capitolo11

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Kevin

Ripenso a tutta la conversazione che ho avuto oggi con Keila, forse veramente non ne sapeva nulla. I suoi occhi non mentivano, purtroppo per me hanno una comunicazione diretta con i miei e  mi spiazzano ogni dannata volta.
Mia madre diceva che gli occhi sono lo specchio dell'anima e i suoi erano puri, per non dire limpidi.
Ne ho torturati abbastanza da sapere quando mentono e quando sono sinceri e lei diceva la verità. Non so più come comportarmi, il suo corpo mi rende vulnerabile e questo rende tutto solo più difficile. La odio e voglio che questo sentimento continui così, anzi che aumenti solo col passare del tempo.

Passo l'intero pomeriggio a lavorare nel mio ufficio, tra telefonate con altre famiglie e l'acquisto di altre merci con i paesi del sud America.
Il Messico ultimamente mi da del filo da torcere, ma è anche lui compreso nei miei piani. Devo solo attendere.
Un gradino alla volta e si arriva in cima.

All'ora di cena sento bussare lievemente alla porta, esito perché non sono sicuro di aver sentito bene, poi lo risento.
≤≤Avanti?≥≥
Dico più come una domanda che come un'osservazione.
Dalla porta entra Keila con in mano un vassoio della nostra migliore argenteria per la cena. Esita per un attimo sulla soglia, ma alla fine raddrizza le spalle e si fa largo raggiungendo la scrivania dove poggia il contenuto.
Cazzo vederla così mi manda solo più su di giri e faccio fatica a concentrarmi su tutto il resto.
Profuma di pulito e indossa una divisa fresca di bucato che le arriva al di sopra del ginocchio, ma quando si allunga per svuotare il vassoio la gonna  le risale e il mio corpo si risveglia, non so se lei nota il mio disagio, ma se così fosse non dice nulla.
Alla fine stufo del suo silenzio parlo io.
≤≤Hai sputato nella mia cena? Perché sono tentato di fartela assaggiare.≥≥
Ma continua a restare muta, allora la prendo  per un polso e la faccio voltare verso di me e finalmente mi guarda.
C'è sorpresa nei suoi occhi.
≤≤Ti ho fatto una domanda.≥≥
Lei mi guarda e alla fine decide di partecipare alla conversazione.
Ma quello che dice non è assolutamente quello che mi aspettavo.
≤≤No, purtroppo non sono rimasta mai sola per farlo e per questo devi ringraziare solo il tuo ciuffo biondo.≥≥
Chi cazzo è ciuffo biondo?
Ma mi astengo dal chiederlo, non so se voglio sapere la risposta.
Si blocca, forse non era previsto che me lo dicesse, ma un angolo della mia bocca si solleva per la sua ingenuità.
≤≤Devo dire che la tua "lealtà" nei miei confronti mi stupisce, mi rende quasi fiero di te bambina.≥≥
Ribatto sarcastico, ma lei come sempre non sa quando tacere. Credo che la sua lingua biforcuta parta prima del suo cervello.
≤≤Io cosa?? Fottuto pazzo io non sarò mai leale a te. Mai. Sei un cazzo di sadico, godi nel vedere infliggere dolore, come potrei avere lealtà nei tuoi confronti?≥≥
Cazzo se ha ragione.
Ma questo non le permette di parlare con me in questo modo.
La tiro a me e lei inciampa sui suoi stessi piedi e mi cade addosso, afferrandosi alle mie spalle. Le sue piccole unghie si conficcano nella mia pelle attraverso la camicia e rimane immobile a fissarmi, ma quando fa per alzarsi la blocco, negandole ogni  movimento.
La confusione nei suoi occhi mi spiazza. Perché non so nemmeno io che sto facendo.
Lasciala, lasciala. Che cazzo vuoi fare?
Sicuramente non lo so, non sono mai stato così confuso. Ma il terrore e la confusione che leggo nei suoi occhi sono puro piacere per me.

Le metto una mano sul fianco, la tiro a me e stringo forte, lei d'istinto chiude gli occhi e faccio scorrere l'altra mano fin dietro la sua nuca e le sciolgo lo chignon. I suoi capelli cadono in onde pesanti ancora umidi per lo shampoo.
Il suo respiro accellera e le labbra si schiudono.
Le passo il pollice sul labbro carnoso, lei sempre immobile mi lascia fare, la faccio sedere molto lentamente a cavalcioni sulle mie gambe.
Piccola pervertita.
Tu sei peggio di me.

Prova ad alzarsi ma gli nego il movimento stringendola a me.
<<Sei come il canto di una sirena, mi attiri a te ogni volta.>>
Ma quando si stacca da me capisco di averlo detto ad alta voce.
Ma che cazzo...
Le tolgo subito le mani di dosso  alzandole in aria per renderle ben visibili e lei non esita ad alzarsi, mi fissa come se chiedesse spiegazioni, ma questa volta non ho niente da dire.
Perché questa volta sono stato io a non saper tacere.

Perché questa volta sono stato io a non saper tacere

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Kevin Riello.

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