12. Quelli chi?

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Quando quel pomeriggio Simone rientrò dalla riunione d'emergenza con i suoi amici, fu stupito di non trovare Manuel alla villa.
Fu ancora più stupito quando chiese a suo padre dove fosse andato il ragazzo e Dante gli rispose di non averne idea.

Suo padre che non sapeva qualcosa? Impossibile. Era il più grande ficcanaso della storia.
Eppure Dante sembrava davvero non sapere nulla quella volta. E il suo "credevo fosse con te" sembrava sincero.

Non poteva nascondere di essere un po' preoccupato. Non era da Manuel sparire nel nulla senza dare spiegazioni, soprattutto a Simone. Il loro equilibrio simbiotico prevedeva necessariamente sapere sempre dove si trovasse l'altro.

Nonostante suo padre lo avesse rassicurato, dicendogli che sicuramente l'amico era andato a fare un giro con gli altri ragazzi o a prendere una moto da aggiustare, qualcosa dentro di lui gli diceva che stava per succedere qualcosa di terribile.

Sul pavimento della cucina si era ormai formato un solco a causa dello scalpitare frenetico di Simone quando lo schermo del suo telefono si illuminò, mostrando il nome di Manuel sullo schermo.

Una chiamata. Non era un buon segno: Simone gli aveva inviato almeno una decina di messaggi -non di più perché non voleva apparire eccessivamente preoccupato- e l'amico non aveva risposto a nessuno di questi. Inoltre, Manuel non sopportava le telefonate. Simone quasi tremava quando afferrò il telefono e rispose.

"Simò?" sentì provenire dall'altra parte e fu decisamente sollevato nell'udire la voce del suo migliore amico. C'era qualcosa di strano però: era affannato, come se avesse corso a lungo.
"Manu, cazzo! Ti sembra il caso di sparire così? Nessuno sapeva dov'eri finito. Mi sono preoccupato." Le ultime parole furono pronunciate con un tono di voce molto più basso.

"Sì scusa Simò, è successo 'n casino. Senti, me riesci a venì a prenne?"
Le sue preoccupazioni si facevano man mano più reali.
"Che è successo?"
"T'o spiego dopo, Simò. Riesci a venì, per favore?"
"Mandami la posizione, arrivo."

Il posto in cui si trovava Manuel era decisamente fuori dal paese. Simone all'inizio pensò che la posizione inviata fosse sbagliata: cosa ci faceva il suo migliore amico in quel posto in mezzo al nulla?
Ma in fondo c'erano molte cose strane in quella situazione e Simone già si sentiva che fosse successo qualcosa di brutto. Quindi non fece troppe storie, si limitò a prendere uno dei motorini che Manuel aveva riparato e che aspettavano di essere riconsegnati -il barista in piazza lo avrebbe perdonato- e a sfrecciare verso il luogo indicato dall'amico.

Quando giunse nel posto che segnava il suo cellulare scese dal mezzo e si guardò intorno, cercando l'amico.
"Manu?" lo chiamò, non vedendolo.
"Simò, sto qua." Una voce si alzò da dietro un cespuglio e Simone corse subito a vedere.

Quello che trovò lo lasciò senza fiato per un momento.
Manuel giaceva steso dietro a quel cespuglio, il volto coperto di sangue.

Simone non potè che sentire il proprio cuore fermarsi davanti a quel triste spettacolo.
Il volto stupendo del ragazzo era tumefatto in più punti, il naso era stato colpito con violenza e aveva lasciato colare sangue vermiglio sulle labbra e sul mento coperto di barba. Un alone violaceo gli ricopriva l'occhio sinistro e sotto di esso la pelle era screziata e tinta di sangue. Nonostante Simone non potesse vederlo, la posizione scomposta del ragazzo e le sue espressioni straziate gli lasciavano intuire che chiunque lo avesse ridotto in quel modo avesse riservato al suo corpo lo stesso trattamento.

Simone non era esattamente nuovo alle risse e alla violenza fisica: giocava a rugby da quando aveva cinque anni e sicuramente sapeva cosa fosse uno scontro fisico, inoltre il suo istinto di protezione verso Lapo lo spingeva spesso ad agire avventatamente. Ma nonostante ciò non aveva mai visto qualcuno ridotto così male.

Wonderland | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora