1. Cielo a pecorelle

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"Attenzione, stiamo per atterrare a Roma Fiumicino"

La voce dell'hostess richiamò Simone dal sonno in cui si era immerso per buona parte del viaggio.

Era quasi giunto il momento dell'atterraggio sul suolo italiano, un evento annuale che ormai il giovane detestava con tutto se stesso.
Non perché schifasse particolarmente la sua terra natia eh, anzi. Roma gli mancava un po' di più ogni anno che passava. In fondo, aveva vissuto lì per i primi dieci anni della sua vita e sarebbe sempre stata casa sua, più di quanto Glasgow avrebbe mai potuto esserlo.

Ciò che indispettiva il giovane Balestra e lo rendeva così restio ogni anno a lasciare il freddo umido della Scozia per il caldo sole di Roma non era il luogo, erano le persone.

E anche così a preoccuparlo non era certo l'incontro con i suoi migliori amici di infanzia, Laura e Pin, né tantomeno il pensiero di riabbracciare nonna Virginia. E ovviamente era felice di ritrovare il suo amato gemello Lapo.

Il motivo per cui ogni anno Simone odiava Roma un po' di più aveva un nome e un cognome, purtroppo uguale al suo: Dante Balestra.

Simone non aveva mai avuto un buon rapporto con suo padre, fin da bambino. Se lo ricordava, anche prima dell'incidente, come un uomo chiassoso e pure un po' impiccione, l'esatto opposto di come era lui, che fin da piccolo era sempre stato riservato e molto preciso in tutto ciò che faceva.
Per questo, da sempre, Simone aveva prediletto la compagnia di sua madre, Floriana. Da lei aveva ereditato la precisione e la passione fervente per la scienza e la matematica, di cui ammirava la capacità di trovare follia nel rigore.

Dante non aveva mai realmente compreso la magia che il figlio percepiva nei numeri, avendo sempre prediletto le parole. E lo stesso aveva sempre fatto Jacopo, da sempre più affine per personalità e inclinazioni al padre.

Forse, se non ci fosse mai stato l'incidente, tra lui e Dante sarebbe potuto nascere un buon rapporto. Un rapporto fragile, certo, perché due anime come le loro non sarebbero mai state pienamente affini, ma forse avrebbero potuto trovare un punto in comune.

Ma quella notte aveva cambiato tutto.

Scendendo dall'aereo, Simone scorse subito il viso sorridente del padre.
Non capiva cosa ci trovasse di divertente in quella situazione: per lui non c'era alcun motivo di essere allegri. Avrebbe preferito mille volte rilassarsi sui prati di Kelvingrove Park con i suoi compagni di scuola in quel momento.

"Ciao Simò." disse suo padre, un sorriso raggiante sul volto segnato dalle prime rughe, che cercava di nascondere dietro agli occhiali da sole.

Dante Balestra era fatto così: era un uomo che non aveva mai realmente accettato di non essere più ragazzino. In passato, quando Simone aveva vissuto in pianta stabile a Roma, gli era sempre parso di essere lui l'adulto, la persona con la testa sulle spalle che aveva la responsabilità di mantenere disciplina e rigore in casa.
Suo padre, di rigore, conosceva solo quello calcistico. Questo era evidente anche dal suo aspetto, gli occhiali da sole giovanili e la camicia un po' sbottonata mentre si sbracciava per farsi notare. Come se Simone potesse non accorgersi della sua ingombrante presenza.

Rivolse al padre un cenno del capo noncurante, che però non fu in grado di sedare il suo entusiasmo. Dante si avviò di buona lena verso l'uscita dell'aeroporto e Simone lo seguì di malavoglia, arrancando per il peso del trolley dietro di lui e per quello ancora più ingombrante del proprio malumore.

Il cielo sopra Fiumicino era limpido, di un azzurro terso che raramente si poteva ammirare in Scozia, ma Simone percepiva quel cielo così allegro come una presa per il culo, una gigantesca burla che la vita aveva architettato alle sue spalle. Anche le poche nuvole, sottili ed effimere come petali di margherite, sembravano ridere di lui.

Per tutto il viaggio in auto non distolse lo sguardo da quelle nubi, che parevano inseguirlo per continuare a deriderlo e umiliarlo per la sua situazione. Non si curò di Dante, che seduto al posto del guidatore intonava -o più correttamente stonava- l'ultima canzone di Jovanotti a squarciagola. Se vi avesse prestato attenzione, probabilmente le nuvolette beffarde si sarebbero dissolte a causa delle risa incontrollate che la sua sfortuna provocava loro.

