Boys don't cry

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Domenica mattina mi svegliai in estremo ritardo, cosa che non succedeva quasi mai, essendo una persona molto puntuale. Purtroppo, però, non suonò la sveglia.
Senza neanche aver fatto colazione, indossai le prime cose che mi comparvero sott'occhio e scesi correndo.
Legai i capelli in uno chignon durante il tragitto. Arrivata in teatro, mi scusai con tutti, ma non dissero nulla. Avevano cominciato da pochissimo una parte in cui io non ero presente. Di conseguenza, sfruttai quel tempo per riscaldarmi un po' e fare  stretching. Fortunatamente, in borsa avevo una barretta proteica che avrei mangiato alla prima pausa.

La mattina trascorse velocemente. A pranzo, andammo tutti insieme in una tavola calda, li vicina, che preparava insalate di tutti i tipi. Dovevamo mantenerci leggeri perché le prove ricominciavano alle tre, quindi c'era poco tempo per digerire.

Nel pomeriggio, mi dedicai alla variazione più importante e complessa, cioè la morte di Nikiya.
Il lavoro interpretativo era lungo e difficile. Mi furono consigliate una serie di letture e anche diverse interpreti da studiare tra cui la performance magistrale di Zakharova.
Ero molto emozionata per quel ruolo e non desideravo altro che renderle giustizia.
Presto, anche troppo, arrivò il momento di tornare. Così mi incamminai verso la stazione.
Michele mi aveva mandato messaggi del tipo:" non vedo l'ora di vederti" ma io non riuscii a rispondere in maniera dolce.
Ho sempre fatto tutto da sola e, nonostante col tempo avessi capito quanto fosse importante avere anche delle persone su cui contare, nel caso del bisogno, amavo essere indipendente.
Volevo difendere la mia autonomia a tutti costi. Per me, l'esperienza milanese era davvero fondamentale. Non soltanto per il ruolo da prima ballerina in sé, ma soprattutto, per questa continua interruzione della mia routine che adoravo.
Due giorni alla settimana, cambiavo città, cambiavo amicizie e si prospettavano mille altre possibilità che un giorno prima non esistevano.
Per cui, il gesto di venirmi a prendere, senza neanche chiedermelo, mi aveva privato della mia facoltà di scelta e questo non lo tolleravo.

Di per sé era anche un'attenzione molto affettuosa che avrei apprezzato se, ad esempio, non ci fossimo visti per tanto tempo. Ma in quel caso l'ultima volta era stata quel disastroso venerdì e ci eravamo tenuti costantemente in contatto da quel momento.

Scelsi comunque di non pensarci. Il treno era il mio momento per ascoltare la musica e stare un po' con me. Non sapevo le condizioni con cui sarei uscita. Di solito i capelli tutti arruffati e non una faccia tra le più sveglie. Ma decisi di fregarmene.
Avevo addosso un pantacollant con una felpa e zero interesse a presentarmi in maniera più composta.
Portai addirittura le cuffie grandi e non le cuffiette, il desiderio di isolarsi era troppo grande.
Dopo tre ore arrivai nella capitale, nelle orecchie i The Cure e tutto sembrava andare per il verso giusto.

Mentre uscivo dalla stazione Roma-Termini, intravidi Michele che mi aspettava a braccia conserte. Parlava e rideva e non mi accorsi subito che non era da solo.
In un primo momento non riuscii ad identificare quell'altra sagoma che compariva accanto a lui. Dopo un po' e man mano che mi avvicinavo, tutto divenne più chiaro.
Era Luigi.

Non ci potevo credere, come, cosa e perché?
Come aveva potuto Michele invitarlo? Perché era lí, perché mi stava aspettando e se qualcuno ci vedesse insieme? Sarebbe il caos.
Mentre nella mia testa si avvicendavano una serie di pensieri simili che, molto probabilmente, si riflettevano nella mia espressione, Michele si accorse di me e cominciò a chiamarmi e ad agitare le mani.
Lo salutai di rimando e nel mentre che avanzavo verso di loro, scrutai per bene il suo amico.

Era cambiato tanto dall'ultima volta che lo avevo visto. Non d'aspetto, piuttosto nelle movenze, nell'atteggiamento. Aveva le sembianze di una persona più grande, più matura, già esperta di quel viaggio strano che é la vita.
Sempre chitarra in spalla e anelli alle mani. Notai che era vestito in maniera curata ma senza mai eccedere, indossava grandi firme, ma quasi nascondendole piuttosto che mettendole in mostra.
Aveva lo stesso taglio di capelli di sempre ma mi parve di intravedere qualche ciuffetto rosso o comunque ramato. Mi colpirono tantissimo i suoi occhiali da sole, erano diversi dai soliti a cui eravamo tutti abituati. Erano più piccoli, non riuscivano a coprirgli lo sguardo e il volto. Erano tondeggianti e dal gusto retrò, un po'come andavano di moda negli anni 90'.

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