[capitolo 29] Marlboro Rosse

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pov t/n

dopo essere stata arrestata e portata in caserma, venni gentilmente buttata dentro una cella e sbarrata dentro.
non mi lamentai, non dissi nulla, ormai pure le lacrime avevano smesso di scorrere.
non avevo più forza, così mi accasciai sulla misera brandina di quella sudicia cella, ma non riuscii a dormire.

«t/c?» mi chiamò la voce di un poliziotto due giorni dopo.
alzai lo sguardo spento guardandolo in volto interrogativamente.
«fuori da qua» disse aprendo la cella.
non feci alcuna domanda, alzai il culo dalla brandina e seguii quel poliziotto che mi ridiede  telefonino e giacca, e mi cacciò fuori.
«posso fare solo una domanda?» chiesi prima di uscire.
alzò la testa ascoltandomi.
«che ne sarà di quei ragazzi che avete arrestato ieri?» continuai.
«verranno processati e condannati per spaccio» rispose come se fosse logico.
gli feci un segno di grazie e me ne andai.

di nuovo non andai a casa, ma andai da un'altra persona, una persona che mi conosceva come fosse quasi un altro fratello.

"ding dong" fece il campanello del suo appartamento.
ad aprire non fu lui, ma sua madre.
«salve signora, sono venuta a cercare Chifuyu.. è in casa?» domandai con voce spenta e stanca.
la donna capì subito, così mi fece entrare senza chiedermi niente.
«è in camera, entra pure t/n-chan» mi disse lei poggiandomi una mano sulla schiena.
«la ringrazio..»

mi fermai un attimo davanti alla porta della camera per poi bussare due volte.
come mi aspettavo non mi rispose, così entrai lo stesso.
la stanza era buia e sembrava non ci fosse nessuno, ma non era così.
«Fuyu...» lo chiamai in mezzo alla camera.
attesi un paio di minuti li ferma, sentendo poi i suoi passi avvicinarsi piazzandosi davanti a me.
«...»
subito lo abbracciai stringendolo forte, iniziando di nuovo a piangere.
sentii le sue lacrime bagnare la mia spalla stringendomi a se, così lo strinsi più forte che potevo, non volevo perdere pure lui.

«non toccatelo! picchiate me allora!» sentii delle urla provenire da un vicoletto vicino al bordello.
curiosa mi avvicinai guardando cosa stesse accadendo.
dei bambini più grandi di me stavano picchiando un altro bambino più piccolo di loro, ma non capivo bene il perché, così feci qualche passo in avanti e mi affiancai a loro.
«e tu cosa vuoi?!» chiese scorbutico uno.
«sei una femmina, vattene a giocare con le bambole!» disse l'altro dandomi una spinta, ma io non me ne andai, guardai l'altro bambino, capendo perché si stesse facendo picchiare.
dietro di lui c'era una scatola dalla quale spuntava la testolina di un gatto abbandonato.
«vattene o picchiamo pure te!» si mise a ridere quello più robusto, seguito dall'altro.
feci cenno di no con la testa e rimasi li a braccia incrociate.
uno dei bambini vista la risposta decise di tirarmi un pugno, ma lo schivai facendolo cadere a terra e salendo sopra la sua schiena mi lanciai addosso al suo amico, stendendoli tutti e due.
una bambina di 7 alta un metro e un tappo con due codine t/cc, per di più muta, che batteva due bambini di 9 anni in poco tempo, non si vedeva spesso no?

appena scesi dalla loro schiena i due si rialzarono e corsero subito via lasciando me e il bambino dai capelli castani e gli occhi verdi nel vicolo.
mi accovacciai vicino alla scatola dove avevo notato il gattino.
«volevano picchiarlo ma gliel'ho impedito!» disse lui raccontandomi quello che era successo.
mi girai facendogli un pollice in su ritornando poi a guardare il gatto.
«tu abiti qua?» mi chiese il bambino guardandomi, così gli risposi indicando l'edificio dove vivevo.
«ma siamo vicini allora! io abito li!» esclamò indicando un palazzo dall'altra parte della strada.
gli sorrisi, doveva essere simpatico come bambino pensai.
«come ti chiami? io mi chiamo Matsuno Chifuyu, tu?» domandò ancora volendo fare conoscenza, perciò presi un bastoncino di legno e scrissi il mio nome sul terreno.
«ma tu non parli mai?» continuò notando che stavo sempre zitta, gli risposi infatti con un cenno affermativo di testa.
«perché no?» inclinò curioso la testa sedendosi a gambe incrociate.
a questa domanda però non risposi, lo osservai un attimo andando poi ad accarezzare il gatto.
«va bene.. ti va di venire al parco?» cambiò il discorso.
alla proposta risposi alzandomi aspettando che anche lui facesse lo stesso, così iniziai a correre, facendomi inseguire da quel bambino dai bei occhi verdi.
passarono gli anni, io lo seguivo da ogni parte lui andasse, era il mio migliore amico, e anche il mio unico amico, fino all'anno scorso.

eravamo seduti tutti e due con la schiena rivolta al muro e con le ginocchia che ci coprivano la faccia, nessuno dei due voleva dire niente, o non riusciva.
«dov'eri...» chiese lui interrompendo il silenzio.
«pff... in prigione..» mi scappò una corta risata, sembrava da idioti quella risposta.
«come hai fatto a finirci..-» mi tirò un leggero pugno sulla spalla.
«ero nel posto sbagliato al momento sbagliato» risposi alzando la testa guardandolo.
«quand è il funerale...» chiesi io.
«tra due ore..» rispose lui alzandosi in piedi e aprendo l'armadio buttando successivamente dei vestiti neri sul letto.
«ti aspetto prima di entrare» disse guardandomi con uno sguardo che non avevo mai visto nei suoi occhi.
«a dopo» mi alzai uscendo lentamente dalla stanza, salutai sua madre e uscii dal condominio.

uscendo guardai davanti a me l'edificio che si trovava dall'altra parte della strada dove avevo vissuto fino a qualche anno prima.
lo osservai dall'alto verso il basso, era rimasto sempre quello di una volta.

entrata a casa, come mi aspettavo, non trovai nessuno.
in cucina c'era ancora la macchia di sangue, nessuno si era degnato di ripulirla, ma in quel momento non avevo nemmeno voglia di pensarci.
mi diressi in bagno aprendo l'acqua calda della doccia e facendola scorrere.
mi voltai allo specchio.
una ragazza dai capelli disordinati, con occhiaie profonde e uno sguardo assente e spento mi guardava impassibile dall'altra parte del vetro.
toccai la ferita procuratami dallo sparo che si era formata sotto l'occhio, la cicatrice non se ne sarebbe mai andata, giusto per ricordarmi di quel giorno.
una nuova stretta allo stomaco mi fece rimettere di nuovo dopo due giorni.
«che merda..» sciacquai il lavandino, togliendomi poi i vestiti luridi di dosso ed entrai in doccia. 
l'acqua era bollente, ma non girai la maniglia del rubinetto, la lasciai scorrere sul mio corpo.
dopo essermi lavata, la mia pelle era rossa, ma il rossore sparì dopo poco.

in accappatoio camminai gocciolando il pavimento fino alla mia stanza, la casa era fredda e silenziosa, non era mai stata così, mi metteva i brividi.
aprii l'armadio afferrando l'unico vestito che avevo, un vestito nero lungo fin poco sotto le ginocchia a maniche corte.
l'avevo usato una sola volta per la morte del nonno, ma era morto in estate, perciò era a maniche corte.
lasciai cadere per terra l'accappatoio e mi infilai prima la biancheria e poi il vestito.
mi stava perfetto, quando lo avevo preso era un po troppo grande, ma adesso ero cresciuta.
presi la giacca, infilai telefono e portafoglio nelle tasche e aprii la porta d'ingresso per uscire.

un attimo prima di uscire però notai sul tavolo il posacenere pieno da una montagnetta di sigarette e cenere, affiancato da decine di pacchetti di sigarette pieni e vuoti.
mi avvicinai al tavolo prendendone in mano uno.
"Marlboro Rosse" fumava sempre quelle.
accesi con l'accendino posato li affianco una sigaretta e me la portai alle labbra ispirando.
una nuvola di fumo si librò sopra di me, una delle tante che continuarono per tutta la strada che percorsi fino al luogo dove si svolse il funerale.

 you and me? [mikey x reader] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora