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Las Vegas. La città del peccato. È così che la chiamano, e in qualche modo non si sono mai sbagliati. Ero lì dieci anni fa, per l'addio al nubilato di una compagna di scuola che si era innamorata troppo presto, rimanendo incinta del suo fidanzato. Ricca e ambiziosa, ha immediatamente affermato di voler festeggiare al Flamingo per giocare alla roulette e assistere allo spettacolo degli spogliarellisti. Non era mai stata una puritana, perciò la sua scelta non mi sorprese così tanto. Con il nostro gruppo di amiche, soggiornammo nelle suite di lusso con gentile concezione della festeggiata. Ero orfana, senza un lavoro perciò non avevo un soldo bucato. Potevo solo permettermi qualche abito, delle scarpe e per mia fortuna avevo anche una lontana parente che mi ospitava. Molto paziente, tanto da riuscire a stare dietro ai miei sbalzi d'umore e al mio carattere arrogante. Non ero ancora entrata nell'esercito, ma quello che successe a Las Vegas fu determinante a farmi capire che cosa volevo farne della mia vita. Dopo due giorni al Flamingo giunse il weekend e Beth, la festeggiata, ci portò in limousine in un locale chic, caotico, pieno di bei camerieri e buon cibo. Uno degli spogliarellisti le danzò davanti, ancheggiando e agitando il fondoschiena a pochi centimetri dal mio naso. Tentai di divertirmi più che potevo, ma era tutto contro la mia natura. Che cosa ci facevo lì? Non era il mio ambiente e volevo solo tornare a casa, tornare alla mia noiosa vita che mi stava anche stretta, ma era la mia vita quindi ci avevo fatto l'abitudine. Beth esaminò le mie continue smorfie, quindi consigliò ad uno dei ballerini di invitarmi in pista. "No, no. Passo. Sono qui solo per bere" eravamo tutte diciottenni, perciò non avrei potuto consumare alcolici, ma Beth aveva lasciato una grossa mancia al barista per chiudere un occhio. Non avrei dovuto bere quella sera.

Di ritorno al Flamingo, cambiò ogni cosa. Beth sperò che noi altre non aprissimo bocca, quando si portò in stanza il ballerino e una bottiglia di champagne. Era incinta, prossima al matrimonio però non le importò. Secondo lei, si vive una volta sola e voleva godersi Las Vegas fino in fondo. Le altre si dimostrano ancora vispe e pronte a fare baldoria, nonostante fossero le due di notte passate. Io volli solo chiudermi in stanza e dormire, ma mi feci trascinare alle slot machine nella sala da poker all'ultimo piano. Improvvisamente mi sentii mancare il pavimento sotto i piedi, un formicolio lungo le gambe e scivolai lunga sul pavimento, perdendo i sensi. Mi risvegliai nella mia stanza, supina sul tappeto. Strabuzzai gli occhi verso il soffitto, cercando di ricordare cosa fosse successo e com'ero riuscita a tornare in camera. Ai piedi del letto era seduto qualcuno, ma non riuscii a metterlo a fuoco. Era vestito di nero, cappuccio cacciato sulla nuca e... impugnava qualcosa tra le mani avvolte dai guanti. Una pistola. Subito mi misi a sedere, terrorizzata. "Chi sei?".

"Non sei nella posizione di porre domande, Jules". Sapeva il mio nome ma io non conoscevo lui. Mi feci spiegare ogni cosa, e in qualche minuto confermò di conoscermi da sempre. Era in qualche modo invischiato nella morte dei miei genitori, che fino a quel momento pensavo fossero rimasti uccisi durante un incidente stradale. L'incidente c'era stato, ma era stato lui a programmarlo. "Perché?".

𝐌𝐞𝐫𝐜𝐞𝐧𝐚𝐫𝐲 | 𝘚𝘦𝘣𝘢𝘴𝘵𝘪𝘢𝘯 𝘚𝘵𝘢𝘯Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora