[capitolo 31] pioggia

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pov t/n

eravamo le uniche due persone sotto la pioggia mentre gli altri erano tutti dentro il posto.
eravamo a circa due metri di distanza e ci guardavamo senza distogliere lo sguardo.

«com'è successo» rifeci la domanda che qualche giorno prima gli feci in lacrime.
«si è suicidato dopo essere stato accoltellato da Kazutora» rispose.
non mostrai nessuna reazione, ma dentro di me non capivo niente.
-perché quel tipo? chi cazzo è veramente?-
«sei finita sul giornale, spacci?» chiese invece lui avendo sentito dell'arresto.
«io no, mio fratello. ero nel posto sbagliato al momento sbagliato» risposi chiudendo un occhio a causa di una goccia.
«chi ti aveva fatto male all'occhio l'altro giorno?» continuò avvicinandosi di qualche passo.
«mio fratello, aveva assunto qualcosa e quindi non era in se. non Kenji» spiegai.
«e non avvicinarti mai più a lui» chiarii.
«capito» si avvicinò di qualche altro passo, era a una ventina di centimetri da me.
«come ti senti tu..?» chiesi io.
a quella domanda non rispose, rimase fermo a contemplarmi pensando a chissà cosa.
stavo per dire qualcosa quando lui mi strinse a se con le braccia attaccandosi al collo.
rimasi per un primo momento immobile, ma poco dopo ricambiai la stretta cingendo le braccia alla sua schiena.
la pioggia non cessò, si fece solo più violenta, facendo arrivare un temporale.
sentivo il suo respiro caldo sul collo mentre i nostri corpi diventavano sempre più freddi per l'acqua.

«andiamo via» dissi allontanandomi leggermente da lui tirando fuori dalla tasca una sigaretta e accendendola con l'accendino.
facendo il primo tiro sentii già riscaldarmi.
mi guardò un attimo ma non disse niente, mi prese per mano e iniziò a correre trascinandomi via.
corremmo senza una vera meta, arrivando fin sotto ad una tettoia di una fermata dell'autobus, così ci sedemmo sulla panchina.
decidemmo di prendere il primo autobus che passava e vedere se arrivava prima a casa mia o casa sua, dove poi saremmo scesi.
mentre attendevamo fumai altre sigarette, non volevo parlare e non volevo rimanere con le mani in mano, perciò continuavo ad accenderne una dopo l'altra, riempiendo con una nuvola di fumo la tettoia.
dopo una ventina di minuti vedemmo un autobus avvicinarsi e fermarsi alla nostra fermata, così salimmo senza pensarci due volte.
chiedemmo dove fosse diretto e capimmo che si sarebbe fermato prima vicino casa mia, perciò saremmo scesi lì.
nel tragitto inzuppammo i sedili dove ci eravamo seduti.
avevamo i capelli attaccati al viso e i vestiti spiaccicati alla pelle, per non parlare delle scarpe che facevano rumore ad ogni passo per quanto erano piene d'acqua.

appena si fermò il mezzo di soppiatto uscimmo dal retro per non pagare il biglietto che il controllore si era dimenticato di controllare appena saliti.

«è meglio se ti fai una doccia, sei fradicio, così ti riscaldi e non ti ammali» gli dissi appena entrati nell'appartamento.
gli passai asciugamani e vestiti e lo rinchiusi in bagno senza voler ascoltare nessuna lamentela.
nel mentre accesi altre sigarette, dando alla casa lo stesso odore di quando Hayato era a casa e andai a cambiarmi infilandomi dei lunghi calzini e una felpa, senza asciugarmi i capelli.
camminai un po, ma dopo poco iniziai a sentir la testa girare, così mi avvicinai al divano volendomi stendere, inciampando però sul mio stesso piede finendo per lanciarmi sul divano e sbattere la testa sul bracciolo.
mi lamentai un secondo, ma quello dopo ero già andata, avevo perso i sensi.

«mmh..» mugugnai, una forte luce mi stava accecando anche ad occhi chiusi.
socchiusi gli occhi posando il braccio su di essi cercando di capire da dove venisse quella luce e dove mi trovassi.
appena i miei occhi si abituarono, mi trovai stesa tra non so quante coperte sul mio letto, mentre la luce proveniva dalla finestra alla quale non era stata chiusa la serranda.
mi misi seduta poggiando la schiena sul muro.
non mi ricordavo come ci fossi arrivata li, mi ricordavo solo di aver sbattuto la testa sul divano e poi basta.
osservai un po la stanza, era abbastanza ordinata, ma sulla scrivania erano poggiati diverse medicine.

decisi di alzarmi e muovermi un po, non potevo stare li ferma, dovevo andare a prendere i miei fratelli, dovevo comprare del cibo, volevo andare a trovare l'altro mio fratello in prigione, dovevo andare alle prove della band, dovevo andare al cimitero, dovevo pulire la casa, dovevo dovevo dovevo.
aprii la porta della stanza affacciandomi nell'altra stanza, non sembrava esserci nessuno, ma appena guardai verso la cucina trovai qualcun'altro.
il ragazzo avendo sentito la porta aprirsi si girò in mia direzione.
«t/n-chan? non puoi stare qui! devi riposare!» esclamò lui dirigendosi verso di me.
«ma non posso! io devo-» non potei neanche iniziare il mio elenco dei dovevo che il biondo mi prese di peso riportandomi da dove ero venuta.
«ma io devo-» provai a parlare, ma mi tappò la bocca mettendomi sopra tre coperte.
«zitta, il medico dice che devi stare ferma e riposare, se no poi sei capace di perdere i sensi da qualsiasi parte» disse lui serio aggiungendo un altra coperta.
«mh...» mugugnai girandomi dalla parte del muro dandogli le spalle offesa.
«ecco brava t/n-chan, cosi va bene» mi parlò come se fossi una bambina accarezzandomi la testa sedendosi sul bordo del letto.
rimasi un attimo ferma, ma il mio cervello non accettava il fatto di vegetare su un letto al posto di fare altre cose in quel momento, cosi cercai di alzarmi.
«no sono seria devo andare-»
«non puoi» obbiettò.
«devo-»
«no»
provai di nuovo ad alzarmi ma il ragazzo mi blocco le braccia sopra la testa.
«ho detto di no» ribadì.
provai a scalciare, ma si mise sopra di me bloccando ogni mia mossa.
«non puoi andare da nessuna parte ti ho detto, devi rimanere qui, se no magari svieni da qualche parte e nessuno ti aiuta» si chiarì mettendosi a cavalcioni sulla mia pancia.
girai lo sguardo da un altra parte, la situazione era abbastanza strana e iniziavo ad arrossire.
«e allora le altre cose? se non le faccio io non le fa nessuno ora che non c'è neanche mio fratello, come faccio?» domandai.
«ci penso io, però tu devi stare qua, non stai bene e basta.» mi rispose lasciandomi le braccia che rifugiai sotto la coperta.
gli feci un cenno di accordo e mi girai del tutto verso il muro.
con un braccio presi una sigaretta e l'accendino e l'accesi stando sdraiata, ma non feci neanche un tiro che me la tolse di bocca.
«hey?!
«quando starai meglio si, adesso no» me la confiscò insieme a tutti gli altri pacchetti che trovò per casa.
«mmh..» mi lamentai, ma non avevo ne la voglia ne le forze per arrabbiarmi, così seguii le sue regole e provai a dormire.

dopo una decina di minuti riuscii ad addormentarmi con in sottofondo il rumore dei tuoni del temporale, ma il sogno si trasformò in un incubo, o meglio, un ricordo.

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