18. Destra o sinistra?

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"Ma l'amore è cieco e gli amanti non possono vedere le piacevoli follie che essi commettono."
William Shakespeare


Tutto si concentra in una scelta binaria: destra o sinistra.

Imboccando la strada di destra, Deya potrebbe tornare a casa, rifugiarsi sotto un macigno di lenzuola e coperte calde, farsi un'altra tisana e sperare che il dolore passi, lasciandolo defluire via come i postumi di una sbronza con due litri d'acqua.

Se sceglie quella di sinistra, invece, non può tornare indietro. È il viale per la verità – o, almeno, per una visione parziale e al tempo stesso più completa di ciò che le è accaduto qualche ora prima. Sembra passato già troppo, sembrano essere stati sprecati innumerevoli rintocchi delle lancette, eppure non può fuggire, non più, non ancora, e quindi scende dall'auto e si decide a optare per la strada di sinistra – e non importa se è anche quella che sceglierebbe il diavolo.

Bussa alla porta dell'agenzia, e poi attende coi gargoyle che la fissano torvi dalla loro posizione incurvata in avanti, con le ali da pipistrello piegate, ma con gli artigli aggrappati al basamento in modo feroce, come se potessero prendere vita tutto a un tratto e divorarle gli occhi, la pelle, poi gli organi interni.

Il pericolo, però, non è là fuori, fra le statue di vecchia e logora pietra, sotto un cielo che anche di giorno preserva un grigiore mortale e irreale. Le nuvole, tutte addensate, minacciano pioggia e fulmini, un temporale non troppo lontano e così carico d'acqua che ci sarà da star fermi e buoni, ma ormai è tardi per pensarci, e la porta si apre.

Lazar ha un'espressione sul volto indecifrabile, tetra più che mai – potrebbe giurare di non averlo mai visto tanto torvo e misterioso, così cupo e silenzioso.

«Hai dormito male anche tu, vedo», le viene spontaneo commentare, tanto per smorzare la tensione, ma Lazar non ha proprio voglia di scherzare, e sul suo volto non si dipinge alcuna emozione, forse solo un velo di frustrazione lontana e celata sotto strati di perfida arroganza.

«Tu mi stai mentendo», un'accusa che piomba di punto in bianco fra di loro, e che divide, che lacera la carne senza farlo vedere, perché certe ferite sono sottopelle, dove le avverte soltanto chi si sente aprire le vene una alla volta.

«Di che parli?», dice, ma Lazar è fuori di sé, sembra aver perso il contatto con la realtà. 

Il suo atteggiamento è strano, ha i lineamenti rigidi e adirati, un crescendo d'ira sregolata negli occhi chiari e che si riflette nei pugni che faticano a star fermi. È agitato, con le vene sul collo gonfie per una rabbia che appare inspiegabile, e che Deya davvero non riesce a comprendere.

La spinge contro la porta all'ingresso – non hanno fatto molti passi, da quando è entrata, anche se sembra già che sia trascorsa un'altra eternità, il tempo è dilatato. Polpastrelli che si aggrappano ai vestiti, poi alla pelle, ad arrossare il bianco e tingerlo con macchie di lividi e odio, di bugie e segreti, di instabilità e quasi affetto – quasi, appena. A un passo dal provarlo, certe cose rompono la fiducia, la disintegrano in pezzi.

Rimane impietrita sotto quel tocco disturbante, con le dita che le mozzano il respiro e il volto di Lazar a pochi centimetri dal suo che appare saturo di livore.

«Lo sai benissimo, smettila di fare sempre finta di non saperne niente», non sembra propenso a rendersi decifrabile.

Il cuore le batte troppo forte dentro la gabbia toracica e la pressione delle sue mani intorno alla gola si fa consistente. Un urlo disperato le abbandona le labbra, scalcia per il panico incontrollato, vuole liberarsi da quella stretta insopportabile, insostenibile; e ci riesce.

Fame di maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora