Cap 5

178 9 1
                                    

Non c'era traccia di rimprovero nelle sue iridi color cioccolato, solo aspettativa. Eppure, ebbi lo stesso paura per me stessa. Mi avrebbe denunciato ai suoi amici. Era per questo, che aveva insistito così tanto perché andassi con lui. Mi aveva seguito fino a casa per avere la sua vendetta su di me.

Mi liberai dalle sue mani e lentamente mi alzai dal divano. Avrei voluto fuggire da lui e nascondermi lontano da lì, ma non avevo altro posto in cui rifugiarmi. Mi guardai disperatamente intorno nel mio soggiorno: le mie poche cose, guadagnate con il mio duro lavoro. Tutto sarebbe stato spazzato via da quel ragazzo infido, in un solo giorno.

Per la prima volta mi resi conto che, in fondo, non ero pronta a rinunciare alla mia misera vita, soprattutto a causa di uno stupido atto di pietà. Era vero, avevo dimenticato per una notte la mia natura umana, per assistere un alieno, ma non avevo tradito il mio cuore e la mia coscienza. Almeno sarei morta con la dignità intatta.

Mi ricordai il cassetto della credenza e involontariamente mi ci avvicinai. Ero pronta a prendere la pistola, quando le sue parole mi bloccarono:

"Non sono qui per condannarti" mi confessò, la voce tranquilla, mentre mi raggiungeva. Le sue mani erano protese verso di me, come a dimostrazione che non si erano armate.

"Allora perché sei qui?" Chiesi rabbiosa, con la voce più acuta del normale.

"Volevo chiederti perché lo hai fatto"

C'era ancora quella violenta curiosità nel suo sguardo, che mi disarmava.

"Perché non sono disposta a sostenere la colpa della morte di un essere vivente e, se non lo avessi aiutato, sarebbe morto a causa mia!" Gli urlai contro, disperata.

"Non lo sono neanche io..." mi confessò.

Non era la risposta che mi aspettavo e la interpretai come una colossale bugia: "Sei stato tu a colpirlo!" Lo accusai con cattiveria. Si era di nuovo avvicinato troppo, così feci due passi di lato, posizionandomi dietro la penisola.

"Ho sparato, è vero, ma sono tornato indietro" i suoi occhi erano due catene che mi impedivano di lasciarlo.

"Per finire il lavoro!" Lo beffeggiai. Non mi sarei lasciata ingannare di nuovo.

Questa volta sembrò offeso da quell'accusa e mi urlò contro inviperito:

"Cosa? Non so chi credi che io sia, ma di sicuro non sono un assassino! L'ho mancato di proposito e ho sperato davvero di non averlo colpito. Sono tornato perché, nel caso ne avesse avuto bisogno, lo avrei rimesso nella sua navicella. Poi ho visto te, che lo trascinavi qui e ho sperato con tutto me stesso che sapessi come aiutarlo."

Quando esplode una bomba, la deflagrazione è puro caos, ma subito dopo tutto sembra immobile, immerso in un silenzio innaturale. Lo stesso in cui cademmo noi, paonazzi in viso e con il fiato spezzato, uno di fronte all'altra, le mani appoggiate alla penisola per non cadere.

Alla fine, le sue parole calme, quasi sussurrate, spazzarono via ogni traccia della catastrofe: "Se una ragazzina semplice e tranquilla come te, riesce a compiere un gesto di misericordia così gigantesco, allora le mie speranze sulla razza umana non possono morire"

"Quali speranze?" Sussurrai anch'io di rimando.

"Quelle di ritrovare noi tutti la forza per ritornare a convivere in pace, umani e Ryut"

"E il tuo piano di guerra?" lo incalzai.

"Non è mio, è di Sergej. Ha davvero trovato un modo per craccare il sistema, ma non sono pronto ad uccidere..." Mi diede l'impressione che mi stesse confessando un segreto profondo, che nessun altro conosceva.

Come artigli sul vetroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora