Capitolo ventisei - parte 2

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1h prima

Eduar chiuse lo zaino da viaggio. Quelle ultime ore sembravano essere passate al rallentatore. A ogni minuto la sua preoccupazione cresceva sempre di più. Si era immaginato tutte le situazioni possibili in cui si fosse potuta trovare Monia. Era viva? Che tipo di ferite aveva? Come stava? La risposta a ognuna di queste domande includeva una Monia in fin di vita, da qualche parte a Somnium, abbandonata a sé stessa. Immagine che non gli dava pace.

L'incantesimo del terzo piano amplificava ogni emozione, ma sapeva, in cuor suo, che quello che stava provando fosse reale. Non riusciva a identificarlo e, probabilmente, una volta lasciata Somnium, sarebbe sparito. Ma in quel momento, mentre si approssimavano a partire, sembrava non esserci nulla di più importante che salvare Monia. Non si sopportò: detestava la debolezza che potevano causare quei tipi di sentimenti.

«Possiamo andare. È tutto pronto» disse Shyla. Eduar prese lo zaino e si avvicinarono alla porta.

Lilah li salutò per quella che sarebbe stata l'ultima volta. Era ancora provata per ciò che era successo. Shyla l'aveva aiutata a riordinare la camera incriminata affinché Vik, tornato a casa da scuola, non assistesse a quel brutto spettacolo. Pulire il sangue di Monia dal pavimento l'aveva scombussolata ancora di più. Quando Vik era tornato a casa, aveva capito comunque che qualcosa non andava. Ora abbracciava Shyla, triste perché lo avrebbe lasciato di nuovo.

«Fate attenzione» raccomandò Lilah, gli occhi lucidi. Si sentiva come se sua figlia andasse a cercare la morte.

«Non so se ci vedremo ancora» Shyla sciolse l'abbraccio con Vik. Parlava sia a lui, che a Lilah. «In voi ho trovato una famiglia. Mi avete accolta e amata. Non vi ringrazierò mai abbastanza per questo».

Abbracciò Lilah, la quale non riuscì a trattenere una lacrima. «Tutto ciò che voglio è che tu sia felice. Se per esserlo devi fuggire, sopporterò il fatto di non vederti più. Però, ti prego: sopravvivi».

Shyla annuì. Ormai anche lei piangeva. Accarezzò i capelli lisci di Vik e accennò un sorriso. Lui sembrava frastornato, indeciso se dire o meno ciò che il cuore gli suggeriva. Alla fine, parlò.

«Portami con te» disse, lo sguardo ambrato che ardeva di desiderio d'avventura.

«È troppo pericoloso» commentò Eduar.

«Sono un discendente Puro. Potrei aiutarvi con l'Oneiro».

Shyla sospirò e si accovacciò di fronte a lui, prendendogli le mani. «Vik, ascoltami...»

«Ti prego, Shyla. Nemmeno io sopporto La Gabbia».

Lilah si coprì la bocca con una mano.

«Vik. Non puoi venire con noi. Rischi di morire ancor prima di uscire da La Gabbia. Preferisco saperti al sicuro, piuttosto che vederti rischiare la vita ogni giorno accanto a me».

Quelle parole parvero colpirlo. Smise di insistere, ma il viso cominciò a rigarsi di lacrime.

«Non dev'essere per forza un addio» continuò Shyla. «Ma resta qui. Fallo per Lilah».

Il ragazzino guardò la nonna, tutto ciò che gli era rimasto della sua famiglia biologica. Poi annuì, nonostante il senso di abbandono che lo opprimeva. Stava perdendo ciò che avesse di più simile a una sorella. Ancora. E non avrebbe potuto impedirlo.

Gli ultimi sguardi prima di lasciare quella casa furono i più dolorosi. Esprimevano tanto senso di perdita e preoccupazione, nonché il rimpianto per non aver goduto abbastanza dei momenti passati insieme.

Shyla pensava a quanto fosse crudele il tempo, mentre raggiungeva il porto insieme a Eduar. Il tempo non aveva mai avuto pietà con lei: non le aveva permesso di immaginare un futuro felice in nessun luogo. Era trascorso troppo lentamente in orfanotrofio e troppo velocemente a Emeros; troppo lentamente a Siderous, quando soffriva per Eduar, e troppo velocemente a Somnium. Sapeva di aver scelto lei di rompere quel miracolo di quiete, volendo fuggire da La Gabbia, ma era convinta che quello fosse il suo destino. Non avrebbe mai coronato il sogno di avere una famiglia stabile, però, almeno, sarebbe stata libera.

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