Capitolo diciannove - parte 3

30 3 18
                                    

Il rumore dei passi dei morti scandiva i secondi. Anche quello dei miei piedi si unì al loro, confondendosi tra la folla.

Il metallo freddo del pugnale mi punzecchiava la schiena e mi ricordava, a ogni passo, la gravità della mia scelta. Se fossi andata fino in fondo, non avrei più potuto tornare indietro. Ero davvero sicura di arrivare a tanto?

Una totale lucidità aveva preso il controllo di me. Mi ripeteva che non avrei compiuto un vero omicidio, che si trattava di un incantesimo. Che lo facevo per Eduar e Shyla, per ripagarli delle volte in cui mi avevano protetta e per il rischio che stavano correndo a causa mia. Che la colpa dell'accaduto sarebbe stata di Eris, non mia. Di Eris e delle sue assurde e maledette regole.

Il flusso di ragionamenti ponderati e sensati non ebbe fine e non mi lasciò lo spazio per dubitare della mia capacità di giudizio: quando formulavo quel tipo di pensieri mi sentivo come se sapessi perfettamente cosa fare e come. Esaminavo i rischi, gli imprevisti e le possibili conseguenze, ma ciò che avrei potuto provare io non veniva preso in considerazione.

Sapevo di star facendo la cosa giusta, quindi nient'altro aveva importanza. È solo un incantesimo. Solo un incantesimo. Solo un incantesimo, mi convincevo. Non ero una Proiezione, non dovevo avere le loro paure e i loro problemi. Forse Eris conosceva una singola debolezza, Clara, e aveva tentato di usarla contro di me, ma non le avrei dato la soddisfazione di potermi controllare. Non mi sarei nascosta.

Poteva dominare tutto e tutti, non me.

Fuori dal villaggio, il campo di gigli del ragno rosso stava perdendo lucentezza: il cielo si era colorato di spruzzi di rosa e arancio. La polvere dorata dei fiori stava sparendo, e ogni defunto si recava dal proprio giglio in attesa dell'alba.

Nonostante la confusione, non fu difficile individuare Clara. Con quegli abiti terreni identici a quelli della notte precedente, si differenziava dagli altri.
Mi assicurai che il pugnale non si notasse, quindi la raggiunsi.

«Clara» la chiamai, il tono sommesso. Non appena si voltò a guardarmi, con quegli occhi chiari sorridenti e le ciocche color miele a incorniciarle il viso pallido, una fitta attraversò con violenza il mio petto.

Mi concessi un istante per respirare profondamente. Quella fitta era tra gli spiacevoli imprevisti, ma la ignorai con tutte le forze che avevo.

«Monia!» rispose, sorpresa di vedermi ancora lì. «Sono felice di rivederti, ma è successo qualcosa che ha impedito il vostro viaggio?».

Sì. Devo...

Una parte di me voleva avvisarla, dirle di scappare lontano. Soffocai quella parte, perché l'unico obiettivo importante era arrivare al terzo piano, perciò dovevo controllarmi. Controllo. Era l'unica cosa che avevo sempre desiderato, il controllo su tutto.

«Un piccolo fraintendimento con il Custode, ma nulla di che. Partiremo subito dopo l'alba» mentii. «Così ho pensato di darti un ultimissimo addio».

L'espressione di Clara si addolcì ancora di più. «Promettimi che uscirai da questo inferno, Monia. Devi tornare a casa».

Annuii. «Io tornerò a casa. A qualunque costo» promisi. Tutto sarebbe stato meglio de La Gabbia. Avrei raggiunto il mio scopo, anche se avessi dovuto compiere azioni riprovevoli. La Monia tranquilla, pacifica e santa era morta già da quando a Siderous aveva sparato a quel Guardiano. Quella lucida e razionale, però, non era ancora morta, nonostante tutti i crolli emotivi.

Inibivo le mie emozioni per controllare quei crolli? Sicuramente. Ero abituata a farlo da tutta la vita: una volta in più non avrebbe cambiato nulla.

Clara lanciò un'occhiata all'orizzonte. Le sfumature arancioni si erano fatte più accese.

Cage of DollsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora