"Ricordate quando vi ho detto che mi sembrava di essere in un romanzo di Dickens, ma con le parolacce?
Sapete perché tante persone leggono libri del genere? Perché si sentono felici all'idea che tutta quella merda non capiti a loro."
Stephen King
La pelle quasi nuda, le ombre sul bianco.
Deya è voltata di spalle, in reggiseno.
Tornare a casa è stato difficile. Ha guidato lui, pare che regga meglio le allucinazioni, sebbene abbia le pupille forse ancora più sgranate delle sue.
Ha dovuto lottare per tutto il tempo contro il desiderio di vomitare, mentre il mondo sfrecciava tutt'intorno come un'unica buia galleria senza fine, senza tracce di luce in fondo al tunnel. I mostri aggrappati alla carrozzeria dell'auto, i vermi che strisciano addosso – li vede, li sente, poi si gratta e scompaiono.
Il pianeta è diventato tutto colorato, dopo è precipitato in un'oscurità tetra e destabilizzante.
Non ci sono più i colori, li hanno rubati.
Chi ha rubato i colori?
E le sfumature? E le luci? E le ombre? E il volume, e le dimensioni?
Che fine hanno fatto i suoi vestiti?
Fissa il suo corpo nello specchio che la riflette, corrucciata su se stessa, in avanti, con la schiena che forma una curva spezzata dalle vertebre ossute, disegnano una lisca centrale tutta tratteggiata, come le ossa di un mostro.
Una linea che Lazar insegue con le dita fredde, e solo allora Deya ricorda di nuovo di non essere da sola.
«Ho fame», dice, e smorza così la tensione, e forse ora il giorno inizia a brillare fuori dalla finestra e dà nuove speranze, le ricorda che il buio della notte non può durare in eterno.
«Bene, meglio, mangiamo qualcosa.»
Solo che Deya non se lo ricordava così difficile. Alzarsi per andare a tavola, s'intende. Comunque si alza sulle sue gambe, con il mondo che oscilla come dopo una sbronza – in effetti, ha bevuto così tanto che c'è mancato poco al coma etilico. Non va bene, non va affatto bene, ma lo realizza sempre quando ha già torturato il suo fegato e non c'è molto che si possa fare per rimediare.
L'acqua aiuta, però. Ne manda giù un bicchiere ed è assurdo, bere al mattino è difficile, ma aveva la bocca impastata dal sapore dell'acido ancora rimasto fra le memorie della gola.
Poi Lazar le allunga di fronte alle labbra un cucchiaino colmo di una sostanza ambrata e viscosa, oro che cola, finché non diventa evidente che si tratta di miele.
Gli zuccheri la fanno sentire meglio, o almeno danno questa impressione.
«Vedi, te lo dicevo che il miele è la soluzione a tutti i mali del mondo.»
Pensa alla vecchia leggenda dell'uomo mellificato. Seppellire i corpi nel miele per preservarli, come si fa con la tassidermia. Un collegamento macabro, l'ennesima traccia di un pensiero distorto, ma che segue una sua bizzarra logica. «Non puoi fermare la morte», gli dice, convinta. «Non puoi. Deve fare il suo corso. Tutto è destinato a sgretolarsi. Non puoi pretendere che il tempo non lo usuri.»
Un accenno ai suoi mostri impagliati, immobilizzati nel tempo.
Si sente piccola di fronte alla morte. Minuscola, soltanto una scheggia invisibile. Si sente piccola per davvero, in tutti i sensi; la sedia è grande e dispersiva e le blocca il corpo in una morsa di panico.
È minuscola, e Lazar e il resto della casa sono enormi, così grandi che lui non riesce più a vederla. È sparita dalla sua vista, è solo un microbo, è come Gregor Samsa che si ritrova a un tratto con un corpo da insetto. La situazione è identica, ma può vedere il suo corpicino, ora in piedi sulla sedia, mentre il mondo si dilata senza curarsi di lei. Può camminare fino al bordo e capire che farà male lanciarsi di sotto, che l'altezza è infinita. Saltella, cercando di attirare l'attenzione di Lazar provando ad agitare le braccia, ma lui non la vede. È così minuscola da essere impercettibile come un granello di polvere.
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Fame di male
Horror🏆 Wattys 2022 Winner! 🏆 "Un becchino indaga su una serie di omicidi, ma si innamora della sospettata principale." Le notti di Deya sono tormentate dagli incubi. Alcune amnesie le fanno dimenticare ciò che ha fatto il giorno prima, cancellando porz...