Capitolo due

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Le portiere dell'auto si aprirono verso l'alto. Uno di quegli uomini in divisa mi aspettava in piedi, sotto la pioggia, e mi intimò di seguirlo. Spaventata come non mai, uscii dallo strano veicolo: aveva una forma simile a quella di una semisfera, e si muoveva fluttuando. Rinunciai a ragionare su come potesse funzionare, piuttosto mi concentrai sul Guardiano che, tenendomi per un braccio, mi accompagnò dentro l'ennesimo edificio in ferro.

«Non devi farti prendere dal panico» disse, rivolgendomi uno sguardo gentile. «Ti faremo solo qualche domanda. Purtroppo, però, la prassi richiede che aspetti il tuo turno in cella».

Sentii il sangue raggelarmi nelle vene. «In cella?» soffiai.

Il Guardiano mi guardò di sfuggita. «Non ci vorrà molto tempo, non preoccuparti».

Attraversammo i corridoi metallici dell'edificio, finché non arrivammo in una stanza che pullulava di Guardiani. Chi sbrigava pratiche, chi rispondeva alle chiamate d'emergenza, chi requisiva gli oggetti alle persone che sarebbero state portate in carcere. Il Guardiano che mi aveva accompagnato mi lasciò il braccio e mi fece posizionare davanti una scrivania, oltre la quale un altro Guardiano era pronto a compilare una pratica nuova. 

«Adesso lui registrerà i tuoi dati e poi ti porterà nella cella che ti spetta. Mi raccomando» fece una breve pausa, sfoderando un mezzo sorriso, «non provare a scappare».

Deglutii, guardandolo mentre si allontanava. Notai che alcuni Guardiani mi fissavano incuriositi, come se fosse insolito per una come me trovarsi lì. 

Mi sedetti di fronte al Guardiano incaricato a prendere i miei dati. Si rigirava la penna tra le dita, mentre con l'altra mano si teneva il mento.

«Allora...» iniziò, leggendo il foglio sulla scrivania. «Ti ruberò pochi minuti. Nome completo?»

«Monia... Monia Geller» la mia voce risultò così tremante che mi imposi di controllarmi. Non avevo fatto nulla di male, perciò non avrei dovuto reagire come un criminale che non si aspettava di essere sgamato. 

«Anni?»

«Diciannove». Nonostante rispondessi con velocità, lui scriveva con movimenti rapidi e secchi. 

«Luogo di nascita e di residenza?»

«Sono nata a Denver, ma abito da quindici anni in Italia, a Palermo»

Quando pronunciai i nomi di quelle due città, il Guardiano mi osservò come se fossi una pazza. «Perdonami, credo di non aver capito» disse. «Da quale piano provieni e in quale abiti?»

Gli risposi rivolgendogli un'espressione perplessa. «Quale piano? Non so di cosa stia parlando. Gliel'ho detto, sono nata a Denver e ora abito a Palermo».
Sembrò comunque non capire le mie parole. Ma perché ogni cosa dicessi pareva provenire da un altro pianeta?

Il Guardiano raccolse la sua pazienza e sospirò. «Va bene, perdona la mia distrazione» disse, nello stesso tono con cui si parla a una persona con le allucinazioni. Scrisse ciò che gli avevo detto e continuò.

«Hai dei documenti con te?» chiese.

Mi grattai il collo ed esitai. Il nervosismo mi stava mangiando le viscere.

«Purtroppo no. Li ho persi» risposi. Lui annuì lievemente, un altro sospiro stanco uscì dalla sua bocca. «Va bene. Adesso puoi alzarti» disse, e girò al lato della scrivania per venire verso di me.

Feci come mi aveva detto. Prese le mie braccia e le allargò, così che potesse perquisirmi. Non mi allarmai, tanto avevo già saputo a mie spese che, per qualche strano motivo, non portavo niente con me. 

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