15. Jacopo

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TW: descrizione grafica di attacchi di panico, f word

Buio.

Buio e silenzio.

Era chiuso nella sua stanza da una settimana. Non era uscito nemmeno per mangiare, solo per andare in bagno e cercava di farlo il meno possibile.

La prospettiva di vedere Manuel lo terrorizzava.
Cosa sarebbe successo se si fosse trovato davanti il ragazzo più grande? L'altro avrebbe voluto almeno guardarlo negli occhi? Probabilmente no.

Probabilmente sarebbe stato troppo schifato da Simone, avrebbe ripensato a quel gesto che aveva compiuto avventatamente in un momento di euforia e avrebbe provato disgusto, rabbia.
Forse ora lo odiava. Non lo aveva fatto quando era sparito per cercare di placare la tempesta, ma probabilmente in quel momento lo odiava.

Intorno a lui, il buio.

Le finestre della camera erano chiuse, così come la porta. Sul comodino giaceva un piatto mezzo vuoto di pasta, che suo padre aveva insistito per portargli, le sopracciglia aggrottate in una smorfia preoccupata.
Accanto al piatto, un libro. Per l'ennesima volta in quella settimana lesse il titolo, stampato a caratteri dorati sulla copertina blu: "Logica, Aristotele". Ovviamente un prestito di Manuel, che aveva commentato che dato che lui quelle robacce di matematica le capiva per davvero probabilmente avrebbe capito pure la logica.

Sentì l'ennesima lacrima cadere sul cuscino.

Chissà cosa avrebbe pensato Manuel di lui, nel vederlo così fragile e infantile. Probabilmente lo avrebbe deriso, sempre se il suo disgusto glielo avesse permesso. O forse lo avrebbe insultato, gli avrebbe rivolto uno di quegli epiteti che Simone aveva sentito tante volte nei film e per le strade, una di quelle parole irripetibili riservate a quelli come lui.

Chiuse gli occhi per un istante e subito nel buio apparve il viso di Manuel, lo sguardo perso e confuso che gli aveva visto quel pomeriggio. Ma poi lo sguardo mutò, gli occhi divennero sottili e le sopracciglia si abbassarono, tutto il suo corpo teso come la mascella squadrata.

"Che cazzo fai eh, Simò? Sei scemo?" Il Manuel del sogno era cattivo, aggressivo.
"Scusa" sussurrò Simone, gli occhi ancora chiusi e i pugni stretti attorno al lenzuolo.
"Scusa un cazzo, Simò. Non ci sono scuse per quello che m'hai fatto."
"Non volevo. Ti prego, non volevo." Aveva iniziato a singhiozzare, nemmeno lui sapeva di preciso quando.

"Sì che lo volevi, Simò. E lo sai perché?"
No. No. No. Non dirlo. Ti prego no.
"Perché sei un frocio. Ecco cosa sei, un cazzo di finocchio."

I suoi polmoni non trovavano l'aria. Gli occhi si spalancarono, affannosi come il suo respiro. Sentì dentro di sé un urlo, un suono terrificante, ma attorno a sé sapeva esserci solo il rumore sordo del proprio respiro.

Conta Simo. Conta: cento, novantanove, novantott-

Il suo contare frenetico venne interrotto da un rumore diverso dal suo respiro, un suono più forte, più reale.
Una porta che si apriva, seguita da un urlo. Un urlo che sapeva non essere quello che gli rimbombava nella testa.

"Simo!"

Manuel era lì, Simone sapeva che era lì sulla porta della sua stanza. Non sapeva perché avesse aperto la porta: fino a quel momento aveva rispettato il suo volere e lo aveva lasciato in pace.
Forse aveva capito che qualcosa non andava.

Poteva sentirlo anche solo dai passi del maggiore, corti e scalpitanti contro il pavimento di legno, che Manuel era agitato. Preoccupato, forse. Non capiva perché si preoccupasse ancora per lui dopo quello che gli aveva fatto.

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