41.

92 6 6
                                    

Giunse l'inverno, il mese più freddo per la famiglia Anderson, che per tradizione non lo festeggiava più.
Dicembre doveva essere un mese di gioia, sorrisi e regali. Ma dopo la morte di Clara, il giorno della nascita di Cristo, era diventato un giorno di lutto, un anniversario per ricordare il sorriso di quella donna tanto amata da molti.

Loris, benché oramai estraneo a quel dolore, non venne toccato dalla doglia che portava quel giorno. Si era svegliato di buon umore, aveva compiuto tutte le sue abitudini quotidiane.
Era come una farfalla uscita dal bozzolo, sentiva di voler vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, trovava meraviglia in tutto ciò che a chiunque pareva banale. Guardava il mondo con gli occhi di un bambino, anche l'abbaio di un cane lo affascinava, il ruggito di un motore lo lasciava incantato.
Loris non era più quello di prima, chi lo incontrava, restava folgorato dal suo viso sempre solare e sorridente.
Non cessava mai di farlo, sorridere gli era oramai spontaneo.

Sedeva in soggiorno a praticare l'uncinetto, sua madre glielo aveva mostrato durante i giorni trascorsi assieme, se n'era molto appassionato e ora trovava piacere nel creare graziose sciarpe e maglioncini per il figlio e il piccolo micetto che avevano adottato.
Lo avevano chiamato Papillon, era un gatto rosso e di soli pochi mesi.
Giaceva raggomitolato sul tappetino presso il calore del caminetto, sonnecchiava beato e custodito dall'ardore del fuoco.

Era un sabato sera molto tranquillo, fuori nevicava e la torta di mele preparata dalla vicina invadeva il quartiere. Loris aveva comprato un megafono in un negozio antiquariato, gli piaceva ascoltare un brano in particolare, quello di Sinistra.
Lo ascoltava mentre con le due bacchette creava continue sequele di suture, la canticchiava un po' a mente, ignaro dell'amaro che tempo fa la canzone gli dava.

Il giovane William si trovava lungo le scale, nascosto tra le sbarre dello corrimano a fissare il genitore seduto sulla poltrona e i piedi accavallati uno sopra l'altro sul poggia piede.

Suo padre non aveva mai accolto il suo lato femminile, anzi, lo aveva ripudiato. Ma ora Loris era tale a un figlio bianco, non aveva più alcun ricordo di quei giorni.

William era confuso, non sapeva se dover rischiare o meno.
Era per caso una possibilità per lui per mantenere nascosto tutto quanto? Oppure un'occasione per dichiararsi apertamente a suo padre, senza temere il ripudio e il castigo.

Amava suo padre, gli voleva bene, e non voleva perderlo. Egli era tutto per lui, nonostante le moltitudini di dispute avvenute nel passato, nonostante i litigi, gli sfregi e tutto il resto.

William voleva bene a Loris.

Fece un profondo respiro, si alzò e avanzò verso il caloroso soggiorno.
«Papà» disse.

«Sì, William? Hai bisogno?» chiese il padre, sospese ciò che stava facendo e si rivolse al ragazzo.

«Papà io...» farfugliò teso, ancora incerto su quello che dire e fare.

Tremava come una foglia piegata dal vento, arricciava le dita e guardava il pavimento. Sentiva che presto sarebbe caduto a terra, ma cercò di farsi forza e di parlare al genitore come non aveva mai fatto.

«Ti ho mentito all'ospedale. Non sei mai stato un padre perfetto, anzi, io ti detestavo» disse.

Loris piegò la fronte e rifletté invano, poiché non aveva ricordo di quello che il figlio testimoniava.
Dopodiché però, fu come accarezzato da un leggero e confuso ricordo, consumato però dal trauma subito in seguito all'incidente.
Le parole di William lo fecero cadere in un pozzo di delusione e sconforto, non poteva crederci ma non poteva nemmeno difendersi.

Il ragazzo quasi si commosse, voleva abbracciarlo, ma c'era altro che voleva dirgli. Così si calò leggermente i pantaloni e mostrò a lui le lividure.

stOrge|| Non voglio il tuo amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora