Capitolo tredici

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Esibirsi al Teatro Massimo era stato spettacolare. Tutti i ragazzi che avevano partecipato al progetto PON erano stati coinvolti, infatti l'orchestra che si venne a creare era di dimensioni pazzesche. Non ricordavo quante ore passai in quel teatro, tra prove generali e concerto: di sicuro ricordavo l'ansia da prestazione -di cui soffrivo per ogni cosa che dovessi eseguire- e il senso di piacevole libertà mentre suonavo. Purtroppo io e Clara non eravamo state scelte come compagne di leggio, ma non mi rattristai troppo: lei era finita con Carlo, un ragazzo che faceva già parte dell'orchestra in cui io e Clara aspiravamo a entrare, dopo aver concluso il PON; sapevo bene che Clara avesse iniziato a nutrire un interesse per lui, perciò fui solo contenta che potesse passarci un po' di tempo e conoscerlo meglio. Quel giorno, tra l'altro, ero così felice di essere lì, che non mi curai di nient'altro. Né della stanchezza, né dei calli ai polpastrelli che bruciavano. Nulla avrebbe potuto spezzare quell'incantesimo di gioia. Infatti, esso mi aveva inebriata per tutta la giornata, anche dopo aver finito il concerto ed essere tornata a casa, sclerando al cellulare con Clara e Rosa. Per la prima volta il nostro sogno ci era sembrato palpabile, superando la nostra fervida e ricca immaginazione. 

Sclerammo ancora di più quando, qualche settimana dopo il concerto (e quindi la fine del progetto PON), scoprimmo di essere state prese tutte e tre nell'orchestra che ci aveva dato quella opportunità: l'orchestra di MusicaInsieme. Fummo inserite sia nel coro, che nei gruppi dei vari musicisti (io e Clara chitarra classica, Rosa violoncello), e grazie a questo conoscemmo un sacco di persone nuove. Iniziammo a girare tutte le chiese di Palermo, facendo concerti per ogni occasione, comprese le feste. Ci avevano regalato la possibilità di assaporare il profumo dei nostri sogni. Non ce la saremmo fatta scappare per nulla al mondo. 

Durante tutto quel primo anno di liceo, tra drammi scolastici e compiti da fare, tra spartiti da imparare, prove, lezioni, concerti, tra tisane per rilassare la voce e calli alle dita, Clara mi iniziò a raccontare di quanto si fosse pentita di non aver scelto il liceo mio e di Rosa, che voleva imparare il greco per iscriversi nella nostra classe al secondo anno, e che stava frequentando anche altre lezioni di altri strumenti perché forse la chitarra non era il suo forte. Clara era così: una ragazza che cercava la sua strada freneticamente, che pensava di non essere abbastanza talentuosa per spiccare, che dovesse dimostrare di saper fare di più. Capivo la sua ambizione e l'insicurezza che vi si nascondeva, ma avrei tanto voluto che lei si fosse vista, anche per un solo secondo, con i miei occhi: per me era un talento. Non si dava mai per vinta, lottava per ciò a cui teneva, era forte. Io vedevo questo di lei. Anche se vi scorgevo la paura e l'insicurezza, io la vedevo. Soprattutto mentre suonava o cantava. Ma lei no.

Il primo anno di superiori passò, così come i primi nove mesi nell'orchestra, ma Clara non riuscì a cambiare indirizzo, rimanendo allo scienze umane anche per il secondo anno. Io e Rosa continuammo a stare in classe assieme e ci vedevamo anche alle lezioni di coro. Clara, invece, che oltre alla chitarra adesso provava sia percussioni che violoncello, spesso saltava le lezioni. A volte non la vedevo nemmeno a lezione di chitarra. Avevo paura che l'avrebbe lasciata per altri strumenti, e che non saremmo più state compagne di leggio. Poi però scoprii che mancava anche alle altre lezioni, ma, nonostante il nostro rapporto, lei non si apriva su questioni delicate con me, quindi non sapevo cosa le stesse accadendo.

«Sta avendo un po' di problemi in famiglia» mi spiegò una volta Rosa, durante l'ennesima lezione di coro in cui non vidi Clara. Non riuscii a chiedere spiegazioni più precise, perché doveva esserci un motivo se Clara non me l'aveva detto. Non mi sembrò il caso di farmi raccontare i suoi problemi da qualcun altro. Tuttavia provai una leggera invidia: ero consapevole che Rosa e Clara si conoscessero da più tempo e fossero più legate, ma avrei voluto sentirmi anch'io parte di quell'intimità. Proprio come la sentivo quando cantavamo o suonavamo insieme. Eppure non potevo aspettarmi troppo da un'amicizia a tre, visto che, in tutte le volte in cui ne avessi fatto esperienza, quella esclusa ero io. 

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