Il tragitto da Fiumicino a Fregene durò venti minuti, ma a Simone sembrarono almeno il triplo. Con la sgradita compagnia di suo padre, si ritrovò a pensare che avrebbe di gran lunga preferito una tediosa e soporifera lezione di letteratura inglese insieme ai suoi amici scozzesi a un solo altro minuto in auto con quell'uomo che ora strillava una vecchia canzone di Vasco.

Finalmente, dopo quelle che parvero ore, giunsero nella villa a Fregene che ogni anno li ospitava per l'estate. Anche questa, come quella di Roma dove abitavano suo padre e Lapo, era di proprietà di sua nonna Virginia, e proprio per questo era munita di un enorme e grazioso giardino. La casa, pur non essendo grande come quella di Roma, aveva un considerevole numero di camere da letto, cosicché durante l'estate tutti i membri della famiglia Balestra potessero godere dell'aria marittima con comodità. Anche quando la villa era invasa da Simone, Lapo, Dante e nonna Virginia, infatti, rimaneva una camera vuota, pensata per eventuali ospiti che però, a causa dei vari drammi familiari dei Balestra, a memoria di Simone non c'erano mai stati.

Vedere la villa, circondata dai fiori e dagli alberi curati con tanto amore da sua nonna, risollevò l'animo del giovane almeno in parte. Nonostante suo padre e nonostante tutti i brutti ricordi legati a Roma, il villino a Fregene era sempre stato per lui un'oasi di pace. Non era forse il posto più bello del mondo, ma solo quel giardino e quelle mura riuscivano a sedare il suo animo costantemente tormentato dalla tempesta.

La prima persona che vide sceso dall'auto fu sua nonna Virginia, che si premurò di salutare affettuosamente con un abbraccio e un bacio sulla guancia. Virginia Villa era una donna raffinata, un po' bizzarra forse, ma la sua stranezza non faceva altro che contribuire al suo fascino. Simone non riusciva a comprendere come da una donna così raffinata fosse potuto nascere un uomo come suo padre.

Lasciando la nonna alle sue amate rose, entrò nell'atrio della spaziosa abitazione. Non fece in tempo a chiudere la porta dietro di sé, poiché fu subito raggiunto e bloccato da una figura a lui ben nota e da lui molto amata.

Jacopo era la sua essenza più profonda, la sua metà perfetta. Simone non avrebbe mai potuto vivere senza di lui. I due si compensavano perfettamente fin dall'infanzia: nei racconti di sua madre, infatti, Lapo era tra i due il bambino scalmanato, che non stava mai fermo. Tra i fratelli, sicuramente, era lui quello che aveva fatto maggiormente disperare Dante e Floriana. Per ovvi motivi questa sua caratteristica si era notevolmente mitigata dopo l'incidente, ma il ragazzo rimaneva un concentrato di energia esplosiva e impulsività, perfettamente complementare al fratello, più riservato e riflessivo.

Simone si voltò subito con un grande sorriso, il primo di quella giornata grigia, e si chinò immediatamente per abbracciare il gemello. Jacopo gli gettò immediatamente le braccia al collo, rischiando di sbilanciare la sedia a rotelle che ormai lo accompagnava da dieci anni.

"Finalmente sei arrivato! Pensavo 'un venissi più" disse Lapo con entusiasmo, e Simone non potè fare a meno di sorridere affettuosamente alle parole del fratello. Nonostante fossero gemelli, si era sempre sentito il più grande tra i due, e aveva sempre avuto un fortissimo istinto di protezione nei confronti dell'altro, tanto da arrivare ogni tanto a trattarlo come un fratellino. L'incidente non aveva fatto altro che accentuare questa sua naturale inclinazione.

"Arrivo subito Là, mi faccio una doccia e poi sono tutto per te" disse, dirigendosi poi verso il bagno al pianterreno della villa.

Una volta giunto davanti alla stanza, rimase abbastanza perplesso nel trovarsi davanti una porta chiusa. In quella casa, nessuno chiudeva la porta del bagno se non quando era occupato, ma in quel momento nessuno degli inquilini della villa si trovava nel locale. Suo padre era fuori con sua nonna, e aveva appena visto Lapo in corridoio.

Non comprendendo la situazione, decise di bussare.
"Sta occupato." rispose una voce al di là della porta, lasciando Simone assai perplesso. Chi c'era nel suo bagno?

Bussò di nuovo insistentemente finché la porta non si aprì.

"E tu chi cazzo sei?"

Nota autrice:
non pensavo ce l'avrei mai fatta ma here we are. fatemi sapere cosa ne pensate e se mi va seguitemi su twitter, sono @elippoxmvdecine

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