Capitolo 2: "Morirò"

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Non appoggiarti a nessuno,
Ricordati che se si sposta, tu cadi

Lorenzo si svegliò in un letto estremamente disordinato: uno dei due cuscini per terra , le lenzuola tutte da un lato, e lui, che se si fosse mosso anche solo di cinque centimetri sarebbe cascato sul pavimento gelido.
C'era stranamente la finestra aperta, da cui entrava l'aria fredda che congelava l'intera stanza.

Lorenzo uscì dalla camera con Filippo già al tavolo della cucina.
-Dormito meglio stasera, fiorellino?- Filippo accentuò quella parola in modo da farla sentire più del resto della frase a Lorenzo, e la cosa lo infastidiva.
-Non mi chiamare così.-
-Non vuoi che ti chiami Lorenzo, non vuoi che ti chiami fiorellino... Insomma, devo iniziare a chiamarti "colui che non deve essere nominato"?- Disse sarcasticamente muovendo il braccio destro, tenendo in mano il cucchiaino del caffè. Lorenzo si sedette davanti a lui. -Chiamami semplicemente "Lori'". Il mio nome non mi piace, e non voglio che le persone lo dicano.-
-Hai un nome bellissimo. Io me ne vanterei, lo ripeterei sempre.- Annunciò, mentre lui rimase in silenzio.

-Oggi partiamo. Si torna a New York.- Disse Filippo così sicuro di sé, che Lorenzo quasi cadde dalla sedia: -Perché?!-
-Perché io vivo lì, ovvio.- Fece una smorfia di incomprensione.
Andare oltre oceano non gli faceva né caldo né freddo, nonostante si fosse abituato alle sue origini mediterranee. Spesso viaggiava da un capo all'altro del mondo, e ormai non gli faceva più effetto.
Non aveva nessuno a preoccuparsi di lui, e nessuno che si sarebbe accorto della sua mancanza.
-Mi trovo in Italia solo per commissioni.-
Il riccio gli diede una tazza di caffè.
-Grazie.- Iniziò a sorseggiare la bevanda per calmarsi. Certo, un caffè per calmare l'ansia non era il massimo, ma funzionava sempre come antistress.

-A che ora partiremo?- Chiese Lorenzo provando a incrociare quegli occhi che tanto lo terrorizzavano.
-Alle 08:50.-
Si strozzò con il caffè e il riccio ridacchiò.
-Scusa ma che ore sono?- Domandò Lorenzo.
-Sono le 06:15.- Rispose lui, con un sorriso che cercava di nascondere.
-Ma tu da che ora sei sveglio?- Esclamò Lorenzo.
Filippo lo guardò accigliato, e il ragazzo capì.
-Io dalle 05:00 di mattino. Mi sono anche allenato un po' prima di fare colazione.-
-Sei incredibile.-
-Sì, lo sono.- Sorrise fiero. La sua personalità eccentrica lo precedeva.

-Per che tipo di commissioni ti trovi qui?- Lorenzo cambiò discorso.
-Commissioni private, non hai bisogno di saperlo.- Rispose secco alzandosi dalla sedia, lasciandolo interdetto, come se volesse evitare l'argomento.
-Ora vatti a preparare.-
Filippo si recò nella sua stanza, e socchiuse la porta, lasciandolo da solo.

Lorenzo notò uno dei molti anelli del ragazzo riccio sul tavolo: una gemma verdognola conficcata all'interno dell'argento del gioiello. Lo osservò prima di accorgersi che doveva riportarglielo in camera sua.

Si alzò velocemente e andò nella stanza di Filippo. Ma quando senza nemmeno pensarci aprì la porta lo vide senza la maglietta con la schiena rivolta verso di lui, le spalle allenate. Si girò di scatto con il braccio teso verso Lorenzo e un coltello fra le dita e la lama in direzione del suo viso. Per la prima volta sembrava spaventato, o vulnerabile.
-Che ci fai qui?- Gli domandò in allerta e con il fiato corto. Quasi non riusciva a parlare: era incantato davanti al riccio.
-Ti sei dimenticato questo di là, non so come ti si sia tolto dal dito.- Le sue parole erano impacciate, ma il disagiò occupava tutto il suo cervello. Sicuramente le sue guance stavano andando a fuoco.
-Tolto dal dito?- Ridacchiò leggermente per quell'espressione, e sembrò quasi una persona normale, poi disse: -A volte ci gioco un po', devo essermelo tolto prima che arrivassi tu. Grazie.-

Filippo prese l'anello, e nel momento in cui le loro dita si sfiorarono, successe qualcosa di strano, una sensazione impossibile da spiegare. Come un vuoto nello stomaco incredibile.
Lorenzo alzò lo sguardo dall'anello agli occhi del ragazzo davanti a lui, ma non seppe mantenere il contatto visivo per più di tre secondi, perché quegli occhi gli sembravano smeraldi e, lui davanti a ciò, sembrava un errore, lui gli pareva così raffinato e inarrivabile.
Solo quando si ricordò chi fosse realmente si staccò da lui.

-Niente.- Disse lui schietto uscendo dalla stanza, prima di chiudere la porta alle sue spalle. Si incamminò ansioso, ma riuscì comunque a sentire l'anello cadere dalle mani di Filippo, senza poterlo però vedere.
Sentiva ancora le farfalle nello stomaco e nella sua mente altro che farfalle: ogni tipo di essere vivente stava scombussolando l'ordine che non c'era mai stato.
Di fretta, con il silenzio nelle orecchie e un unico pensiero fisso, si tolse quella sottospecie di pigiama e si mise una tuta.

Raggiunse il compagno alla porta d'ingresso, per poi lasciarsela alle spalle insieme all'intero edificio.
Non si dissero una parola.
Salirono in macchina e fecero un viaggio di circa mezz'ora, per poi arrivare ad una pista di decollo.
Sulla scaletta che portava al jet c'era un uomo, un pilota, pronto ad accoglierli.
-Liam e Finn, i miei piloti. - Gli disse Filippo con una certa esperienza nel tono.
Lorenzo annuì indifferente, e salirono sull'aereo.
I due conducenti si avviarono nella cabina di pilotaggio, mentre i due ragazzi si accomodarono su un divanetto beige.

Il riccio prese una bottiglia di champagne e due bicchieri per brindare insieme al suo nuovo compagno d'affari.
Versò la bevanda nei due bicchieri, e poi disse: -Un sorso a noi che ci siamo ora, e un sorso ai caduti prima di noi.
I due ragazzi brindarono con Lorenzo esterrefatto da quel brindisi, insensato forse al momento?

Non aveva mai provato tutto quel confort, e l'aveva visto solo nei film. Mai ci avrebbe creduto, se gli avessero detto che, un giorno, avrebbe vissuto tutte quelle ricchezze. Si era abituato ai marciapiedi negli ultimi anni, dimenticandosi ormai degli scomodi divani dei centri sociali e delle comunità dov'era stato rinchiuso.

Mentre guardava il cielo che stavano attraversando fuori dal finestrino, Filippo chiamò un nome: -Brandon?- Nessuno rispose. Il morò pensò che avesse le allucinazioni.
A quel punto il ragazzo riccio si alzò, andando sul retro del jet, e a seguirlo anche Lorenzo. Quest'ultimo spalancò gli occhi terrorizzato: -Ma quello è sangue?!- Urlò.
-Calmati non è mio.-
-Stai cercando di calmarmi, in questo modo?!-
Filippo imprecò silenziosamente non facendo trasparire la sua paura; si prese quindi di coraggio e aprì lo sgabuzzino: dentro c'era il cadavere di un uomo di sessant'anni, vestito formale e con un foro in fronte e la camicia bianca grondante di sangue.
Prima che potesse urlare Filippo gli tappò la bocca stanco del suo terrore., nonostante fosse lecito.

Mentre indietreggiavano Lorenzo inciampò, goffo com'era, ma l'altro lo prese al volo tra le braccia reggendolo in piedi.
Ebbero uno scambio di sguardi come quello che avevano avuto la prima volta che si erano visti, in quella notte buia per strada.

-C'è un morto lì dentro?!- 
-Fai silenzio.- Disse cauto il riccio.
-Non posso fare silenzio: ho un uomo morto a due metri da me!- Gli sussurrò con la voce al massimo.
Filippo prese una pistola dai pantaloni, e la tenne davanti a sé camminando attento verso la cabina, il moro dietro di lui.
Quando Lorenzo capì che se non erano stati loro due, erano stati i due piloti, ad ammazzare l'uomo, si mosse furtivamente di conseguenza.

Finn era in piedi con una Glock puntata su di loro.
I due giovani alzarono le mani in segno di arresa.
Lorenzo aveva il respiro affannato, mentre Filippo era arrabbiato, e sicuramente non si sarebbe arreso. Mai. In nessuna situazione.
-Che vuoi fare?-A Filippo nacque un sorriso sulle labbra. Gli faceva pena in quel momento.
A differenza di Lorenzo, lui sapeva che ne se sarebbe uscito vivo da quella situazione; ma nonostante ciò l'adrenalina per cui viveva gli scorreva in corpo.
Lui viveva per lui, e per nessun'altro , quindi se fosse morto non avrebbe causato problemi a nessuno, tranne che a sé stesso.
Non avrebbe mai avuto sensi di colpa per aver lasciato un vuoto alle persone; però, d'altro canto si sentiva in colpa per morte di persone care. Un senso di colpa inventato dalla sua mente come riempimento per la perdita.

-Secondo te? Sai quanti soldi ci danno se ti portiamo alla polizia?- Disse ridendo il pilota.
-Ma sei stupido?- Disse con un tono che Lorenzo si dovette trattenere dalle risate. Questo fece innervosire Finn: -Di' al tuo fidanzato di stare zitto!- Sbottò il pilota. Bastò, come sempre, uno sguardo di Filippo per far capire a Lorenzo di tacere. -Dicevo- Sospirò: -Pensi davvero di riuscire a battere così, me?-
Abbassò le mani in tasca.
-Insomma, guardami: se fossi così debole non sarei a capo di un impero così vasto, no?-
-Il tuo "impero" è destinato a finire. Morirai presto, svegliati. Hai i giorni contati, e con te morirà anche ciò che hai costruito..
Filippo si bloccò.
-Sono anni che la gente prova a lavorare e interagire con te solo per i tuoi soldi. Ma tu lo capivi sempre, e li ammazzavi sempre.-
Lorenzo guardò compassionevole Filippo. Ormai lui era con la testa fra le nuvole. Finn lo aveva definito il fidanzato di Filippo, e lui non riusciva a distaccarsi dall'imbarazzo, nonostante gli altri due avevano ignorato completamente quel termine.

Si prese coraggio e parlò anche lui: -Senti. Tu per lui non sei nessuno, quindi parlare di 'sti discorsi mi sembra inutile. Piuttosto, stai qua a parlare e fare tanto il figo con la pistola puntata. Che ne pensi di farti coraggio e fare quello che tanto desideri?- Filippo lo guardò accigliato.
Lorenzo aveva un piano. Era abituato alla pressione e alla psicologia inversa, ed aveva imparato ad usarle entrambe. -Dai, spara.-
Il riccio gli tirò un piccolo calcio per farlo smettere.
Finn era lì che tremava con il ferro fra le mani. Filippo capì il gioco dell'amico. E così, quando dopo varie provocazioni, il pilota fu abbastanza distratto, lui non esitò a tirargli un calcio per farlo cadere. Lorenzo prese la bottiglia di champagne e gliela spaccò in testa, facendolo svenire.

-Sarà morto?- Chiese il moro.
-Non lo so.- Filippo gli rubò la pistola e gli sparò in testa.
-Adesso di sicuro.-
Poi corse nella cabina di pilotaggio e senza che quasi neanche se ne potesse accorgere, sparò anche a Liam. Ci fu una breve turbolenza, che fece cadere il riccio sul sedile, pronto per gestire anche il quel caso la situazione.
-Ci penso io, tu siediti pure.
A Lorenzo balenò in testa il pensiero che lui sapesse fare tutto ormai.

Gli salì un dubbio: -Chi era Brandon?-
-Il mio cameriere: gli avrei chiesto di portare del cibo, ma sinceramente mi è passata la fame.-
-Decisamente.-

Come sarà l'Inferno? - Ladri di PoesieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora