35)-Soldati di rose.

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Natasha's pov

Sveglia alle cinque: esercizio, colazione, mi lavo e mi preparo.
Quella mattina il palazzo sembrava spaventosamente vuoto, quasi mi pareva mancasse all'appello qualcuno dei soldati vicini alle finestre.

Mi affacciai fuori nel cortile interno, spostando una tenda in modo da scoprire meglio la visuale:
era pieno di soldati militari. Tutti uomini in una lunga fila perfetta, ben composti, con le loro divise nuove e in stato impeccabile.
Cercai istintivamente papa, ma non lo trovai nel suo studio, né nella sala da pranzo, né nei saloni.
Non capivo che succedesse nel cortile, perciò l'unica soluzione plausibile era uscire fuori e scoprirlo per conto mio.

Sentivo solo gli stivali calpestare velocemente i pavimenti laccati dei corridoi infiniti, e controllavo il mio respiro ad ogni passo. Poi, quando aprii il portone che conduceva all'interno, sentii il rintocco di una campana, e al centro una bara ornata di milioni di rose scarlatte, con a capo qualche girasole, uno a sinistra della bara più grande degli altri.
E una realizzazione mi travolse come un macigno: non ebbi più rivisto Sonya.

Ma era impossibile, no? Quella docile e fragile ragazza non sarebbe mai potuta essere in quel cassone di legno, dedicato esclusivamente ai militari. Eppure avevo un nodo in gola, una sensazione tremenda, e sentii un dolore in particolare che non ebbi più provato da un decennio: mi faceva male la sclera dell'occhio sinistro; nulla di allarmante, ma un leggero pizzichio fastidiosamente doloroso.
Trovando papa con lo sguardo, mi avvicinai a lui a pochi metri dalla bara, e la campana continuava a rimbombare senza che nessuno fiatasse.

Guardai il volto di mio padre: era cupo, ma non triste.
Lentamente strinsi le mani attorno al suo muscoloso braccio e poggiai la testa sul bicipite, sospirando. Notai che tra tutti i presenti, un pianto faceva più fatica ad essere più silenzioso degli altri, e alzando la testa vidi Boris coprirsi la bocca e singhiozzare, e presumi fosse un suo famigliare, forse suo padre.
Appena il rimbombante suono finì, mi avvicinai alla bara e sgranai gli occhi:

La ragazza dai capelli dorati, ora incredibilmente corti, col viso sparpagliato di lentiggini; rampicanti e vegetazione che fuoriuscivano dalle sue narici, collegati alla rosa rossa che aveva dentro la bocca. I suoi occhi erano chiusi, indossava una divisa da militare, aveva delle mani femminili rovinate, con nocche violacee e dita fini. Lacrime iniziarono a sgorgare in automatico quando finalmente lessi che effettivamente, quella dolce defunta non era altro la ragazza di cui mi scordai per troppo tempo:

Sonyashnyk Gavarilyuk.

Inizio flashback.

Sonya's pov

Nessun soldato sapeva che ero una ragazza; il giorno che mi trovarono a Prip'jat feci in tempo a tagliarmi i capelli e fasciarmi quel poco che avevo di seno. Natasha non era mai tornata, e per molto tempo ho sperato che tra quei militari, in mezzo, si trovasse anche lei.

Nessuno lo sapeva, tranne il giorno in cui lo rivelai a Boris. Boris era un militare ma con poche esperienze, aveva due anni in meno di me.

Facevo fatica a fidarmi di chiunque, per questo e altre qualità mi scelsero per scendere in campo a combattere. E passai anni lì, crebbi a pane e sangue, manco fossi una cristiana. Boris fu l'unico con cui instaurai un piccolo rapporto, tutti gli altri erano numeri. Era l'unico soldato che dopo aver scoperto il mio sesso, tenne la bocca chiusa sempre e comunque, l'unico il quale non temevo potesse vedere la mia pelle nuda. Mi riteneva arte.

Quel giorno, lui non c'era, non poteva ancora andare a combattere essendo ancora in preparazione. E quella sera ero scesa in un campo militare, il quale pensavo fosse sicuro.

Ben presto però iniziammo a sentire incessanti spari verso gli accampamenti posti ad ovest, quelli con minor numero di difese, e con ordini del generale uscì per controllare subito.

Corsi chilometri, con l'AK-47 tra le braccia, mi buttai dietro sacchi e un compagno di fianco sparava e mi copriva le spalle, ma presto cadde a terra e i colpi cessarono per brevi secondi. Mi alzai, e guardai il cespugli di rose da cui usciva sanguinante un altro militare, ancora in vita. Mi avvicinai al suo corpo con cautela, puntandogli l'arma, convinta di poter portare qualcuno in base per fornirci informazioni; i suoi occhi grigi mi fissavano con un ghigno beffardo, e per quel breve momento di distrazione un proiettile mi colpì alle spalle, facendomi cadere a faccia su boccioli scarlatti e rovi che fecero confondere il mio sangue col colore di quei petali.

Sanguinavo dal petto e lentamente il mio respiro diminuiva, con la neve gelida non mi rendevo mai conto di com'era arrivata in fretta la primavera.

Fine flashback.

Natasha's pov

E continuai a piangere, e scusarmi a bassa voce all'aria, non mi sarei mai perdonata di averla persa di nuovo, poiché stavolta non c'era nulla che potessi fare.
Con le mani strette alla cassa di legno, le lacrime cadevano e bagnavano il suo braccio, e papa subito mi tirò delicatamente indietro.

«Мой маленький, la conoscevi...?»

«Да, papa! La piccola Sunny! Oh, papa..!»

Mi buttai tra le sue braccia e cercai di contenermi per rispetto, ma il dolore del rimpianto mi mangiava, e continuavo a non spiegarmi per quale motivo mi dimenticai così facilmente di lei. Da piccola mi dimenticavo spesso le cose per via del trauma, ma non immaginavo sarebbe stato così anche per lei. E se è così, allora mi chiedo quali altre importanti cose la mia memoria avrà rimosso.

Rimasi appiccicata a papa fino alla fine, e non lasciai il posto finché non riposero la bara nel cimitero. Per tutta la cerimonia non smisi di versare lacrime, e prima di andarmene riuscì a staccare un petalo da una delle rose, e poi lasciai il posto insieme a tutti.
Al palazzo potei parlare con Boris, che mi raccontò ogni cosa, anche lui in costante pianto che cercavo invano di calmare, poiché aveva perso la ragazza di cui si era perdutamente innamorato.
E pensai che era troppo giovane per tutto ciò, per provare il dolore di una tale perdita, e cercai di stargli il più vicina possibile.

Con il ragazzo ormai addormentato tra le mie braccia pensai a Susan, amaramente.
Rimpiangevo il modo in cui l'ebbi lasciata, il modo in cui ci salutammo l'ultima volta prima che partì. Pensai che almeno a questo potevo rimediare senza cavarmi un'occhio.

Natasha IvanovDove le storie prendono vita. Scoprilo ora