Capitolo sedici - parte 2

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Non appena fuggii da quella casa, mi avviai a passo di marcia il più lontano possibile. Non avevo intenzione di sopportare ancora quello stronzo di Eduar. Non solo mi aveva rivolto pesanti accuse, si era pure lasciato andare a un ritorno di fiamma -potevo definirlo così?-, non curante che dormissi nella sua stessa camera. Era come se non fossi esistita, come se ci fossero stati solo lui e Shyla lì dentro. Mi sentivo già un'estranea da qualsiasi parte andassi ne La Gabbia, un'extraterrestre che cercava di adattarsi; mi sentivo già abbastanza esclusa da Eduar e Shyla, esclusa da ogni cosa, dai loro ricordi, dal loro legame e dalle loro esperienze. Non mi serviva constatare con i miei stessi occhi quanto fossero ancora uniti.

Stava diventando tutto troppo pesante, e non ero nemmeno a metà del mio viaggio. Per un attimo pensai che, continuando in quel modo, non sarei mai uscita da La Gabbia. Quel mondo mi scombussolava le viscere, mi faceva conoscere lati di me che avrei voluto dimenticare a tutti i costi, metteva in dubbio ogni mia certezza e non potevo controllarlo. Io ero abituata a controllare tutto. Speravo di ottenere, pian piano, un briciolo di potere sugli eventi, ma non era mai possibile.

Avevo cominciato a sentirmi parte del gruppo con Shyla ed Eduar, ma poi lui aveva ancora dubitato di me e aveva schiacciato ogni minima attrazione che avessimo potuto provare l'uno per l'altra, baciando Shyla. Era doloroso, perché mi accorsi di sentirmi sola. Loro due erano così uniti e complici, io, invece, ero il terzo incomodo arrivato per caso, senza ricordi, senza abilità speciali, senza poteri, senza alcun tipo di elemento che mi collegasse a loro o a La Gabbia.

Camminavo, sentendomi inutile e impotente, stupida e sola.
Sola in mezzo a tutta quella gente che animava le strade del villaggio, mentre avanzavo in silenzio. Sola, nonostante fisicamente non lo fossi. Sola. Anche in mezzo ai morti.

Proiezioni di tutte le età si godevano l'unico momento della giornata in cui potessero manifestarsi. La notte copriva Lycoris con la sua brezza e la sua oscurità, ma questo non impediva ai morti di riempire le strade. Cercai di non attirare l'attenzione su di me, poiché ero troppo provata per affrontare altri problemi. Volevo solo prendere un po' d'aria e sbollire la rabbia, sebbene il villaggio fosse tutt'altro che tranquillo. Ma, sicuramente, preferivo quel baccano all'immagine di Eduar e Shyla intenti a baciarsi.

Percorsi una delle vie principali: lo capii perché l'affluenza dei morti aumentò. La via era costellata di locande ed era illuminata da file di lanterne che, appese sui tetti delle case, tagliavano il cielo a righe. Distratta dall'osservare quell'allestimento, non mi resi conto che una bambina stesse correndo verso di me. Sbatté sul mio fianco, costringendomi a fare qualche passo traballante all'indietro. Subito mi accovacciai verso di lei, preoccupata. «Va tutto bene, piccola?» le chiesi, tentando di nascondere il mio malumore e pormi con gentilezza.

La bambina mi guardò con degli occhioni ambrati che mi affascinarono. Imbarazzata, si attorcigliò le punte dei capelli scuri e corti tra le dita; poi la sua espressione mutò, mostrando paura, perché non riconobbe la persona che le stava rivolgendo la parola.

«Dov'è la tua mamma?» chiesi ancora, evitando di spaventatarla oltre. Sperai che fosse lì per cercare un suo parente deceduto, come sua madre, ad esempio. Se l'avessi aiutata e insieme avessimo trovato chiunque stesse cercando, forse non sarebbe stata un'ottima soluzione lasciarla al morto, perché la bimba avrebbe potuto cogliere il giglio e segnare il suo destino; ma almeno non sarebbe rimasta spaesata e sola in quel piano inquietante.

Prima che potesse rispondermi, però, una signora ci raggiunse. I capelli scuri ondulati, raccolti in una coda di cavallo, gli occhi ambrati e i lineamenti dolci simili a quelli della bambina mi fecero capire che potesse essere la madre. Era preoccupata ma, al tempo stesso, sollevata per aver trovato sua figlia.
«Isy! Non devi allontanarti da me, tesoro» disse, la voce amorevole declinata con una punta di severità. Prese la sua mano, poi guardò me. «Scusami, davvero. Ti ha dato fastidio?»

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