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Gavriel si precipitò al pronto soccorso lesto come il vento, con il cuore strozzato alla gola e lo stomaco alterato. Boccheggiava disperato ripetendo il nome dell'amato, pregava al cielo che nessuno dei suoi timori si sarebbe realizzato. Guidò per la strada ignorando i semafori, non concesse precedenza a niente e nessuno, e quando giunse nel parcheggio, abbandonò l'auto laddove il posto era riservato agl'invalidi.
Incurante delle multe e delle imprecazioni che lo seguivano, egli entrò all'interno della struttura e si avventò sul banco della segreteria.

Un solo nome uscì dalle sue labbra terse di lacrime, quello dell'amato compagno.
La signora vedendolo erse il dito e gli fece di attendere un minuto, minuto che Gavriel non aveva. Chiamò dunque William e si fece indicare la via da lui.

«Ci troviamo nella sala d'attesa, primo piano lettera "b"» gli disse la voce di una donna. Non ci badò molto, seguì le istruzioni e salì su per le scale. Raggiunse William, trovandolo in compagnia di una signora il quale aspetto dichiarava immediatamente chi fosse.

«Lei è il signor Heinrich?» domandò, l'uomo intuì trattarsi della cara madre di Loris.
Sì sentì quasi onorato, volle porle lodi e omaggi per l'opera che aveva messo al mondo, ma era così preoccupato che dovette contenersi.

«Si, e lei dev'essere essere sua madre. Loris dov'è?» chiese con affanno.

William si trovava seduto all'angolo del muro, con il capo nascosto tra le braccia e le ginocchia sollevate e raccolte al petto. Singhiozzava immerso nella colpa, convinto che fosse solo colpa sua.

«Lo hanno ricoverato in sala operatoria, ovviamente non ci è permesso accedere» disse la madre piuttosto ansiosa.
Gavriel si avvicinò al ragazzo e cercò d'interagirci dolcemente.

«Will? Will, amore, come stai?» chiese inginocchiandosi di fronte a lui, il ragazzo erse il volto e pronunciò parole spezzate dal dispiacere.
«Morirà, morirà. Finirò all'orfanotrofio, sarò da solo...» farneticò in lacrime.

Aveva il viso completamente rosso, gli occhi pieni zuppi di cordoglio e il naso suo colava abbondantemente. Gavriel senza esitazione, passò a mano nuda il viso del giovane e lo accarezzò amorevolmente.
«Assolutamente no, tuo padre è un uomo molto forte, non pensarlo nemmeno»  disse. Ma il ragazzo poiché certo, si disperò e si abbandonò a tremendi pensieri.

«Guardami» disse Gavriel.

«Respira, fai dei respiri profondi»
William cercò d'imitarlo ma fallì al primo soffio, venne colto da un violento colpo di tosse, dopodiché deglutì e riprese a piangere.
Strillava, respingeva invano le mani di Gavriel, attirando i medici e i pazienti presenti nella sala.

«Will, no, non così, devi guardarmi okay? Guarda me»
Anche se lo guardava dritto in viso, William con tutte quelle lacrime agli occhi non era capace di vedere nulla.
«Sono un pessimo figlio! Ho ucciso mio papà! L'ho ucciso!» gridava.

Gavriel tuttavia non si arrese, intimò nuovamente al ragazzo di compiere dei respiri profondi.
«Inspira ed espira...» gonfiò il petto, attese qualche breve secondo, dopodiché espirò l'aria.
William osservò e replicò l'azione con successo.

«Bravissimo, ora di nuovo»

Ripeterono la respirazione assieme, restando a guardarsi negli occhi e a  tenersi strettamente per mano.
La madre assistì e trovò tutto ciò molto tenero, pensò che Gavriel dovesse essere genitore a sua volta.

«Ottimo, bravissimo» disse una volta che il giovane si tranquillizzò.
«Sei un bravo figlio, un ragazzo davvero forte» pronunciò pulendogli una lacrima dal viso, William annuì e credette alle sue parole.
«Non ti devi addossare nessuna colpa, tu non hai fatto niente, va bene? Ora stai calmo e pensa a quello che potrete fare tu e papà una volta fuori da qui»

stOrge|| Non voglio il tuo amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora