17. Anita

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Roma, 27 Luglio

Sapeva di non essersi comportato correttamente. Lo sapeva perfettamente anche nel momento in cui era uscito dalla camera di Simone, aveva raccolto le sue cose senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo ed era tornato a Roma con una scusa talmente banale che era sicuro che Dante non ci avesse creduto manco per sbaglio.

Era stata una mossa stupida, avventata e da codardo, ma Manuel non si era mai vantato di essere una persona riflessiva. In quel momento era estremamente confuso, non comprendeva sè stesso né i propri sentimenti e questo lo mandava in cortocircuito.

Si era comportato di merda, ma lo avrebbe fatto in ogni caso. Si era autoconvinto che stare lontano da Simone e non fargli pagare gli effetti della sua confusione fosse la scelta migliore.

Simone.
Cosa provava lui per Simone? Bella domanda. Non aveva manco mai pensato di poter provare qualcosa per lui fino al giorno in cui avevano parlato dell'incidente. No, okay, ad essere sinceri qualche dubbio gli era venuto quando Simone lo aveva baciato per la prima volta, ma aveva messo quei pensieri da parte piuttosto in fretta: a lui non erano mai piaciuti i maschi, e sicuramente era normale avere un qualche tipo di reazione dopo aver scoperto di piacere al proprio migliore amico. Era stato facile fare finta di nulla.

Ma poi c'era stato quel giorno in camera di Simo, dopo che il più piccolo si era aperto completamente con lui, rivelandogli il più intimo dei suoi segreti perché si fidava di lui, e qualcosa in Manuel si era mosso. E sapeva che qualsiasi cosa fosse, non sarebbe mai più potuto tornare indietro. Quel terremoto che aveva sentito dentro di sé, una forza che incontrastabile lo aveva spinto sulle labbra dell'altro, avrebbe lasciato dei segni permanenti sulla sua anima, sul suo cuore. Per quanto si sforzasse, non poteva evitarlo.

Da quando era tornato a Roma passava le giornate nel suo garage, trafficando con gli attrezzi e dimenticandosi persino di mangiare. Si era impuntato su un'impresa impossibile: riparare una moto vecchissima, che non funzionava da decenni e probabilmente non avrebbe mai ripreso ad andare. Qualcosa nella sua testa gli diceva che se fosse riuscito ad aggiustarla, sarebbe riuscito a riparare anche se stesso, a risolvere il casino che gli attanagliava le viscere e gli rendeva difficile respirare.

Sua madre era preoccupata. Non c'era bisogno che lei glielo dicesse per comprenderlo: Manuel la conosceva troppo bene, e lei conosceva troppo bene lui. Erano sempre stati solo loro due, fin da prima che lui nascesse: un padre, Manuel, non lo aveva mai avuto, e Anita aveva perso ogni sostegno dalla sua famiglia quando aveva scoperto di essere incinta.
Non avevano nessun altro, erano solo loro due. Manuel aveva presto imparato a interpretare il linguaggio corporeo di sua mamma, le inflessioni della voce, perché sapeva che la donna non gli avrebbe mai detto nulla per non farlo preoccupare, ma allo stesso tempo lui era l'unica persona che avesse.

Per questo non era stato difficile per lui capire che Anita era preoccupata e che non aveva creduto manco per un secondo che fosse tornato a Roma solo perché sentiva la sua mancanza. Sua madre sapeva essere un po' ingenua, talvolta, ma non era scema: sapeva che doveva essere successo qualcosa che lo aveva portato a fuggire via.

Era a casa da tre giorni quando Anita decise che era ora di risolvere la questione: per i primi giorni aveva lasciato a Manuel lo spazio per riflettere su qualsiasi cosa fosse accaduta, sperando che il ragazzo le parlasse di propria iniziativa. Ma ovviamente suo figlio era testardo e non ne aveva voluto sapere di parlarle. Quindi era stata costretta ad agire.

"Ma quindi che è successo, Manu?"
Manuel alzò la testa dal piatto di spaghetti al sugo che stava mangiando: aveva accettato di rientrare in casa per cena solo per non far preoccupare sua madre, ma non si aspettava certo un interrogatorio simile.
"Ma come che, mà. Nulla è successo t'ho detto, me mancavi e dato che quel bastardo ora sta 'n galera sono tornato a trovatte."

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