25. Passiamo un accendino sui ricordi

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"Non esistono fiabe non cruente.
Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell'angoscia."

Franz Kafka



Lazar porta alle labbra la sua ultima sigaretta, poi distrugge il pacchetto stringendolo fra le dita e lanciandolo sul cruscotto dell'auto. «Siamo quasi arrivati», una nuvoletta di fumo insegue le parole.

Il suo sguardo si posa un istante su Deya, sprofondata nel sedile, con la cintura di sicurezza sul maglione e l'espressione assorta nella contemplazione dei paesaggi naturali fuori dal finestrino. Il tempo minaccia di farsi sempre più nero e cupo, fosche nuvole dense di pioggia scuriscono il sole prossimo al tramonto.

Lei pensava che il loro viaggio sarebbe durato poco, invece sono stati in auto tutta la mattina, facendo solo una sosta per pranzare in autogrill e ripartire ancora. Ora sono le sette di sera e ha di nuovo fame, oltre a un impellente bisogno di sgranchirsi le gambe.

«Potevi avvisarmi prima e dirmi che era così lontano», brontola, inacidita, ma in realtà non le è dispiaciuto troppo godersi gli sguardi di quei posti mai visti, e stare lontana da casa la fa sentire un po' più libera del solito, come se in paese fosse sempre costretta fra delle braccia protettive composte di energia oscura.

«Abbiamo finito, guarda», Lazar tenta di calmarla, ha retto fino a quel momento e non è corretto che si arrabbi proprio ora che sono giunti nel posto giusto; e poi ne vale la pena. La destinazione è appena in periferia, ma circondata solo da colline e sprazzi di verde, sebbene il centro non sia poi così distante. Eppure, lì nessun rumore invadente li raggiunge, ancor meno che in paese, dove di tanto in tanto passano delle odiose motociclette a tutta velocità.

L'abitazione della nonna di Lazar, però, è modesta, piccolina, seppur dispersiva in quel mare di foglie e di erba incolta. Parcheggiano sulla fiancata laterale, poi scendono e vanno dritti a suonare il campanello, oltre i gradini sull'ingresso. 

Stretta al petto, Lazar regge una scatola di modeste dimensioni. Deya non sa che cosa contiene.

Li accoglie una dolce signora anziana, profonde rughe le disegnano il volto, rimarcano tutti gli anni trascorsi, tracce di una vita vissuta fino all'ultima briciola. Un sorriso sincero si allarga fra gli estremi delle labbra, e le iridi del colore dell'ebano si illuminano d'amore. «Sei arrivato, e vedo che hai portato una signorina con te», commenta la donna, che subito appare vispa e più che arzilla, li saluta con due baci sulle guance, li lascia entrare e comincia a spostare gli oggetti da una parte all'altra per mettere ordine, sebbene sia già tutto dove deve essere – o, comunque, non c'è niente che faccia pensare a un luogo trascurato. Il brusio di una televisione con il volume al minimo fa da sottofondo a qualche istante di silenzio, mentre si sistemano a tavola e la teiera viene lasciata sul fuoco a bollire.

La donna si siede di fronte ai due, che si sono tolti il cappotto e l'hanno lasciato vicino all'ingresso.

Deya sbircia fuori dalla finestra, oltre le tende. Il cielo si è fatto ancora più oscuro, è come se minacciasse di venir giù l'inferno stesso fra fulmini e grandine.

«Quindi hai trovato una fidanzata, era ora», commenta l'anziana, con poco tatto, e Deya quasi si strozza annegando nelle loro bugie.

Annuisce, titubante, e odia sentirsi sotto esame in quel modo, ma in fondo è normale che lei sia curiosa. «Mi chiamo Deya, piacere...», sbiascica, dopo qualche istante di pesante silenzio.

«Sì, nonna, magari cerca di non metterla a disagio», Lazar tenta di venire in suo aiuto. In fondo, non sono lì per fingere, anche se ciò gli tornerà utile, almeno sua nonna si convincerà che sta bene, non è più il vecchio lupo solitario ch'è sempre stato, e acquieterà un po' il suo animo negli ultimi mesi - magari, si spera, anni, anche se la vecchiaia come la malattia prima o poi prosciuga ogni vita umana.

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