Capitolo 9

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Mattia aveva tenuto sotto controllo il suo cellulare per tutto il fine settimana. Sabato sera aveva persino dato buca a Luigi per poter essere pronto a rispondere a Christian nel caso gli avesse scritto o lo avesse chiamato. La madre gli aveva detto che aveva lasciato a casa sua gli appunti e quindi si aspettava che gli chiedesse di andarli a prendere o che li portasse lui stesso presentandosi alla porta di casa.

Così non era stato.

Domenica sera, dopo essersi reso conto del proprio comportamento, Mattia aveva preso le chiavi della macchina ed era andato a fare rifornimento d'erba, che gli era finita il venerdì sera precedente, durante la festa a cui aveva partecipato con Luigi. Il suo solito spacciatore ormai gli faceva anche dei buoni prezzi, dato che lo conosceva e sapeva che Mattia andasse sempre da lui, così era stato veloce anche il tragitto verso casa.

Ogni volta che porgeva i soldi a quell'uomo, poi, se ne pentiva sempre, perché del resto lui era quello che chiedeva a Luigi di smettere, ma era il primo a spingere un altro uomo a fare le stesse cose, a vendere morte perché qualcuno andava a comprare. Mattia sapeva di non essere uno delle persone peggiori con cui quello avesse a che fare, anzi, forse era anche il migliore e sapeva anche perfettamente che quell'uomo vendesse roba ben peggiore di semplice erba, ma quando tornava a casa, si preparava la sua canna e iniziava a fumarla, tutta quella pena se ne andava col fumo, proprio come in quella domenica sera.

Si mise seduto sul terrazzo della sua cameretta, conoscendo i propri genitori e il fatto che non sarebbero mai andati a controllarlo o a dargli la buonanotte e iniziò ad inspirare il fumo. Solitamente se ne stava seduto alla propria scrivania a guardare quella casa bianca dalle finestre e le tende blu, così che non potesse essere visto, ma quella sera, dopo aver aspettato come un coglione per tutto il fine settimana una chiamata o un messaggio, decise di prendersi quella libertà. Poggiò la testa contro la ringhiera del terrazzino e fissò attraverso le grate quella finestra che apparteneva alla stanza di Christian. Aveva le tende tirate, come ogni sera, quando il ragazzo andava a dormire e si chiese cosa stesse facendo.

Era con Serena?

Stava studiando?

Stava già dormendo?

Attraverso quelle pesanti tende blu, la luce non riusciva a passare, quindi non riusciva a comprendere se fosse ancora sveglio o tutto fosse spento. Si immaginò ancora una volta in quella stanza, mentre gli dormiva accanto e Christian lo toccava. Prima le spalle, poi il petto che prendeva a baciare, fino ad arrivare al ventre dove la lingua lo faceva eccitare procurandogli un'erezione istantanea.

I fumi dell'erba iniziarono a rilassarlo e prese a toccarsi il proprio pene, cercando di dare sollievo a quella parte che desiderava attenzioni da un'unica persona, che, però, non voleva dargliele. Iniziò a sospirare, mentre il proprio tocco diventava sempre più irruento, duro, veloce, con la canna tra le labbra e il fumo che lasciava la sua bocca a ritmo costante. Desiderò che quelle tende si scostassero, che Christian vedesse l'eccitazione che gli causava anche il solo pensare a lui e quando il proprio pene fu sul punto di scoppiare, ritrasse la mano per qualche istante, prendendo tra due dita la canna e andando con la mano sinistra dentro i pantaloni a completare l'opera.

Venne copiosamente sulla propria mano e il rilassamento fu istantaneo, anche grazie all'erba che ora circolava nel suo sangue. Se solo fosse stato lucido, probabilmente si sarebbe anche vergognato di quello che aveva appena fatto, ma in quel momento no, ed infatti sfilò semplicemente la mano dai propri pantaloni e guardò la sostanza che ora se ne stava lì a rendergli il conto delle proprie emozioni. La fissò e per la mente malata, gli passò l'idea di cosa avrebbe potuto fare se quello sperma non fosse stato il proprio.

