Capitolo Settimo

110 7 0
                                    

Questo capitolo è stato scritto da : James' shadow

Quell'abbraccio era come tornare a casa dopo aver affrontato una tempesta e trovare un fuoco acceso ad accoglierlo. Era come un bicchiere d'acqua fresca dopo una traversata nel deserto arido. Era come un iratze al centro del cuore.

Il problema? Che per guarire quel cuore doveva continuare a sanguinare e Kit doveva piangere. Tessa gli aveva sempre ricordato l'importanza delle lacrime, di quanto servisse sfogarsi ogni tanto, anche quando non sembrava coraggioso; gli aveva raccontato di come uno dei grandi amori di Tessa, Will Herondale, piangesse spesso, pur vergognandosene lievemente, al ricordo della morte di Jem. Un pianto antico dell'anima che non va mai arginato, gli aveva ripetuto spesso Tessa.

Kit si sentiva sempre stupido quando piangeva per Livvy e per Ty, per come erano finite le cose tra loro e per come lo aveva abbandonato a se stesso in un momento del genere. Si sentiva stupido perché quel dolore non gli apparteneva veramente, non era lo stesso dolore che provava Ty o che provavano i Blackthorn tutti. Si sentiva come se stesse togliendo dignità al loro dolore. Tessa - che in qualche modo aveva intuito tutto - in quelle occasioni gli stava accanto e gli ricordava quanto fosse importante liberare l'animo del peso e che ogni peso aveva la sua dignità, ogni dolore la sua importanza.

Kit ora non si sentiva stupido a piangere. Ci erano voluti anni per accettare quella parte di lui che avrebbe sempre sanguinato e pianto per Livvy, per Ty, per tutto quello che era successo. Per l'ingiustizia che aveva portato via un'anima coraggiosa e meravigliosa come quella di Livvy; per l'ingiustizia che aveva privato un ragazzo fantastico e speciale come Ty della sua metà per eccellenza, della gemella, l'unica capace di capirlo al cento percento e l'unica capace di tenergli testa. Per l'ingiustizia che aveva privato - egoisticamente - Kit dei suoi amici, che aveva smantellato il trio monello di quell'estate californiana.

Ora, incredibilmente, di fronte alla morte di Richard non si sentiva stupido. Sarebbe stata un'altra ferita al cuore che non si sarebbe mai chiusa. Come fu la morte di Jem per Will e come era stata la morte di Will per Tessa e Jem. Una di quelle cose che avrebbe popolato i suoi sogni per anni. Richard Pangborn, il ragazzo sempre sorridente che lo aveva aiutato nell'imparare a tirare con l'arco. Il ragazzo che "se non fossimo già maggiorenni ti avrei chiesto di diventare il mio parabatai", Richard, il ragazzo a cui Kit avrebbe detto di sì seduta stante. Richard, l'amico che non c'era più.

Come non c'era più suo padre. Sua madre, la donna che non conosceva ma che Tessa gli aveva raccontato l'avesse amato più di ogni altra cosa al mondo. Come non c'era più Livvy. Una catena di morti tutte attorno a lui. Spesso collegate a lui, spesso casuali, ma ognuna di esse aveva inflitto un colpo terribile al suo animo. Ed ora, semplicemente, il dolore era venuto a chiedere il conto.

Kit pianse, silenziosamente, tutte le lacrime che aveva in corpo. Pianse tutto il dolore che aveva accumulato proprio lì, tra le braccia di Ty in un minuto che sembrò un'eternità e al contempo un secondo.

"Vuoi le mie cuffiette?" la voce di Ty lo raggiunse come da lontano, sebbene fosse lì accanto al suo orecchio, ancora avvolto nell'abbraccio. Kit si scostò, sorpreso di ritrovare le mani doloranti per quanto forte aveva stretto lo shadowhunter.

"Cosa?" chiese, sbigottito. Ty non si sarebbe mai diviso dalle sue cuffiette, doveva aver sentito male.

Il ragazzo se le tolse dal collo e gliele porse, abbozzando un sorriso. "Il mondo attorno a te è caotico, la tua stessa mente è un caos. Le cuffie mi aiutano a isolare i rumori e a concentrarmi sulle cose importanti e lineari."

Kit accettò le cuffie, troppo sconvolto per poter rispondere. Erano il suo punto fermo, l'unica cosa che spesso lo aiutava ad andare avanti, a sopportare il baccano del mondo e a vedere gli eventi sotto un'ottica ordinata, comprensibile, deducibile. Il fatto che se ne stesse privando - sebbene momentaneamente - per lui, in un momento così delicato e di fronte ad una riunione shadowhunters dall'aria chiassosa, voleva dire molto. Moltissimo.

Troppo.

Non fece in tempo a riprendere possesso della parola, a ringraziarlo, che Ty si era già allontanato, diretto verso l'Istituto con Irene.


Ty si ritrovò nel retro dell'Istituto, dopo esser scappato da Kit senza avergli detto nulla. Non aveva la forza di rientrare, per cui era rimasto lì, seduto sugli scalini a guardare il cielo scuro ricoperto da nubi paffute che presagivano un domani terso.

Eppure sarebbe stato un domani troppo doloroso.

Era stato troppo doloroso rivederlo dopo tutto quel tempo, dopo tutto quello che era successo. Ma soprattutto era stato troppo doloroso vederlo così distrutto - dalla morte di Richard e da altro, un qualcosa che non riusciva ad afferrare, un dettaglio che mancava e che era importante.

La forma di Livvy gli si palesò di fronte - Livvy eppure non veramente Livvy, un ricordo sbiadito di colei che era la sua metà. Gli sorrise triste.

"Sai cosa gli manca."

Ty non la degnò di risposta, le rivolse solamente uno sguardo scocciato.

"E va bene, non ne vuoi parlare, non ne parliamo." Sbuffò la figura che avevo il volto di Livvy e la voce di Livvy e il carattere di Livvy, ma che non era Livvy. "Affrontiamo un altro dei problemi che si son presentati: gli omicidi."

"Cosa sappiamo delle vittime?"

Irene si mise a girare intorno alle gambe di Livvy, quasi divertita dalla presenza del fantasma. "Giovani shadowhunters ha detto Alec. Abbastanza giovani da non essere capaci di difendersi come un adulto, ma abbastanza grandi da sopportare..." Ty si bloccò a metà ragionamento ed alzò gli occhi verso Livvy, sconvolto. "...da sopportare una possessione." Concluse, gli ingranaggi che giravano e il cervello che correva veloce, collegando indizi e formulando teorie. "Non vogliono richiamare Azazel, vogliono che lui possieda qualcuno. L'ultima volta che lessi di lui, era imprigionato nel regno degli spiriti, incorporeo... ha bisogno di un corpo." Realizzò, un novello Sherlock di fronte ad una svolta. "Qualcuno sta cercando un vessillo tramite cui portare Azazel sulla terra, tra noi. Ma perché? E perché proprio shadowhunters? E il ciondolo?"

Livvy aveva seguito tutto il suo ragionamento, Irene che gironzolava tra le sue gambe incorporee come in una danza scandita dal suono della voce di Ty. Ora aveva un'aria cupa mentre annuiva all'ultima domanda del gemello, "a quello so rispondere io. Ho sentito parlare del ciondolo" disse, lo sguardo perso in un dettaglio lontano.

Livvy prese un profondo respiro, ed iniziò a raccontare.

Mistery ShadowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora