third view pov
«Oggi è quel giorno. È l'anniversario di morte della mia famiglia. Il giorno che cambiò per sempre la mia miserabile vita.»
Il ragazzo si faceva strada tra gli alti pini al buio, da solo. Riusciva giusto a intravedere quel poco di luce lunare, il quale cercava disperatamente di riuscire a filtrare in quel fitto tetto di foglie creato dagli alberi. Si fermò solo per cogliere una rosa rossa da un cespuglio, e imperterrito continuò il suo cammino.
Aveva una faccia priva di emozioni, nonostante i suoi occhi rosso sangue trasudavano sempre un mare di sentimenti. Quella sera no, erano come spenti.
Ora mai erano passati 3 anni da quando ebbe iniziato a dedicarsi a questo, nell'esatto giorno dell'anniversario; Il primo anno, durante il tragitto di andata e ritorno, aveva perennemente gli occhi ricolmi di lacrime e non riusciva a smettere di piangere nemmeno per un momento, singhiozzando rumorosamente incurante di chiunque potesse trovarcisi.
Era uscito da quel labirinto, e si stava dirigendo in città. Di solito si sarebbe preoccupato della troppa gente, ma era già notte fonda e una mezza luna splendeva alta in cielo. Ad eccezione di qualche ubriacone seduto sul marciapiede ai piedi dell'asfalto, non c'era nessuno a cui importava minimamente abbastanza da degnargli attenzione.
In breve tempo si trovò lì, davanti a quella che 4 anni prima era casa sua. La fissò per qualche secondo, stringendo la rosa tra le mani; e nonostante le spine stessero graffiando i suoi pallidi palmi, sembrava l'ultimo dei suoi pensieri. La facciata era rovinata, ormai la vegetazione si stava facendo strada per rendere il posto inaccessibile. Non potendo entrare dalla porta, scavalcò la recinsione e si diresse verso il cortile, dove vi si trovava un albero che dava esattamente sulla finestra di quella che era la sua camera; ci si arrampicò sù ed entrò dentro. E una volta lì, lentamente riaffiorarono i ricordi, sempre più amari che dolci.
Il più silenziosamente possibile uscì da camera sua, nonostante non ci fosse più nessuno, e camminò per il corridoio dirigendosi verso le scale che lo avrebbero condotto al piano di sotto. Si soffermava ogni tanto a guardare le altre stanze, soprattutto le camere da letto. Iniziò a formarglisi un nodo in gola, mentre si accingeva a scendere le scale. E infine arrivò in salone, era la sua meta finale. Si avvicinò al divano e, come ogni anno, non smise un secondo di osservare quella foto di famiglia che ci aveva lasciato sopra.
Una volta davanti a questa, cadde in ginocchio con occhi lucidi, mentre la presa con cui stringeva la rosa nella sua mano si allentò leggermente, fino a posare il fiore davanti alla foto, tra le altre rose ormai secche che ebbe portato gli anni precedenti.
Il ragazzo sospirò mentre non riusciva a smettere di fissare quella foto. Tutti i bei momenti passati con suo fratello, il quale lo aveva sempre difeso da chiunque lo prendesse in giro. Sua madre, che non smise mai di incoraggiarlo nel seguire qualsiasi sogno, e che lo supportava più di tutti. E poi c'era suo padre.
La famiglia Hill.
Prese la cornice tra le mani e accarezzò il vetro pieno di crepe, mentre le lacrime iniziarono a rigare le sue guance. E con un filo di voce spezzato, ogni anno non riusciva mai a pronunciare una frase diversa:
«Non volevo, mi dispiace...»
(L'idea del personaggio è del capitolo sono stati realizzati da una persona a me tanto cara, i quali ho riportato per iscritto.)
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Natasha Ivanov
General Fiction"Natasha era, inevitabilmente, il diavolo. Natasha era, inevitabilmente, la donna più bella che chiunque avesse mai visto." © Tutti diritti riservati. Questo lavoro non può essere usato o adattato in qualsiasi modo senza il mio permesso.