-16- Postura

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[ 🎶 ]
You make it look like it's magic
'Cause I see nobody, nobody but you, you, you
I'm never confused
Hey, hey
I'm so used to being used
So I love when you call unexpected
'Cause I hate when the moment's expected
So I'ma care for you, you, you
I'ma care for you, you, you, you, yeah
'Cause girl you're perfect
You're always worth it
And you deserve it
The way you work it

Non c'era niente.
Solo buio e un ronzio che rimbombava nella testa al posto del silenzio. Sentivo solamente qualcosa che nella sua forma minuta e fresca mi accarezzava la pelle delle guance e le orecchie, e i sensi cominciarono piano piano a funzionare; erano dei piccoli steli d'erba, e una leggera brezza le mosse, facendomi sentire il loro fruscio l'uno contro l'altro.

Aprii gli occhi di scatto, quando qualcuno mi diede un calcio sul lato della coscia bruscamente.
Non avevo la forza di reagire, non riuscivo a muovermi. Volevo alzarmi, non volevo risultare così patetica.
E invece non risposi a quel colpo e rotolai a pancia in giù a causa della forza del colpo appena subito.

«Che cazzo stai facendo? Alzati. Non poltrire e impegnati come i tuoi compagni.» quella voce mi punse le orecchie e rimbombò nella mia testa con un'eco insopportabile. Non la riuscivo a riconoscere, mi stavo sforzando il più possibile, ma non riuscivo.
«Su, muoviti, mocciosa.» disse con tono disprezzante. Allora non mi servii altro per capire chi fosse.

Spalancai gli occhi, che bruciavano e chiedevano pietà. Era lì in piedi davanti a me, mentre io parevo una formica che stava per essere schiacciata. Mi guardava dall'alto in basso con sguardo disgustato, senza nemmeno guardarmi negli occhi.

Che gli era preso? Pensavo che la figura del capitano brusco e insensibile fosse svanita da tempo. Mi sbagliavo...?

Aprii la bocca e cercai di parlare. La voce non usciva.
E lui non intendeva rimuovere quell'espressione di disprezzo dal suo viso.

«Arlert, ho detto in piedi. Alzati, ora

Come faceva a non capire che ci stavo disperatamente provando?

Mi sentivo incatenata alla terra, non mi lasciava staccare il corpo da essa. Cercavo di alzare il collo, ma una barriera invisibile mi comprimeva e respingeva verso il basso. Mi mancava il respiro e sentivo quel muro velato spingere sul petto.

«Sei patetica.» bofonchiò con aria disgustata. «Non so come ho fatto a sopportarti fino ad ora, ma l'ho fatto solo perché mi facevi pena.»

Strinsi le sopracciglia, spalancando gli occhi, e iniziai a torturare l'interno del labbro inferiore mordendolo fino a farlo sanguinare.
Da che poco prima mi sforzai di sentire ciò che Levi diceva, adesso rimpiangevo di averci provato.

"Cosa stai dicendo!?" volevo gridargli "perché me lo dici così, ora...?"

Lui lo sapeva. Ormai mi conosceva troppo bene.
Lui sapeva perfettamente che io pensavo di non essere abbastanza, che avevo paura di deludere tutti. E ora me lo faceva pensare così, facendo finta di niente davanti al fatto che gli confidai tutto di me stessa senza neanche accorgermene.
Conosceva tutti i miei punti deboli, e sembrava se ne stesse approfittando.

«Ora in piedi.» disse, ancora senza scomporsi.

Pochi secondi dopo, vedendo che non riuscivo ancora ad alzarmi, alzò la gamba, per poi colpirmi bruscamente sulla spalla.
Questa volta non sentii dolore, né tanto meno l'urto subito. I sensi erano spariti di nuovo per qualche millesimo di secondo, ma poi mi ritrovai, per l'ennesima notte, di soprassalto, ansimante e col busto alzato, scoperto dalle lenzuola.

Counting Stars ||𝐋𝐞𝐯𝐢 𝐀𝐜𝐤𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧|| Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora