Capitolo 11: "Un padre"

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Strano come a volte il ricordo della morte
Sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato

-Cosa voleva dire Carter?- Domandò il moro a Filippo mentre mordeva una coscia di pollo per pranzo.
-Mh?
-Carter aveva detto che Simone non è come dice di essere.- L'altro mise giù il cibo e sospirò.
-Sicuramente per avere questa vita prima non vivevi in un loft in centro a Milano.-
-No no lo so. Però quando ha menzionato di potermi dire tutto sembravi terrorizzato.-
Con la perdita dei commerci di droga che qualcosa in lui era crollato: i guadagni sarebbero calati. Non era tanto quello il problema, era una questione di principi.
-Ho promesso di non dire mai niente a nessuno.- Rivelò il riccio.
-Sono sicuro che a Simone andrebbe bene se ne parlassi con me.-
-No.-
-Ti prego dimmelo!-
Filippo sospirò e ammise: - Come vuoi, ma non dirgli che te l'ho detto.- Bevve un sorso di vino e poi iniziò a spiegare: -Non mi ha mai detto tanto, dev'essere stato doloroso. Vedi, è cresciuto in una famiglia cristiana, quindi tanti figli, ma era anche un problema dato che vivevano in una casa popolare. Il padre non c'era, è scappato quando aveva tre anni, per questo la madre faceva due lavori e si occupava di tutto.- Si prese una veloce pausa in cui si versò altro vino nel bicchiere: -Il fratello maggiore si unì ad un'associazione criminale che per testare la sua fedeltà lo costrinse ad ammazzare la madre. Gli sparò nel loro appartamento, davanti a Simone a 13 anni. Non era una prova tanto difficile per lui, non le ha mai voluto tanto bene.>>
-Cristo Santo...-
-Suo fratello non respira più, gli altri spariti in un buco nero da quanto ne so.-
Lorenzo rimase in silenzio.
Sembrava così innocente, così... Così buono da tremare al solo pensiero del compiere un omicidio.
-L'ha ucciso lui, vero?-
Filippo fece un verso di approvazione con la bocca: -Lui arriverà questo pomeriggio, fai finta di nulla.-

--

In effetti lui arrivo nel tardo pomeriggio, entusiasta come sempre, ma quel giorno aveva un briciolo di felicità in più forse.

-Perché sei qui?- Domandò Lorenzo preso male. La storia che aveva sentito, e che l'amico cercava di dimenticare ad ogni costo, lo aveva sconvolto e sapere che la persona seduta sulla sdraio accanto era riuscito ad uccidere a sangue freddo gli faceva tenere il cuore in gola.
-Voglio passare del tempo con voi, no?- Domandò quasi speranzoso.
-Sì, ovvio.-

-Be', in realtà sono qui per un motivo, in effetti... Io... Ho trovato l'indirizzo di mio padre.- Annunciò. Sembrava aver sentito il discorso di poche ore prima, che calzava a pennello.
-Eh... Ah. Questa è una cosa bella?- Sussurrò Filippo in dubbio.
-Sì, finalmente potrò conoscerlo!-
-Dov'è che che si trova?- Chiese.
-Milano.-
Lorenzo preferiva non dire niente, nonostante la situazione di Simone fosse quella che lui stesso aveva vissuto. Il padre non c'era mai stato, e mai l'aveva conosciuto.
L'avvocato continuò dicendo che aveva bisogno del loro aiuto per andare a trovarlo. Dovevano tornare in Italia, a Milano, e l'ultima volta che c'erano stati era quando Lorenzo e Filippo si erano incontrati, ed erano passati un po' di mesi.
Il riccio preferiva non andare a Milano: gli venivano in mente i ricordi della sua infanzia e adolescenza mancate. Posti pieni di brutta gente, ma se la cavava sempre.

-Partiamo domani?!- Chiese Simone elettrizzato.
Di solito le persone cresciute senza un genitore, durante la loro vita preferiscono non incontrarlo, ma l'avvocato non aveva mai perso la voglia di vederlo e chiedergli le motivazioni del suo abbandono.
Il viaggio fu confermato e per quella notte Simone si fermò da loro.

--

A Milano le strade sono buie in periferia. È pieno di ragazzi con un futuro stracciato in pezzi. Aggirandosi tra le case popolari si riescono a sentire le urla di coppie che litigano, il rumore della TV che trasmette il telegiornale, e invece sui marciapiedi quell'orribile musica che i diciottenni pompavano dalle loro casse bluetooth.
I tre ragazzi si distinguevano da quell'ambiente. Erano tutti cresciuti lì in un modo o nell'altro, eppure adesso sfilavano in quelle strade malfamate con vestiti di marchi di alta moda, trucco, visi curati e il rancore nelle vene, perciò venivano squadrati dall'alto in basso appena incontravano qualcuno.

-Dovrebbe essere quello giusto!- Esclamò Simone guardando un foglietto di carta sul quale c'era scritto l'ipotetico indirizzo del padre.
-Mio Dio...- Disse talmente eccitato.
Al citofono c'era scritto "Furlan". Quel cognome, il loro cognome
-Facciamo in fretta.- Disse Filippo teso. Allungò il braccio per stringere forte la mano a Lorenzo.
I ricordi riaffioravano uno dopo l'altro. Ricordi. Ricordi o traumi?
Il moro lo guardò e assecondò il gesto così raro.

-Lo faccio? -Simone si morse il labbro.- No, non lo faccio. Non posso. Però chissà che faccia ha...-
Lorenzo premette di scatto il citofono e lui lo guardò sgranando gli occhi.
-Entra, 'sta minchia di citofono è rotto.- Disse la voce elettronica aldilà dell'apparecchio.
-Dovrebbe essere l'ultimo piano.- Annunciò energico il probabile figlio dell'uomo che aveva risposto.

Appena entrarono nell'atrio si sentiva il rumore delle lampadine scassate. C'era un uomo, il portinaio, un uomo sui quarant'anni d'età portati male, fissava un quadernino; alzò lo sguardo solo per vedere i ragazzi entrati, ma lo riabbassò subito dopo. Fece cadere un po' di cenere nel portacenere.
Senza dire niente chiamarono l'ascensore. Una zanzara ne uscì; c'era il vetro con chiazze giallognole, come il pavimento. Simone saltellò dalla gioia finché l'ascensore non si fermò.
Si scambiò uno sguardo con Filippo e poi uscirono.

Bussarono alla prima porta, ma nessuno risponde.
Così alla seconda aprì una donna: -Chi siete? Cosa volete?-
-Cerchiamo il signor Furlan.-
-La porta qui accanto.- Disse per richiudere subito dopo.
L'avvocato sospirò e chiuse gli occhi una volta in fronte alla porta. Per un attimo il tempo si bloccò, ma poi, piano piano, il rumore delle auto di fuori tornò.
-Ce la faccio.- Si ripeteva sussurrando.

Bussò una volta, poi un'altra.
Un uomo con una canottiera bianca e sporca aprì la porta. Aveva i capelli grigi scompigliati e la barba del medesimo colore che stava ricrescendo.
-Chi diavolo siete voi?-
Simone l guardò come avesse visto il messia: -Sono tuo figlio.- Sorrise.
L'uomo scoppiò a ridere: -Come?! Nah, non so dove siano loro e quella troia della loro madre. E poi...- Guardò gli stivaletti, la blusa e i pantaloni semi-attillati firmati. Poi squadrò le collane, gli orecchini e gli anelli. Poi i dolci lineamenti e la delicata pelle curata con prodotti e make-up. Per ultimi i due ragazzi dietro di lui, che davano un aria di protezione verso di lui. Una volta osservato per bene terminò la frase. -Mio figlio non può essere un frocio del cazzo.>>
Simone sbiancò.
Lorenzo digrignò i denti.
Filippo strinse i pugni.
-Come dici scusa? Si fece spazio Lorenzo.
-Che vuoi tu? Sei il suo fidanzato? Non vi voglio in casa a mia a voi.- Notò Filippo dietro che rimaneva tacito, e per la prima volta nascondeva i suoi modi aggressivi. -E tu? Tu non reagisci?-

-Ti rompo il culo se non gli dai le risposte che cerca. Che ne so, magari ti piace.- Aveva trattenuto quella frase forse da quando la signora di prima gli aveva aperto la prima.
Lorenzo prese una pistola che nascondeva sempre per emergenze nella felpa e la puntò sulla fronte del padre di Simone.
-Facciamo un bel gioco, mh? Adesso tu ci fai entrare, e se quel bellissimo ragazzo del mio amico ti fa delle domande tu rispondi sinceramente.-
Filippo spalancò gli occhi a vederlo così infuriato. Forse lo trattava come avrebbe voluto trattare suo padre. Il padre che lui non aveva conosciuto.
-Sì, sì va bene entrate.- Disse teso.
-No, non voglio entrare. Avrei voluto solo chiederti perché te n'eri andato, ma non avevo mai avuto il dubbio che probabilmente non era colpa nostra, ma tua. Andiamocene.- Sussurrò trattenendosi dalle lacrime, mentre faceva marcia indietro seguito da Filippo e Lorenzo. 

-Mio figlio frocio non ha neanche il coraggio di parlare a suo padre.-
-Non usare quelle parole.- Simone si fermò e le lacrime scesero.
-Frocio?-
-Padre.-

Per un attimo anche lui rimase in silenzio.
-Purtroppo sono tuo padre. Ma dimmi cosa speravi succedesse?-
-Speravo non abbandonassi mamma!-
Si voltò e quasi correndo gli tirò un calcio per farlo cadere.
Una volta a terra iniziò a pestarlo forte, quasi volesse ucciderlo. Solo Filippo poi si mosse per andare a bloccarlo.
-Andiamocene.- Lo esortava lui.
-Lori' usa quella cazzo di pistola!-
Ma lui già si era incamminato verso l'uscita.

Solo dopo aver ascoltato la sua storia si era reso conto della gente con cui lavorava: assassini, spacciatori, clandestini...
Doveva adattarsi all'ambiente nel quale aveva deciso di entrare in quel magazzino sporco di quella città, o sarebbe morto. Non metaforicamente. Anzi, probabilmente Filippo avrebbe fatto il più possibile per difenderlo e proteggerlo.

Come sarà l'Inferno? - Ladri di PoesieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora