17.

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Si trovava seduto sopra il comodo letto, all'epoca del padre, nella piccola stanzetta fresca.
Le ventole del lampadario giravano sul soffitto, soffiando una lieve arietta sul capo chinato del ragazzo.
Singhiozzante e incurante della lunga candela che pendeva dal suo naso, le guance erano fradice come i polsi e i numerosi fazzoletti dispersi sul pavimento. Reggeva tremolante tra le mani il telefono regalato dall'amato, indeciso se comporre il suo numero o meno.
Non si era ancora perdonato per avergli voltato le spalle, per averlo spudoratamente rinnegato davanti al genitore. Non se lo meritava, non dopo tutto l'amore e il tempo con cui lo aveva nutrito.

Prese un bel respiro e compose il numero, posò il telefono all'orecchio e attese speranzoso che avrebbe risposto.
Cantò a mente la colonna sonora del primo film che andarono a vedere al cinema, serrò gli occhi e pensò a quel bel ricordo.
Poi, dopo una lunga attesa di silenzio, il ragazzo rispose alla sua chiamata.

«Adric?» sussultò, pregando in cuor suo che non si trattasse della segreteria.
Ma il ragazzo dall'altro capo del telefono si trattenne prima di poter parlare, provava ancora molto rancore verso l'amato e pretendeva delle scuse.

«Che c'è?» tuonò irrequieto.

William singhiozzò, si pulì il viso e farneticò delle sincere scuse.
«Io volevo chiederti scusa...»

«Per cosa?» domandò Adric, disteso lungo il proprio letto. Stava già dormendo quando gli era giunta la chiamata, aveva deciso di rispondere solo perché si trattava di William.

«Per non averti difeso, per aver mentito e...» balbettò a bassa voce.
Adric soffiò oltraggiato e confrontò l'amato.

«Un anno e quattro mesi di fidanzamento, William. Dopo tutto ciò che ho fatto per te, tu hai avuto le palle di trattarmi come uno sconosciuto davanti a tuo padre. Lo hai lasciato che mi oltraggiasse in quella maniera? E hai persino negato che era idea tua quella di venire alla festa?! Mi hai deluso»

William scoppiò di nuovo in lacrime, si piegò su se stesso e nascose il viso sotto il braccio.

«Scusa, mi dispiace, io non volevo, ero confuso e avevo troppa paura, avevo paura di lui! Adric per favore, perdonami, perdonami ti prego. Mi manchi, ti amo tantissimo. Sono stato uno stronzo!»

La sua voce sobbalzava tra singhiozzi e affanni, in tutto ciò cercava di non farsi sentire dalla nonna. Il petto di Adric si scaldò e accolse le scuse dell'amato, anche se furioso, lo amava ancora.

«Lo sai che ti amo, lo sai che non farei mai nulla per farti stare male. Sei la cosa più bella che mi sia capitata da quando frequento la scuola, sei il mio tutto, ti prego, ho sbagliato e ti chiedo scusa. Non mi lasciare ti scongiuro, non mi lasciare» continuò William, proseguì finché non gli finì il fiato. Sfociò in un lamento quasi strozzato, si accasciò sul letto e terse di lacrime le lenzuola e il cuscino.

«Sono stato così crudele, mi dispiace, mi dispiace tantissimo...»

Strinse il telefono al petto, se lo premette dritto al cuore convinto che l'amato avrebbe udito i suoi palpiti d'amore. Soffiò il naso sopra il cuscino, si tirò un ciuffo di capelli e colto dalla paura che presto il ragazzo lo avrebbe lasciato, si privò del pezzo superiore del pigiama per la vampata di calore.

Adric sorrise intenerito, conosceva così tanto il suo amato, che anche senza vederlo, capì esattamente quello che stava facendo.
«Dove sei?» domandò.

«A casa della nonna, mio papà non mi vuole vedere, è tanto arrabbiato con me. Adric mio padre mi odia, mi ha picchiato con così tanta crudeltà, mi fa male tutto il corpo» lamentò.
Dopodiché deglutì, si pulì nuovamente la faccia e prese coraggio di chiedergli se lo amasse ancora.
«Ma tu ami ancora, vero? Adric?»

Adric ridette e dichiarò il suo amore.
«Certo che ti amo, ti amo più di qualsiasi altra cosa su questa terra. Anche quando litighiamo, io ti amo»

«Non cercarti un altro ragazzo mentre non ci sono, tornerò» avvertì timoroso.

«Ti aspetterò anche se ci volesse un mese intero. Ti amo tanto William, davvero» promise Adric.

«Ti voglio qui con me, raccontami qualcosa»

Ma il ragazzo guardò l'orario, era molto tardi e il giorno dopo si sarebbe dovuto alzare presto.
«Will, adesso devo andare a letto. Domani mattina ho gli allenamenti, ma ti prometto che ti chiamerò» disse.

William, seppur dispiaciuto, comprese l'amato e gli permise di chiudere la chiamata.

«Asciugati le lacrime, chiudi gli occhi e sognami» disse Adric.

William si asciugò il viso da ogni lacrima e cercò di contenere il singhiozzo.
«Sognami pure tu» disse.
«Ma certo, ti sto sognando pure ora» rispose Adric con tono innamorato.
William sorrise, contento di avere qualcuno come Adric nella sua vita.

«Ti voglio bene Adric» confessò.
Il compagno guardò la schermata del suo telefono, dove appariva l'immagine del suo amato. Lo guardò con tenerezza e amore, e con la propria immaginazione sognò di accarezzargli la guancia.
«Ti voglio bene anche io. Buonanotte, William»

«Notte, amore» 

William attese che fosse l'amato a riattaccare la chiamata, come al solito d'altronde.
Pose il telefono sotto il cuscino e raccolse i fazzoletti dal pavimento, li gettò tutti nel cestino accanto alla porta e sulla via di tornare a letto, si lasciò distrarre dal proprio riflesso allo specchio.

Guardò quel piccolo e magro ragazzino del liceo, dalla postura incerta e i capelli in disordine. Aveva pelle pallida, occhi grandi e neri incoronati da lunghe ciglia scure. Le  labbra erano sottili e rosee, leggermente screpolate per la mancanza di acqua. Non aveva imperfezioni facciali, ma solo una piccola fossetta sul mento ereditata dal padre.

"Sembro stato pestato da una gang" pensò guardandosi, convinto che un po' di trucco avrebbe rimediato a celare le lievi lividure.
Poi, giusto per curiosità, si voltò, si calò i pantaloni e guardò con sgomento i tremendi segni che la bacchetta gli aveva lasciato sulla pelle. Bruciava ancora, riusciva a sentire gli schiocchi e l'aria falciata in due come il suono delle campane.

"Voglio vedere io come si sentirà se qualcuno lo picchiasse così forte" pensò furibondo, ignaro del fatto che il genitore avesse subito castighi molto più peggiori. Loris, sebbene bravo e ubbidiente nella sua fanciullezza, non era scampato dalle rigidi punizioni del padre, così fieramente severo e devoto all'arte della disciplina. I castighi oltre a quelli corporali, erano compresi anche quelli psicologichi. Dalla lunga recitazione di salmi in scomode posizioni, alla lavorazione eccessiva nel campo e alla costruzione di staccionate in caldi pomeriggi di sole. Nonostante ciò, era convinto che fosse solo per il suo bene, un giorno sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un uomo forte e responsabile. Al contrario del fratello minore, che detestava il padre e le sue dottrine, considerandolo nient'altro che abusi e violenze.

William si accarezzò con dispiacere la pelle violetta, ci sarebbero voluti giorni prima di tornare come prima.
Proprio in quell'istante, la nonna entrò nella stanza e sorprese il nipote nell'atto. Quest'ultimo si coprì subito e si gettò sopra il letto, imbarazzato di essere stato colto dalla donna in un momento così intimo.

«Scusa, avevo sentito dei rumori e così sono salita per vedere se stessi bene. Scusami, avrei dovuto bussare» disse desolata, non immaginava che il ragazzo si stesse guardando allo specchio.
«Vuoi che ti spalmi una crema per alleviare il dolore?» chiese.
Il nipote, completamente nascosto sotto il lenzuolo, le chiese gentilmente di lasciare la stanza e di lasciarlo da solo.
«Ma certo, scusa ancora, non volevo disturbarti. La prossima volta busserò, oppure sarai libero di chiudere la porta a chiave. Io non permettevo a tuo padre di farlo, ma in certi momenti comprendeva che volesse del tempo per sé» ma William si mostrò molto irritato e le ripeté balbettando di uscire.
La donna si scusò di nuovo, gli diede la buonanotte e abbandonò la stanza.
Il ragazzo sbirciò dalla lenzuola, ascoltò i passi della nonna allontanarsi man mano che scendeva giù per le scale.

Sbirciò cautamente da sotto il lenzuolo, e prima di uscire allo scoperto, si assicurò che fosse completamente da solo.
Sospirò sollevato, provava molto imbarazzo, ma ben presto gli passò, perché fu colto da un grande senso di stanchezza.

Ma non poteva addormentarsi quella notte.
"Come posso dormire, se per vederlo devo sognare con entrambi gli occhi aperti?"

Si chiese, e poiché si sentiva solo, non trovò riposo.

stOrge|| Non voglio il tuo amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora