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«Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» recitata con la voce tremante e inghiottita da singhiozzi gemiti, Loris erse lo sguardo verso le fiamme del fuoco cullato nel brucialegna nel camino.
Lo guardava con orrore, timoroso che sarebbe finito nella geena se non avesse ottenuto perdono dal padre, il quale si trovava alle sue spalle, in una mano impugnava la Parola e nell'altra la fedele maestra.
Una lunga e spessa canna di legno forte, che se battuta sulla pelle, lasciava memorie amare e segni quasi indelebili.

La pelle del giovane era ormai lontana dal dimenticare, la sua tonalità chiara era soffocata da lunghe striature scure come una schiacciata di more e bacche. I suoi arti fervevano sotto i suoi singhiozzi e i suoi masticati lamenti, sentiva la testa esplodere di dolore, e in tutto ciò, il suo volto era prospetto al fuoco.

«Ora non puoi comprendere la correzione che ti sto dando, ciò fa più male a me che a te. Ma quando avrai un figlio tuo, e lo dovrai educare, capirai che è dolore di entrambi. Ma più del padre» pronunciò l'uomo, mentre maneggiava l'arnese, pronto a proseguire con il castigo.

Loris lo guardò con la coda dell'occhio, e si preparò ad accogliere tutto quanto il dolore. Dolore che sembrava volerlo uccidere, ogni colpo lo stava facendo avvicinare alla morte.
Tuttavia, dietro le strilla, le lacrime, la tosse e lo strido dei denti. Egli era riconoscente. Genuinamente grato per la correzione del padre.

L'ultimo colpo fu così violento, che il ragazzo urlò fuori l'anima e tutte le lacrime che aveva agli occhi gli scivolarono su tutto il viso. Bolliva addolorato, non aveva forza con cui dimenarsi. Osservò le fiamme nel camino e pensò a come avesse scampato l'eterna sofferenza, l'eterno castigo. Dopodiché, cedette a terra sopra il soffice tappeto, annegando nelle proprie lacrime e nel sangue.


Sussultò colto di spavento, ma si placò quando si accorse che stava solo sognando. Tuttavia, non riconobbe il luogo in cui si trovava.

«William? Dove sono? Dov'è mio figlio? William! William!»

Si ritrovò sotto un leggero lenzuolo, privo di pantaloni e chiuso in un grazioso soggiorno chiaro. La luce del sole lo accecò appena cercò di alzarsi, stordito e piuttosto illeso, si erse dal divano e si mise in piedi. Ma le sue ginocchia cedettero, gli venne un capogiro e smarrì l'orientamento.
Aveva lo stomaco alterato di dolcetti sfizi e i pesanti vini, ma non ricordando di aver bevuto, pensò di essere stato drogato.

Si alzò di nuovo e barcollò spaesato verso la porta.
«William? C'è qualcuno qui? Will?»
Si resse con la spalla alla parete e si strisciò come uno zoppo mendicante lungo tutto il corridoio, non riconobbe la sbornia anche dopo il gorgoglio alla pancia e il palato acido. Cominciò a rimembrare la sera precedente e calunniò il signor Heinrich come malfattore che lo aveva narcotizzato di bevande.

Seguendo l'aroma di caffè e salume, l'uomo riuscì a presentarsi nella sala da convivio, dove trovò il padrone di casa accomodato alla tavola con in mano un giornale.
Aveva l'aspetto divino e rilassato, la notte gli aveva donato un riposo dolce e sereno. Al contrario di Loris, il cui volto sembrava simile a un bevitore di sangue, pallido e asciutto come una camicia non stirata.

Gavriel lo vide e lo salutò con sorriso.
«Buongiorno, Loris»

Ma il pittore avanzò deciso verso la lunga tavola ricoperta da una lustre tovaglia bianca ricamata ai lembi, e additò con gran furore e ira l'uomo.

«Lei...» ringhiò convinto del suo coinvolgimento.

«Che cosa mi ha fatto? Dove sono i miei pantaloni? Me lo dica immediatamente, maledetto pervertito!»
Genna, presente a pochi passi dai due, alzò gli occhi all'uomo e lo fissò scettica. Gavriel invece, comprese la confusione in cui si trovava l'amato, così, con voce cauta e rassicurante, non si lasciò provocare dalla minaccia e gli spiegò tutto quanto.

stOrge|| Non voglio il tuo amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora