"A quel dinanzi il mordere era nulla.
verso il graffiar, che tal volta la schiena
rimanea della pelle tutta brulla.
"Quell'anima lassù che ha maggior pena",
disse il Maestro, "è Giuda Scariotto,
che il capo ha dentro e fuor le gambe mena."
Dante Alighieri - Inferno - Canto XXXIV
Lazar ha i capelli scompigliati, mossi in intrecci di nodi e vento freddo oltre gli spifferi, avverte una distanza incolmabile fra i due corpi distanti.
Deya si riveste di fretta, con le guance rosse e una vergogna che ora precipita, seppur prima fosse estinta, o inesistente. L'intimo in seta rosa che risale lungo le cosce in una carezza di morbida stoffa, poi i pantaloni e la maglia ora sporca di polvere, adagiata sul pavimento che non viene lavato da troppo tempo. Scaccia via i granelli con i palmi e qualche colpetto leggero.
«Se tu fossi un albero saresti un siliquastro», mormora Lazar, con le mani dietro la testa, i gomiti che toccano i lati della bara in cui ancora giace, e una gamba a penzoloni fuori, per assicurarsi che non venga rinchiuso lì dentro un'altra volta, per essere certo di non rimanere al buio.
Inclina il capo nella sua direzione per guardarlo, l'aria interrogativa.
«L'albero di Giuda. Ha i fiori rosa», allunga un braccio fino alle caviglie, si tira su i pantaloni e cerca le sigarette nelle tasche. Il pacchetto è sgualcito, malmesso, e nella foga dell'amplesso un paio di bacchette di cartina e tabacco sono andate in frantumi. Per fortuna, pare che qualcuna sia ancora rimasta intatta, e può condurla fra le labbra ora secche, prosciugate dalla saliva e dalla fatica di un coito fin troppo sentito a livello emotivo, sebbene non voglia dimostrarlo e preferisca nascondersi dietro parole enigmatiche e scherni che filtrano verità malcelate, soffi su ferite fresche e infette.
Deya non risponde, ma si volta per rubargli un bacio. Veloce e falso, bugiardo e meschino. Come farebbe Giuda dopo aver raccontato la sua menzogna.
Ma quante bugie ha interposto fra di loro?
Quante verità ha omesso, fra fiori rosa e germogli di dolore?
In fondo Lazar è il marchio di una sigaretta, un cerchio latteo come la larva di una nuova ape regina, pronta a nascere e dare altra vita, rinchiusa nella sua cella d'oro dopo l'abbandono di una famiglia diventata troppo grande.
Cicatrici che si ramificano, si espandono in macchie amorfe. Tagli che non si risanano.
Ago, filo e un gioco di frammenti di pelle, di cristalli di sangue coagulato.
«Oggi rimango con te in agenzia, non voglio tornare a casa», decide, senza chiedergli il permesso, invitandosi con prepotenza nella sua giornata.
«Perché?», non glielo vieta, ma si domanda quale motivazione ci sia dietro.
«Perché sì, fatti gli affari tuoi», non vuole dare spiegazioni.
♱
La televisione non funziona.
Lazar sta lavorando – cosa ci sia di tanto importante da fare in un'agenzia funebre situata in un luogo tanto morto è un mistero – e ha lasciato Deya in un piccolo scantinato, una stanza a fianco a quella in cui lui lavora su fogli bianchi e scartoffie piene di noiosa burocrazia, con una televisione vecchia, un catorcio che funziona solo se gli si tira qualche colpo sopra. Ha inserito una videocassetta anacronistica e antica, un film horror – Nosferatu, il principe della notte. Non l'ha mai visto, e dura troppo. Ci sono scene lunghissime, fotografie spettacolari della Transilvania e riprese geniali per l'epoca, però lunghe fino a far venire l'esaurimento nervoso. In fondo è un bel film, le fa venire gli occhi lucidi in alcuni punti, e la fa innervosire quando deve alzarsi dal divano per tirare un colpo allo schermo e sperare che spariscano quella serie di linee e frammenti di uno specchio rotto.
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Fame di male
Horror🏆 Wattys 2022 Winner! 🏆 "Un becchino indaga su una serie di omicidi, ma si innamora della sospettata principale." Le notti di Deya sono tormentate dagli incubi. Alcune amnesie le fanno dimenticare ciò che ha fatto il giorno prima, cancellando porz...