-19- La scena di un libro

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Staring at the bottom of your glass
Hoping one day you'll make a dream last
But dreams come slow, and they go so fast

You see her when you close your eyes
Maybe one day, you'll understand why
Everything you touch surely dies

Ero ancora rosso in viso dopo essermene andato, ma speravo che lei non se ne fosse accorta.
Avevo paura di compiere un gesto troppo avventato, o di fare semplicemente di fare qualcosa di sbagliato.

Ed era davvero incredibile come solo lei riuscisse a farmi sentire così, insicuro e decifrabile.
Davanti a lei mi scioglievo, come dei fiocchi di neve davanti al sole. Insieme a me si scioglieva la maschera che dopo tanti anni ero riuscito a rinforzare...e forse era qualcosa di cui preoccuparsi...o forse no, non lo era, e mi stavo solo riempiendo la testa di pensieri che avrei dovuto lasciare perdere.

Camminai passi velocizzati dall'emozione mista al nervosismo, chiedendomi se quei fiori le fossero piaciuti davvero. La donna che li vendeva mi chiese perché fossi tanto scrupoloso nel sceglierli, e quando le dissi che erano per una ragazza non esitò a trovare quelli che riteneva perfetti. Chissà per quale motivo proprio quelli; lei non diede alcuna spiegazione, e con un sorriso gentile sulle labbra mi disse solo di fidarsi e che le sarebbero piaciuti.

Aspettai nella sala - la quale non era altro che la mensa, solo con la disposizione cambiata per far spazio a chi voleva ballare -, seduto ad un tavolo vuoto. Sembrava di vivere la scena di un libro, lì ad attenderla mentre vedevo tutti gli altri chiacchierare, cantare e danzare per la sala, mentre io ero lì da solo sperando che venisse presto e osservando il bicchiere mezzo vuoto.
E infatti, eccola lì, che entrava attraverso l'uscio con eleganza, con addosso quel vestito lilla che non era più così stropicciato e che le metteva in risalto non solo il corpo e le forme, ma, feci caso a quanto stesse bene con i suoi occhi. I suoi capelli le ricadevano delicati sulle spalle e, nonostante se li fosse piastrati, alcune ciocche ribelli si presentavano mosse sulla lunghezza. Quando fu più vicina, notai che ebbe messo sul capo un fiore. Era uno di quelli che le avevo regalato... Aveva staccato con più delicatezza possibile il gambo, e questo fu più chiaro quando si sedette accanto a me. Era bellissima, non avrei saputo con che altre parole descriverla.
Quando mi vide non esitò a correre verso di me in modo goffo per via delle scarpe scomode che indossava.

«Levi! Oh, lo sapevo che te ne saresti rimasto solo finché non sarei arrivata! Scusa se ti ho fatto aspettare.» disse Emma avvicinandosi a me, per poi sedersi sulla sedia accanto la mia.

«Non ti preoccupare.» mormorai portando alle labbra il bicchiere d'acqua. «Sei bellissima stasera, Emma.» sorrisi alla vista di lei che arrossiva. Lei ricambiò e quando inarcò le labbra, non potei fare a meno di continuare a guardarla. Probabilmente mi ero incantato senza accorgermene.

Passarono una trentina di minuti che restammo seduti lì a chiacchierare e a dirci - lei più di me - le "ship" nel Corpo di Ricerca. O almeno, le ha definite così. Non ho capito di cosa si trattassero, e neanche mi importava. Mi concentravo sul suo profilo, sui suoi occhi verdi gettati sugli altri che ballavano. Sulla sua voce, sui suoi movimenti. L'avevo ammirata per tutto questo tempo che avrei potuto sapere qualsiasi dettaglio di lei.
Mi propose più volte di andare a ballare anche noi, quando la pista iniziò a riempirsi. Ma per quanto avrei voluto, io non sapevo ballare. E di solito me ne sbatto delle opinioni degli altri, ma non avrei sopportato che lei si facesse un'idea che non voglio dare di me...anche se l'aveva quasi sicuramente già fatto.

Eravamo ancora lì che parlavamo, quando arrivò Eren.

«Ciao Emma! E salve, Capitano.» disse prima salutando l'amica, per poi chinare il capo davanti a me, in un saluto formale. Vestito in quel modo, Eren, non dimostrava l'età che aveva. Diciassette anni, ma gliene avresti dati almeno ventuno con quel completo, con cui avrebbe fatto cadere molte donne ai suoi piedi. (ayo per me è come se un padre stesse parlando di suo figlio, in questo paragrafo. io sono ererifobica)

Counting Stars ||𝐋𝐞𝐯𝐢 𝐀𝐜𝐤𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧|| Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora