Capitolo 19: "Ricordi"

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Arriva il momento in cui devi spegnere
Tutto quello che si sta spegnendo lentamente
Per poi pensare che faccia meno male

Al funerale c'erano poche persone: solo i due ragazzi che l'avevano visto morire e il suo fidanzato, che lo conosceva da a malapena un mese.
Era sulla spiaggia, dall'altra parte del mondo, dove avrebbe voluto lui.
Un'infanzia nel dolore e nella povertà, ma il resto della vita vissuto nel lusso.
Una vita sprecata con la mafia e con le persone sbagliate, direbbe uno qualunque. Ma lui non era uno qualunque, e facevo il possibile per non finire accanto a persone qualunque.
Ci era riuscito, e a uno di loro aveva salvato la vita. Si era sacrificato per uno di loro. Era morto per uno di loro. E questo si sentiva terribilmente in colpa.
Tutti piangevano, tranne Filippo, che si era esaurito nel momento della sua morte.

-Come vi siete conosciuti?- Chiese Lorenzo ad Ethan, giusto per provare a fare conversazione.
-Nel paesino in cui abitavo. Al bar di paese, non so cosa ci facesse là, nessuno ci viene in vacanza.- Filippo stava in riva al mare, in silenzio mentre guardava l'orizzonte. Il mare a breve avrebbe spaccato il sole. Non aveva minimamente voglia di fare conversazione con quel ragazzo.
-Comunque gli piacevi tanto, anche se ti conosceva da poco.-
-Sì, uguale per me. Saremmo dovuti andare a convivere durante quest'ultimo mese che gli rimaneva. Ma per colpa sua, non potremmo.- Disse, riferendosi a Filippo.
-Non è colpa sua, anzi. Fidati che sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe voluto.-
Schioccò la lingua e si avvicinò alla bara.

-Simone era una persona con un cuore d'oro, non avrebbe mai permesso che qualcuno a cui voleva bene soffrisse. Questo l'ha portato alla morte.-
Lui rimase in silenzio; non sapeva quanto effettivamente il ragazzo di cui parlava potesse essere importante per lui. Si conoscevano da un mese.
Certe volte capita che ci si innamori subito, però è fortemente improbabile.
-Io non la penso così. Io penso che Simone sapesse ciò che stava facendo, se no non l'avrebbe fatto. Sapeva che stava morendo, e semplicemente voleva essere ricordato.-

-Smettetela. Io mi sento in colpa.- Disse il riccio, prima di lanciare un sasso sulla superficie dell'acqua, facendolo rimbalzare ripetutamente.
-È tutta colpa tua! Lui è morto per salvare te! Un inutile scarto della società che neanche piange al sul funerale!-
-Io non volevo morisse. Giuro, era l'ultimo dei miei desideri.- Disse con voce sottile, come se cercasse l'approvazione di Ethan.

Non riusciva più a piangere. Era come un vaso pieno d'acqua che era stata versata troppe volte, e ora si era esaurito. Oppure quando ti alleni, e all'inizio fai degli esercizi faticosi, che poi però col tempo passato a farli pensi "davvero consideravo questi esercizi difficili?" perché tanto, nel frattempo, già ne hai imparati di peggiori. Aveva affrontato il mondo quel ragazzo, e ora non c'era più nulla che potesse fargli cadere le lacrime dagli occhi. Era intelligente, tuttavia, non poteva prevedere il futuro.

Ethan rimase in silenzio stringendo le labbra e sospirando: -Andate a fanculo voi due.- Se ne andò via dalla spiaggia senza dire nient'altro. Fece il segno della croce davanti alla bara chiusa e si allontanò.

-Secondo te è davvero colpa mia?-
-Io penso che purtroppo sarebbe morto lo stesso, e che ciò che ha fatto l'ha pensato lui, non te. Ogni cosa che faceva, la faceva solo per portare del bene. Non devi sentirti in colpa.-

Prima di pronunciare qualsiasi parola, valutò la situazione. Una delle persone più importanti della sua vita se n'era andata senza la soddisfazione di sentirgli dire quelle due parole. Era l'unica occasione per fargliele sentire, per fargli sentire le parole più attese nella vita di una persona: ricca o povera, gay o etero, religioso o no... Simone aveva aspettato con ansia il momento in cui Filippo si accorgesse davvero di ciò che aveva e che viveva ogni giorno. Si svegliava la mattina accanto ad un sogno e ci passava tutto il tempo senza stancarsene mai.
Filippo non si era preso una cotta per il ragazzo dagli occhi mori accanto a lui, quando sarebbe arrivato il momento non lo avrebbe lasciato andare facilmente, avrebbe combattuto fino alla morte per lui. Solo quando le lame si sarebbero incastrate nelle sue membra, solo quando avrebbe sputato sangue, solo quando lui gli avrebbe detto di fermarsi, ci avrebbe rinunciato veramente.
Voleva pendere dalle sue labbra, dipendere da lui. Voleva nutrirsi della suo fiato fino a strapparglielo via.
Era arrivato nella sua vita come un pennello intinto nel colore ed egli, con la sua tolleranza e l'amore di cui aveva bisogno da anni, gli aveva colorato l'anima, trasformandola da quella nube nera che era prima in un qualcosa di magnifico. A guardarli, le sette meraviglie del mondo dovevano solo provare invidia.

-Lori'... Ti amo.-
Quel pensiero accarezzò la sua anima come se fosse lui stesso a farlo, come ogni sera che riuscivano a passare tranquillamente insieme.
Però quel momento era tutt'altro che tranquillo, e Filippo avrebbe solo voluto rimangiarsi le parole dette. Avrebbe voluto trovare un modo per far sì che lo capisse da solo, ciò che realmente provava, perché con le parole non era mai stato bravo.
Lorenzo arrossì, poi lo baciò dolcemente, e quando si separò gli disse: -Ti amo anch'io.-

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-Due birre, grazie. Ah e qualcosa da mangiare.- Il barista annuì e si mise all'opera.

-A dire il vero... Io non so molto di te. Io tuoi genitori?- Disse Lorenzo mentre portava alle labbra la bottiglia di birra Heineken.-
-I miei sono morti. In un incidente stradale.-
-Ah... Scusami. Quanti anni avevi?-
-Quindici e mezzo. Pioveva, ed era una notte come questa.- Girò il capo verso la vetrina del pub, e guardò le gocce di pioggia che s'infrangevano sulle auto e sui marciapiedi. -Sì, raramente era soleggiato. A Milano, d'inverno, non c'è quasi mai il sole, ma penso che tu lo sappia.- Il barista porse un piccolo cestino con delle patatine rustiche.
-Sì...-
-Qualcuno aveva manomesso i freni. I tuoi invece?- Chiese facendo il finto tonto.
-Io... Non li ho mai conosciuti.-
Si alzarono con in mano il cestino delle patatine grigliate per recarsi ad un tavolo.

-Non mi da fastidio non aver mai conosciuto i miei genitori, d'altronde sentivo la mancanza soltanto di persone che mi offrissero un tetto, non necessariamente mia madre e mio padre.-
-E se ti dicessi che io so delle cose, sui tuoi genitori?-
I suoi occhi si illuminarono e subito pensò a degli scenari dove li incontrava.
-Perché? Le sai?-
Scosse leggermente la testa, e poi con voce sottile disse: -No.-

Erano passate due settimane dal funerale di Simone, e Ethan non li aveva più ricontattati. Neanche un mese e mezzo dopo, quando ci sarebbe dovuta essere la sua morte naturale.
L'idea di un secondo funerale gli aveva sfiorati, giusto per ricordarlo. Di nuovo.

-Io non so quali caratteristiche ho ereditato dai miei genitori. Però ce ne sono alcune che probabilmente sono ereditarie.- Disse Lorenzo portando la bottiglia alle labbra.
-Nessuna. Tu quando ti ho conosciuto eri insicuro, timido. Probabilmente tuo padre era l'opposto: determinato, sicuro di sé. Machiavellico...-

-Io non ero insicuro! E anche se lo fossi stato, ora non lo sono più.- Esclamò il moro.
-Sembravi un cucciolo indifeso... Ora lo sai solo nascondere. Con i tuoi nemici mostri la parte più... Mh... Come dire? Cattiva. Ce ne hai messo di tempo per capire che il mondo della mafia, oltre a fare schifo, è anche pericoloso. Io vorrei non esserci mai finito.-

-A proposito, come mai fai questo? Come mai sei la versione più evolutiva degli spacciatori al parchetto?-
-Io sono su un altro livello! Anche se non me ne vanto. Vedi... Tanti anni fa mi sono fidato di un uomo perfido. Lui lavorava nel campo della mafia, e io, che ero solo un quindicenne stupido che non capiva un cazzo, mi sono fatto ingannare da lui, e mi ha trascinato sul fondo del baratro con lui. Secondo la polizia ero complice di alcuni gravi reati commessi da lui, e non mi rimaneva altro nella vita che vendicarmi di lui.-
-Quindici anni? Avevi la stessa età di quando sono morti i tuoi.-
-Sì.- Disse con difficoltà.

-Io a malapena campavo, un anno e mezzo fa. Mi hai dato un senso. Ti amo.-
-Io ti amo perché mi dai forza, ogni mattina.- Mangiò una patatina, sapendo di essere attraente pure in un gesto semplice come questo: -Ma me la togli la sera.- Sorrise maliziosamente, soffocando una risata.
-Sei un idiota.- Rispose Lorenzo ridendo.

Alle casse del bar partì una delle canzoni preferite del riccio.
-Ascolta.- Gli disse Filippo, prendendogli le mani. Lui seguì il gesto: -A te che sei l'unico al mondo, l'unica ragione per arrivare fino in fondo ad ogni mio respiro.
Quando ti guardo dopo un giorno pieno di parole, senza che tu mi dica niente, e tutto si fa chiaro.- Cantava a voce non troppo alta, cambiando il genere del soggetto.
Lorenzo diventò paonazzo, ma contento.

-A te che sei, semplicemente sei sostanza dei giorni miei.
Sostanza dei sogni miei.
A te che sei il mio grande amore, ed il mio amore grande.
A te che hai preso la mia vita, e ne hai fatto molto di più.- Gli baciò il dorso della mano.

Quando la canzone finì, il riccio gli baciò le mani.
-A te che sei la miglior cosa che mi sia successa.-
-Ti amo riccioli d'oro.-
-Ti amo anch'io.-
Si baciarono senza pensare a nient'altro, ed era come se si fondessero l'un l'altro. Appena si staccarono sorrisero arrossendo: -È bellissimo.- Sussurrò.
-Tu sei bellissimo.-





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