Cap 23

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Mio padre era un uomo robusto, molto alto, amante delle piante, soprattutto delle verdure. Per questo ricordarlo piegato con un piccolo rastrello in mano, mentre toglieva le erbacce nel nostro florido orto, mi risultava molto facile. Un giorno però lo trovai in ginocchio, intento a prendere a picconate un buco nel terreno. Era un ricordo lontano, ma nitido, dovevo aver avuto al massimo cinque anni.

"Che fai papà?" andai subito a curiosare.

"Sto cercando di catturare un animale!" mi rispose visibilmente alterato, mentre la sua mano calava con forza sul terreno bruno.

"Che animale?" insistetti, capace di immaginare solo le formiche brave a spuntare dal terreno.

"Un lurido tasso infido!" sentenziò con rabbia "Sta mangiando tutte le nostre carote! Come se fosse facile trovare semi di carota in negozio!" urlò contro il buco, il pugno alzato. "Ma lo stanerò e me lo mangerò per cena!" promise, ma la presi più come una minaccia.

"Vuoi dire che abita lì sotto, al buio? E come fa a respirare?" volli sapere, sentendo già il respiro rallentare al pensiero di trovarmi sotto terra a quel modo.

"E' cieco e non gli piace il sole. Per l'aria è semplice: crea gallerie che hanno un inizio, uguale a questo buco, e una fine, che ritorna sempre in superficie, così l'aria entra nei cunicoli e poi riesce da un altro buco, creando perfino un leggero venticello fresco. E' fisica, amore mio." si fermò un istante a spiegarmi, forse rendondosi conto anche lui che la sua fatica sarebbe stata vana. "Se vuoi saperne di più chiedi a tua nonna, la scienziata di casa, anzi, va a chiederle se ha suggerimenti da darmi per come liberarmi da questo sporco ladro!"

"Prova a riempire le gallerie d'acqua, così sarà costretto a traslocare!" rispose una voce calda alle nostre spalle. Ci voltammo all'unisono e trovammo la nonna in piedi, vicino alla recinzione dell'orto, con i suoi pantaloni cachi e la t-shirt verde, sopra cui era solita aggiungere solo il camice da chirurgo. Era una signora piccola, con un bellissimo viso tondo, illuminato da occhi nocciola scuro, di solito accesi in qualche profondo pensiero. Eppure, nonostante con il suo lavoro avesse dimostrato al mondo che anche un umano può salvare la vita di un Ryut, continuava a rimanere semplice e allegra, come se la potenza delle sue mani non la riguardasse.

"Vieni Jewel, prima che tuo padre affoghi il tasso, vediamo se riesco a trovarne un'immagine negli archivi digitali!" mi fece cenno di andare da lei.

Prima di allontanarmi, tornai con lo sguardo a quel buco nella terra e provai un brivido di ribrezzo a pensare alla vita sotterranea di quel piccolo animale. Non avrei mai immaginato a quel tempo che un giorno, nella mia miserabile vita, sarei diventata un tasso. Questo invece pensai, quando vidi l'immenso portone in acciaio che sigillava il centro di sicurezza Ryut. Capii che ci saremmo inoltrati sotto una di quelle colline di calcare che avevo visto atterrando e i miei piedi si fermarono. Mi sentii paralizzare dal disgusto e da un senso di vero e proprio soffocamento. Solo l'ingresso poteva essere ampio quindici metri e scivolava lentamente in una rampa di cemento armato lunga almeno venti metri. Quello che però mi stupiva era l'altezza del portone, di circa dieci metri, che faceva presupporre che anche gli ambienti all'interno fossero così alti. Ero comunque cincondata da roccia bianca di calcare e non mi importava quanto grandi potessero essere gli ambienti, io non sarei entrata sottoterra.

"Jewel, vieni?" mi chiese Lir't. "Perché ti sei fermata?" mi guardò senza capire.

"Io lì non ci vengo!" sentenziai.

"Guarda che non è come pensi..." mi si avvicinò.

"E' un buco sotto terra, non c'è altro da capire!" risposi facendo un passo indietro. Iniziai a studiare un modo per ritornare all'astronave, mentre Lir't fischiava acuto, richiamando l'attenzione della testa del plotone, dunque di Iliakòs. I soldati continuavano a sfilare al mio fianco, in ordine e in silenzio, stanchi per il viaggio e desiderosi di arrivare alle sale da bagno e alle loro brande. Non capivo come potevano trovare ristoro in quel rifugio senza finestre, senza aria, con una sola via d'uscita.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora