mia, non lo consideravo più solo una guardia del corpo, ma che cosa eravamo rimaneva per me un mistero, molto più interessante da sondare che quello del mio nome.

Seduto alla console, guidava la navicella con lo sguardo perso nell'orizzonte. Accigliato, come se i suoi pensieri seguissero altre rotte.

"A cosa pensi?" mi sfuggì dalle labbra, in un sussurro mesto, che per un attimo ebbi paura che non mi avesse sentito.

Si voltò di scatto verso di me, come appena riportato alla realtà dai suoi voli pindarici: l'espressione smarrita e talmente seria da preoccuparmi.

"Niente di buono, vista la tua faccia..." cercai di sdrammatizzare la mia paura, oramai sempre in agguato.

La navicella fece una ampia virata verso destra, mentre saliva di quota. Vidi la sagoma scura e ingombrante delle montagne e le luci di Regis City alla nostra sinistra, oramai lontane; poi, inspiegabilmente, l'oceano davanti a noi.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora