"La volpe è arrabbiata, si salvi chi può"

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Hanamichi aveva lasciato lo spogliatoio con l'idea precisa di trovare Rukawa e di mettere fine alla loro storia. Non voleva rischiare che la loro frequentazione portasse ancora più scompenso di quanto già non avesse fatto e, in più, era sicuro che Kaede si fosse pentito di essersi lasciato andare a quel sentimento, diventando così, a causa sua, il ragazzo più chiacchierato della scuola. 

Sakuragi era stanco di vedere le persone a cui voleva bene soffrire per colpa della sua stupidità e dei suoi desideri, il fatto che quel giorno Kaede non si fosse presentato agli allenamenti stava ad indicare che, le cattiverie gratuite ed i pettegolezzi crudeli, alla fine erano stati in grado di scalfire anche il menefreghismo del numero undici turbandolo. Ecco perché, senza rifletterci troppo, convinto che quella fosse l'unica soluzione possibile, si era diretto fuori dalla scuola di corsa, sicuro di trovare il numero undici al loro campetto, intento ad allenarsi in solitaria come sempre.

Gli avrebbe fatto male. 

Hanamichi poteva già sentire il dolore di quella perdita farsi largo nel suo cuore e trafiggerlo. Avrebbe sofferto ma, almeno sarebbero stati entrambi liberi di poter continuare a vivere la scuola in pace e, soprattutto, non sarebbero stati costretti ad abbandonare quel collante che li aveva fatti incontrare a metà strada l'uno sul cammino dell'altro. Il basket li avrebbe fatti sentire sempre uniti in qualche modo. 

Hanamichi non aveva pensato nemmeno per un minuto di assecondare le male lingue dei suoi compagni di scuola, prendendo la decisione avventata di abbandonare la squadra, non ci sarebbe mai riuscito, perdere Kaede sarebbe già stato il dolore più grande mai provato dopo la scomparsa di suo padre, rinunciare anche al basket, avrebbe significato, eliminare del tutto dalla sua esistenza la luce e quello spiraglio di gioia tanto difficilmente conquistata nell'ultimo anno. Forse Rukawa sarebbe stato clemente con lui, permettendogli, o meglio illudendolo, che quella decisione l'avesse presa il numero dieci perché era giusto così e non perché con quell'assenza le paure di Hanamichi si erano fatte più oscure rischiando così da divorarlo accerchiandolo senza permettergli una via di fuga.

Ad ogni passo fatto, metro dopo metro, mentre il punto d'arrivo si faceva sempre più prossimo, il rossino sentiva il suo animo farsi sempre più pesante ed inquieto, quasi come se fosse spaventato all'idea di trovarsi di fronte al ragazzo che stava disperatamente cercando di lasciare e, sperando inconsciamente, che quest'ultimo gli impedisse di farlo.

Povero illuso, si disse Hanamichi raggiungendo l'ingresso del parchetto ed avviandosi a passo svelto verso il campo da basket, ansioso di chiudere al più presto quella partita, lasciata fin troppo in sospeso, con una sconfitta.

"Kaede?" Hanamichi voleva provare per l'ultima volta quell'emozione. Il tremore nella voce di pronunciare quel nome con un tono così carico di sentimento che, dopo la conversazione che si era creato nella mente, era sicuro non sarebbe più riuscito ad usare con nessun altro.

Tornare alle testate, alla rabbia, a tutto quel processo di ricerca dell'attenzione da parte dell'altro verso sé stesso per far capire al numero undici che lui c'era, che era lì e che voleva essere visto proprio da quelle iridi nere e profonde, non sarebbe più stato possibile. Quella rottura si sarebbe portata via anche quel loro strano modo di interagire, di viversi a vicenda come la maledetta volpe artica e l'eterno re degli idioti.

Hanamichi avrebbe perso tutto quello nell'arco di pochi secondi, non era pronto ma sapeva che quella era l'unica soluzione possibile e, che il volpino con il suo solito silenzio avrebbe dato il suo consenso a quella separazione inevitabile.

"Kaede? Rukawa? Volpe?"

Il rossino si guardò attorno perplesso nel trovare il campo da basket deserto. 

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