Susan's pov
"Un'altra sera come le altre" mi sarei detta, se lo fosse davvero stata.
Ma con mio padre che alternava con il lavoro alla casa non sarebbe mai stata una sera "come le altre."
Ho la fortuna di non avere un padre particolarmente alcolista, ma credo sia molto peggio di un alcolista. Mio padre fuma, sigarette, sigari, è estremamente dipendente dai soldi, è parecchio tirchio, per questo è raro che io gli chieda anche solo qualche spicciolo. Ma questa sicuramente non è la parte peggiore. Ha un carattere di merda, e non lo sopporto, a volte ha cercato pure di tirarmi qualche colpo, ma effettivamente non ha mai avuto il coraggio.Con questo suo atteggiamento, mio padre mi fa sentire ogni giorno sempre di più la mancanza di mia madre, eppure non osiamo mai nominarla in casa. Il suo nome era Marley, Marley Penelope Wyatt. Era una donna afroamericana, dagli occhi chiari e i capelli ricci vaporosi...Mia madre era a dir poco stupenda, fuori e dentro. Almeno, io, la trovavo meravigliosa. Sapeva prendersi cura di mio padre come nessuno, era l'unica donna, o meglio, l'unica persona che lo rendeva un po' meno stronzo, era come il suo dolcificante, per questo stavano quasi sempre insieme. Lei era una donna magica.
Mi ricordo fin troppo bene il giorno in cui morì mamma, era il 28 Ottobre 2004. Avevo compiuto 10 anni da 5 giorni, e al tempo papà non era esattamente l'uomo che è adesso. Faceva parte di una piccola gang quasi mafiosa per certi crimini commessi da loro, ma non così esageratamente gravi. Il giorno che decise di uscirne completamente, rendendosi conto dei guai in cui si stava cacciando (e perché la sua reputazione è più importante di ogni altra cosa per lui), iniziarono tutti i nostri problemi. Così tanti problemi, sia economici che personali, che papà dovette subito cercarsi un nuovo lavoro, cambiare città. Al tempo avevamo una casa a Filadelfia, in New Jersey, e abbastanza soldi per viaggiare dall'altra parte degli stati uniti, a Los Angeles. Il giorno, avevamo tutti i bagagli pronti, mi ricordo ancora la stranissima sensazione di vedere la mia casa completamente svuotata, e ogni volta che la riguardavo la mia mente riaffiorava ogni ricordo: il giorno che mamma mi insegnò ad andare in bici, tutte le estati passate con la piscina di plastica nel nostro bellissimo giardino, e dopo ogni bagno mi faceva sempre mangiare un ghiacciolo all'arancia; tutti i natali passati ad addobbare eccessivamente la casa sia fuori che dentro, e tutte le volte che mamma si sedeva nella poltrona in salone a fare cose all'uncinetto...mamma era bravissima, ogni tanto provava a insegnarmi come fare alcune semplici cose, ma ero abbastanza piccola, e non riuscii mai ad imparare. Cercai di farmi coraggio, lasciando tutti quei ricordi alle spalle, perché sapevo che sarebbe stato un nuovo inizio per tutti noi, e trasferirci era la cosa migliore.
Ricordo che dopo aver riguardato la casa, andammo tutti sul retro in modo da partire da lì con l'auto, perché esso aveva una scorciatoia che portava nella strada dove avremmo proseguito il viaggio indisturbati. Papà mi disse di salire in macchina, e così feci. Mamma si avvicinò a me, togliendosi dal collo la collana di perle che teneva ogni giorno, e me la mise al collo.
«Questo è per te, dear...è un regalo, per ricordare questo grande cambiamento.»
«Thank you mommy!»
E dopo questo gesto, mi aiutò ad allacciare la cintura. Guardai entrambi dal finestrino, prima si baciarono, poi vidi la faccia preoccupata di papà, e in seguito quella di mamma. Iniziarono a parlare, non sentivo esattamente quello che dicevano, quindi assumi solamente che avessero sentito un rumore, o che dovettero dare un'ultima occhiata per sicurezza, per non aver dimenticato nulla. Quindi li vidi fare il giro della casa, per tornare alla facciata e controllare.
Ci fu un grande silenzio per circa 10, forse 15 minuti, avevo perso la cognizione del tempo facilmente perché avevo un sacco di cose che mi frullavano in testa. E qualsiasi cosa io stessi pensando in quel momento, venne completamente interrotto da un forte botto: era uno sparo.
Non respirai per qualche secondo, il mio cuore batteva a mille e non avevo il coraggio di muovermi, anche se avessi voluto, in quel momento non ci sarei riuscita. Poi sentii mio padre correre sul retro, salì dentro e partì ad una velocità allucinante, ma nessuna traccia di mamma.
E lì, in quel momento per quanto fossi una bambina docile e calma, iniziai a dare il peggio di me.
«DOV'È MAMMA? DOV'È? DOV'È MAMMA?»
Urlai, scalciai e presi a pugni il suo sedile, continuando a chiedere la stessa domanda. Ribollivo di rabbia e nervoso, poi iniziai a tirare i suoi capelli, i capelli che aveva ancora al tempo.
«SUSAN FINISCILA!»
Smisi con i suoi capelli, ma continuai a scalciare e dare colpi, disperata.
«TUA MADRE È MORTA.»
E calò il silenzio di nuovo, per qualche secondo: qualche secondo per farmi processare queste 4 parole uscite dalla sua bocca.
«L'ha sparata il capo della mia ex gang. Ora lasciami guidare se non vuoi morire anche tu.»
Iniziai a respirare in modo ancora più affannoso, e lanciai un ultimo urlo, che mi fece perdere il fiato, e iniziai a piangere. Piangere, e piangere, e non feci altro perché vidi la mia vita crollarmi davanti agli occhi, nonostante fossero così offuscati dalle lacrime. Mio padre pianse in silenzio, ne sono sicura, mia madre era l'unica persona che ebbe mai amato, non provava nemmeno un minimo di affetto per me come lo provava per quella donna. Ma rimugino ancora sulle sue parole, effettivamente: "..se non vuoi morire anche tu".
Se non fossi stata piccola e sensibile, se avessi avuto il coraggio, gli avrei detto che in quel momento avrei effettivamente voluto morire anche io, perché mamma era tutto per me, e non lo avrei mai tollerato.
Tutt'ora non lo tollero, ma in questa casa a Los Angeles non c'è niente che mi rimane di mamma, ho solo un maglione blu che aveva fatto a maglia uno di quei pomeriggi, per quando sarei cresciuta, e la sua collana, che indosso e custodisco come se fosse la cosa più importante al mondo, come se fosse di un valore inestimabile. Mio padre provò più volte a convincermi di venderla, ma questo non sarebbe mai accaduto, nemmeno se fossi in pericolo di morte. Quando ci trasferimmo e iniziai le medie, mio padre prenotò per me una psicologa, che dopo un anno mi diagnosticò con depressione da lutto, che si dilungò per anni, e che tutt'ora ho, che mi portò a praticare autolesionismo, e spesso mi causò problemi alimentari. Portarmi da uno psicologo fu l'unica cosa decente che fece mio padre in tutta la mia vita.
Quella sera, dopo aver ripensato a questo giorno, mi rinchiusi come sempre nella mia stanza, a chiave. Mi buttai sul mio letto e mi ficcai dentro le coperte. Mi misi un paio di auricolari, posai gli occhiali sul comodino e feci partire un po' di musica per piangere, così da potermi sfogare e dover affrontare un altro giorno della mia vita senza mamma.
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Natasha Ivanov
General Fiction"Natasha era, inevitabilmente, il diavolo. Natasha era, inevitabilmente, la donna più bella che chiunque avesse mai visto." © Tutti diritti riservati. Questo lavoro non può essere usato o adattato in qualsiasi modo senza il mio permesso.