Capitolo ventotto

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L'aria era più fredda. La nave attraversava, veloce, il mare di Somnium. Il vento cominciò a colpirci con più forza e delle inquietanti nubi coprirono il cielo. Eravamo tutti lì, in piedi in mezzo al ponte, Shyla intrappolata all'albero e la Bambola che la teneva in pugno.

Nemesis era colei che, ubbidendo agli ordini di Eris, aveva massacrato le Proiezioni di Emeros. Aveva distrutto la casa dei miei compagni, ucciso i loro genitori, sterminato intere famiglie. Ricordavo ancora il dolore di Shyla quando, a Lycoris, mi aveva raccontato ciò che aveva passato. La sete di vendetta di Eris, provocata dalla rivolta di uno dei piani del suo prezioso mondo, si era incanalata in Nemesis e aveva causato soltanto morte. E, da quel giorno, le vite degli unici superstiti ora lì, su quella nave, erano cambiate per sempre.

Dopo un tale atto di violenza, perché Nemesis era tornata? Avrebbe potuto ucciderci subito, ma aveva pazientemente aspettato fino a questo momento. Notai che più mi relazionavo con le Bambole, più i loro comportamenti erano imprevedibili e assurdi.

Mi pentii di non aver portato con me il pugnale. Così ero indifesa e convalescente. A meno che quella forza bruta non mi avesse investita, come con Ybris, permettendomi di contrattaccare, non avrei potuto fare nulla. Una parte di me non voleva usare quella strana forza: i miei occhi si sarebbero trasformati e tutti avrebbero scoperto che, probabilmente, non ero umana. Si sarebbero più fidati di me, a quel punto?

Eduar teneva la pistola puntata alla fronte di Nemesis, a qualche metro di distanza. Era ammirevole il modo in cui si sforzasse a mantenere la lucidità. Il suo sguardo, che fino a qualche minuto prima, mentre parlavamo, era caldo e premuroso, adesso non mostrava altro che una tagliente freddezza. Potevo percepire chiaramente il suo istinto omicida e una rabbia sconfinata. La stessa rabbia che gli aveva permesso di andare avanti in quegli anni, di essere il comandante di Siderous e che covava in sé stesso anche grazie ai duri addestramenti militari. Ogni cosa lo aveva forgiato per diventare colui che avevo conosciuto a Siderous. E colui che non avrebbe esitato a uccidere una Bambola a sangue freddo, se ci fosse riuscito.

«Come dimenticarti?» domandò con una certa ironia amara, rispondendo alla domanda retorica che la Vendetta gli aveva rivolto.

«Aspettavo questo giorno con ansia» disse lei. Strofinò la parte liscia del suo pugnale sulla guancia di Shyla. «Questi sono i momenti che più amo: quelli in cui posso vendicarmi».

La situazione parve così assurda che Eduar sorrise. «Tu? Sarò io a vendicare Emeros e la mia famiglia. Allontanati da Shyla e battiti con me».

Lo guardai terrorizzata. Fin ora non avevamo mai avuto la meglio su una Bambola e dubitavo che potesse accadere. Non volevo che Eduar morisse per qualcosa di così inutile come la vendetta.

«Perché dovresti vendicarti, mostro?» chiesi a Nemesis, prendendo tempo. Lei mi fissò come se si fosse dimenticata della mia presenza e si fosse accorta solo adesso di me. L'epiteto "mostro" non la scalfì come con Ybris. Dovevo trovare un modo per capire il suo punto debole. «Sei stata tu a radere al suolo Emeros» aggiunsi.

«Non sai di che parli, aliena» ribatté. «Ho ubbidito a un ordine. E la causa di tutto è questo essere ripugnante» si riferì a Eduar. «Se non avesse organizzato quella rivolta...».

Si frenò dal continuare. Perse il ghigno e percepii una strana nota di sofferenza. Cosa le era successo durante la rivolta? Cosa la spingeva a voler infierire su Eduar e Shyla?

«Risparmiaci i piagnistei», intervenne Eduar. «Non mi importa nulla della tua vendetta. Morirai prima di vedere l'alba».

«Oh, davvero?» Nemesis girò la lama e provocò un taglio al collo di Shyla. Lei strinse i denti, mentre noi saltammo in aria; se il taglio fosse stato poco più profondo, l'avrebbe uccisa. «Forse adesso ti importa» lo sfidò.

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