Si avvicinò la mano alla bocca, ma si fermò prima che potesse mettersi un dito in bocca.

Deglutì.

Strizzò gli occhi, confuso e poi tirò fuori la lingua.

Si leccò il palmo della mano.

Assaporò per qualche istante quel gusto strano nella propria bocca e poi ritirò subito la propria mano, rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto. Si alzò, rientrando in casa e correndo verso il bagno, dove si chiuse dentro a chiave. Si poggiò sul lavandino e si piegò per bere più acqua possibile dalla fontana. Chiuse gli occhi, reclinando la testa all'indietro e facendo qualche gargarismo, sconvolto da se stesso. Tornò a guardare nello specchio il proprio riflesso e sputò l'acqua, diventata calda nella sua bocca.

Si fissò.

Aveva le guance rosse, il respiro affannato e i capelli spettinati. Le occhiaie ormai erano indelebili sulla sua pelle. Anche se avesse trovato la forza di dormire per più di due ore a notte, si chiese se se ne sarebbero mai andate.

Si chiese perché dovesse essere così sbagliato, perché dovesse desiderare così tanto una persona che, però, non desiderava lui e i propri occhi presero a lacrimare, senza che se ne potesse davvero rendere conto, mentre iniziava anche a sentire le proprie mutande bagnate. Aveva avuto un orgasmo su quel terrazzino, così, in pubblico, di fronte ad una casa dalle tende tirate, ma che chiunque avrebbe potuto aprire e beccarlo sul fatto, magari denunciarlo per atti osceni in luogo pubblico e poi avrebbero scoperto l'erba e lo avrebbe chiuso in galera per sempre.

Forse quella cosa avrebbe fatto piacere ai propri genitori, che finalmente si sarebbero liberati del figlio strano e avrebbero potuto tornare ad accettare gli inviti a cena della famiglia Stefanelli, senza la vergogna di lui che non si presentava o che non parlava con nessuno, zitto nel proprio mutismo.

Mattia si spogliò dei propri vestiti, non guardando il proprio corpo allo specchio e si buttò sotto la doccia, come potendo eliminare, in quel modo, tutte le brutte intenzioni che gli passavano per la mente. Voleva essere toccato da Christian, voleva che lo prendesse e lo scopasse a sangue, fino a che non avesse più le forze di camminare o di ricordare come si chiamasse. Voleva urlare il suo nome, voleva vederlo godere sopra, sotto, ovunque attorno a lui, ma soprattutto voleva che lo amasse.

Rimase fermo sotto il getto dell'acqua bollente, chiedendosi perché dovesse essere così patetico, perché non potesse controllare le proprie emozioni, impedendo che risalissero e che gli facessero fare cazzate che non poteva controllare, più forti della sua volontà stessa. E poi si ricordò che quella stessa sua volontà lui l'aveva piegata a suon di fumo, alcol e droga, che ogni azione compiuta a caso fosse causata propria da una di quelle sostanze e si chiese, ancor di più, perché lui dovesse essere così sbagliato.

Provò ad immaginare una situazione contraria, in cui Christian fosse al proprio posto, ma proprio non ci riuscì. Forse anche i propri genitori lo avrebbero amato di più se solo lui fosse stato più simile al moro. Invece, si era ritrovato ad essere più simile a Luigi. Lo stesso Luigi che criticava così spesso, ma che era l'unico ad essere sbagliato come lui. E forse per questo lo aveva scelto come amico, come compagnia, per poter biasimare qualcuno, per una volta, che non fosse se stesso.

Si addormentò in quella doccia, mentre l'acqua calda continuava a scorrere e le sue gambe lo portavano a sedersi sul piatto freddo di ceramica. Debole, si lasciò cullare dalle proprie lacrime, mentre si andavano a mischiare con il resto dell'acqua.

Ancora sveglio - Remake [Zenzonelli]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora