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Sollazzato da un gradevole profumo di calla, primula e lavanda. Udì ronzii di api, fruscii di fogliame, tintinnio di campanacci e gorgoglio d'acqua.
Aprì entrambi gli occhi e venne accecato dal fascino del suo amato, lì presente prospetto il viso suo. La sua amabile sagoma era delineata dalla luce del sole, rendendolo simile a una creatura mandata dai cieli.

«Gavriel?» farfugliò Loris, confuso di quanto stava vedendo.
Il suo amore si trovava lì, in quello che sembrava essere un delizioso giardino. Distesi sotto la grande chioma di un albero, cuore del paradiso in cui si trovavano. Il cielo era turchino, limpido come il fiume che scorreva ai piedi del verdeggiante colle. Pasciava un pascolo poco lontano da loro, brucavano l'erba e belavano.
Svolazzavano api, succhiavano il nettare dai vari fiori cresciuti sopra il colle, sgabello dell'albero sotto cui erano i due innamorati.

«Finalmente sei sveglio, amore mio»

disse Gavriel con tono candito di gioia, colse la mano di Loris e lo invitò ad alzarsi.
«Vieni, seguimi» pronunciò.

Loris non fece domande, poiché accecato d'amore e fiducia, si lasciò condurre dove l'amato bramava.
Indossavano tuniche chiare come il latte profumate di polline, le braccia erano ornate di bracciali dorati e sui capi portavano delle ghirlande. Corsero giù dalla collina, dove il vento trovò divertente issare le loro vesti. Si diressero verso il cospetto di un campo di grano, vi ci entrarono senza esitare.
Gavriel teneva la mano del compagno stretta alla sua, non la lasciò finché non giunsero nel luogo stabilito.
Mano a mano che si addentravano in mezzo le colossali spighe dorate, il sole sopra le loro teste si fece più debole e il profumo di prato svanì.

Si fermarono quando giunsero in un anello dove alcuna spiga era cresciuta, sembrava il nido di una grande creatura, preparata per i propri cuccioli. Gavriel condusse l'uomo a sedersi al centro della nidiata, in mezzo a grappoli d'uva e melograni.
Quando si sedettero, Loris si concesse di chiedere all'amato dove mai si trovassero, ma quest'ultimo gli rispose posandogli il dito sulle labbra.

«Shh, serba la voce per quando dovrai evocare il mio nome» sussurrò.

Dopodiché scoprì le spalle dell'amato e iniziò a seminarlo di baci, respirò sulla sua pelle e gli lasciò segni per ricordare. Loris erse lo sguardo al cielo chiaro, guardò le nuvole pascolare e si sollevò la corona di fiori dalla testa.
«Mi manchi moltissimo, ma Dio non ci vuole insieme» disse, levando anche a Gavriel la ghirlanda.
Quest'ultimo posò il proprio palmo sopra il petto di Loris, e spingendo leggermente, lo invitò a distendersi.

«Rinnega il tuo Dio e riconosci che io sono il tuo unico e solo, non hai bisogno di Dio quando esisto già io» pronunciò con vanto. Si spogliò, riconoscendo di possedere la bellezza di un sovrano.
Loris, indebolito dal suo fascino e da quella spiccabile muscolatura, divaricò lentamente le gambe allettando l'appetito del suo amore.

«Inondo il mio cuscino di lacrime fino a consumarlo. La notte mi corico piangendo e mi sveglio con gli occhi stanchi. Mi manchi così tanto che il mio corpo ne risente, le mie ossa fervono perché non riescono a sostenere il peso della tua assenza. La mia pelle non stilla più sudore perché è fredda, e il mio cuore non palpita perché ha dimenticato come farlo da solo»

piagnucolò.

Gavriel si calò tra le sue gambe, lo accarezzò e baciò.

«Adorato mio, mi ferisce sapere che piangi. Perché non sono lì per asciugare le tue lacrime? Perché mi hai allontanato come una malattia? Quando sono letteralmente la tua cura? Il tuo miracolo?»

chiese sollevando ambedue le gambe dell'uomo sopra le sue spalle.

«Non lo so, perché voglio fare la cosa giusta» rispose Loris, erudito ad accogliere dentro di sé l'amore del compagno. Lo bramava tutto quanto, voleva sentirsi zeppo in ogni angolo ed esaudito come un fertile terreno nel giorno di mietitura.

stOrge|| Non voglio il tuo amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora