23)-Molly Edwards.

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Molly's pov

Ero già sveglia da qualche minuto, qualche minuto prima che potessi sentire quella dannata sveglia...Giacevo sul letto, metà lenzuolo copriva il mio corpo per bilanciare il caldo e il freddo, tenevo gli occhi chiusi, ma quella poca luce che entrava nella mia stanza faceva già la sua parte per non permettere che mi riaddormentassi.

Ben presto i miei pensieri vennero interrotti, sentii finalmente quel suono tormentante.
Spensi la sveglia e mi sedetti sulle coperte, stropicciandomi gli occhi per qualche secondo; mi guardai intorno: la mia stanza era un po' un casino. Vestiti sparsi per terra, alcuni sull'angolo del mio letto, e quei sacchetti d'erba qua e là facevano quasi da ornamento. Dovevo ancora venderli.
Mi alzai, e attraverso la stoffa delle calze potei comunque sentire quanto freddo fosse il pavimento. In verità, tutta quella stanza era fredda, come sempre.

Sono Molly Edwards. Un'adolescente con dipendenza da sostanze stupefacenti e fumo.
Non mi piace molto bere.

Mi diressi verso il bagno, dovevo farmi una doccia. Mi tolsi la canottiera, i pantaloncini, le mutande e le calze; tutto quello che indossavo per dormire.
Aprii l'acqua, anche questa fredda, per svegliarmi. Entrai in doccia ed iniziai a lavarmi i capelli, sperando di mandare un po' via quell'odore di fumo che si era accumulato nella mia stanza la sera prima; Feci la stessa cosa per il mio corpo, e mentre mi risciacquavo l'acqua ghiacciata proveniente dai miei capelli percorreva tutta la mia spina dorsale: mi svegliai del tutto.

Uscì, mi asciugai il corpo e mi guardai allo specchio prima di rivestirmi: i miei capelli sono rossicci, un rosso chiaro. Ho la faccia piena di un migliaio di piccole lentiggini; i miei molari superiori hanno un diastema. Ciò che la gente notava prima di ogni altra cosa però erano i miei occhi verdi; al momento le mie pupille erano ancora leggermente dilatate, e c'erano delle occhiaie parecchio evidenti.
Evitai di guardare per troppo tempo il resto del mio corpo che odiavo così tanto, le mie braccia e le mie cosce entrambi pieni di cicatrici e tagli che guarivano, parevano mille codici a sbarre, e tutto quel grasso della mia pancia, e le mie smagliature.

Indossai un felpa verde scuro di una taglia in più, e un pantalone nero e largo. Misi un paio di calze addosso e mi asciugai i capelli, per poi legarli in due codette basse.

Dopo aver messo le scarpe, guardai l'orario dal telefono mentre presi lo zaino, indossando solo una delle due spalline. Se avessi camminato velocemente forse sarei arrivata in orario. Non avevo fame, quindi uscii direttamente di casa, quella casa quasi in mezzo al nulla. Non avevo nemmeno voglia di ascoltare musica quella mattina, mi sentivo talmente vuota.
In totale postume.

Guardavo i miei piedi fare un passo dopo l'altro, la mia mente veniva lentamente riempita dai pensieri e dalle preoccupazioni giornaliere, e sicuramente andrà avanti così per tutto il giorno. Penso di nuovo ai miei zii, e ai miei genitori.
Sono metà polacca, anzi, credo di essere del tutto polacca. Ricordo ancora la lingua, ma non ho nessun ricordo che non sia sfocato di quel posto. I miei mi lasciarono in custodia ai miei zii quando ebbi compiuto 10 anni.

"Ti porteranno in america per una settimana, o forse due, considerala come una piccola vacanza, małe pierogi."

Ma quella settimana si trasformò presto in due, poi tre, poi un mese, poi sei, dodici. Non odiavo tanto i miei zii, ma spesso mi piangevo la notte perché mi mancavano entrambi mamma e papà, e non avevo mai notizie di loro. Ogni volta che chiedevo a loro, avevano una scusa diversa.
Finché, raggiunti i 14 anni, uscirono di casa il giorno del mio compleanno.

"Sei abbastanza indipendente adesso."

Mi dissero.

"Sei una ragazza forte, te la caverai al liceo!"

Che stronzate.
Il giorno prima ebbero preparato le loro valigie, e le avevano riposte nel cofano del pick-up di mio zio, li avevo sentiti la notte stessa.
Uscirono di casa senza ulteriori spiegazioni, lasciandomi sola con una piccola tortina alla vaniglia, e una candela accesa su di essa.
E ricordo ancora il sapore di quella torta; fuori era leggermente bruciata, e dentro non era del tutto cotta, e sapeva di cera sciolta. Quando soffiai la candelina, con gli occhi ricolmi di lacrime, desiderai di trovare qualcuno o qualcosa che potesse rendermi felice e colmare quella solitudine, ed effettivamente in qualche modo l'avevo già scoperta, solo che al tempo non ne ero così dipendente come ora:
la droga.

Qualsiasi tipo di droga mi andava bene, ma generalmente, la mia preferita era quella col mio stesso nome: MDMA, o Ecstasy (in pillola), o Molly. La droga dell'amore, capace di farmi provare qualche emozione più accesa del solito ed evitare che io non cadda in pura depressione tutto il tempo.
Basta una compressa e sono apposto,
sono le mie pastiglie felici.
Amo anche l'erba, la fumo con frequenza, molto meno di quanto usufruisca della cocaina.
Non mi piace l'eroina, ho paura delle siringhe.
Proverei metanfetamina, ketamina, e forse LSD.

Arrivai finalmente a scuola, un edificio cupo.
Era una giornata nuvolosa, quindi rendeva il tutto ancora peggiore di quanto non lo fosse già.
Gli scalini erano colmi di ragazzini, tutti separati gruppi, e alcune coppiette che si pomiciavano e si limonavano senza alcun pudore; ne ero gelosa.
Suonò la campana, entrai evitando tutti, in quel momento non volevo parlare con nessuno, anche se sapevo già che sarebbe stata un'impresa impossibile.

Mi avvicinai all'armadietto, lasciai alcuni libri dentro, e poi sentii una mano afferrarmi il colletto della felpa con forza, lasciandolo subito dopo.

«Ma guardate ragazzi, Edwards è venuta a scuola! E stranamente puzza di tabacco.»

Era Roger, un ragazzo più grande di me. È patetico come ragazzo, un "bullo" con l'autostima ai piedi che si sfoga su altra gente. Un classico, purtroppo non riuscivo a evitarlo ogni giorno come avrei voluto.

«E tu puzzi di sudore. Ma ti senti?»

Il gruppetto di ragazzi che gli stavano appresso quasi ulularono come coglioni tutti in coro dopo quella mia battuta. Ma quel momento durò poco.

Mi sbatté all'armadietto, tenendomi ancora per il colletto, e non dissi nulla.

«Mi sa che oggi vuoi botte, vero Edwards? Ci sarà un motivo perché nessuno ti si fila, perché sei grassa e brutta. E perché sei una cazzo di cocainomane.»

E fece per darmi un pugno, ma suonò di nuovo la campanella per le lezioni. Quindi il pugno divenne un veloce schiaffo, ma non fiatai in qualsiasi caso, non gli diedi nessuna reazione nonostante mi avesse fatto male, ero quasi abituata. Lo guardai camminare via, rideva di gusto insieme ai suoi amici, ed io mi diressi in classe con una guancia rossa.

Non andavo spesso a scuola, a nessuno importava delle mie assenze, il sistema scolastico americano era pessimo. Odiavo la scuola, ma perlomeno avevo le basi per non essere ignorante.

Finita la giornata, tornai a casa solo per addentare un pezzo di pane, ma ormai non mangiavo da due giorni circa, e finì per mangiare più di un pezzo di pane, e infine mi sentii in colpa. Quindi decisi di andare in bagno, ficcarmi due dita in gola e vomitare tutto.

Ero grassa e brutta, no?

Guardai l'orario, erano le 16:15.
Mi lavai i denti, accesi una canna ed iniziai a fumare, poi presi lo skateboard e mi diressi verso l'unico posto dove ci sarebbero state le uniche due persone a cui mi faceva più o meno piacere rivolgere la parola: Laffey e Magnolia.

Laffey era esuberante come sempre, Magnolia era...beh, si comportava da mamma severa iperprotettiva, quasi facendomi un interrogatorio su cosa fosse successo a scuola. Non le dissi di Roger, rispondevo sempre con

«È andata normalmente» o «È andata come sempre»

E poi si rimise a pattinare attorno allo skatepark insieme a Paco, mentre stavo su una panchina a fumare, e Laffey metteva nuovamente musica a palla.

Ogni tanto mi giravo verso quella foresta che confinava con il parco, mi attraeva in qualche modo ma allo stesso tempo ero leggermente impaurita dall'idea di doverla esplorare. Anche perché, volevo evitare di essere uccisa,

o forse è proprio quello che volevo, ma dovevo solo trovare il coraggio, e il momento giusto.

Natasha IvanovDove le storie prendono vita. Scoprilo ora