-4- Liska

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I giorni trascorrevano tutti uguali, nel laboratorio.

A volte prelevavano prima lui, altre il primo a essere portato via era Liska: quello era diventato il nome dell'altro, per via dei segni sulla schiena e della sigla.

Sotto i reciproci occhi, il loro aspetto subiva continue mutazioni e Nove si trovò a fare un gioco assieme al compagno. Ogni sera si osservavano, ricapitolando i mutamenti avvenuti nel tempo che avevano trascorso insieme e cercando di spiegare all'altro quello che vedevano. Non c'erano superfici riflettenti e non avevano memoria del loro aspetto iniziale: era solo grazie all'altro che erano consapevoli, in parte almeno, di come apparissero.

Quella sera Liska venne portato nella gabbia solo dopo che quella specie di androide vegetale ebbe consegnato il pasto. Nove, colmo d'angoscia, non toccò cibo fino a quando non lo vide: era confuso, pallido e tremante, incapace di stare dritto da solo.

«Ehi, Liska...!» Nove lo aiutò ad appoggiare la schiena contro la parete, puntellandolo contro l'angolo. La pelle era secca, squamosa, e gli occhi sembravano incapaci di metterlo a fuoco. In quelle settimane erano diventati sempre più gialli e la pupilla aveva preso una forma simile a una croce. Con la mente piena di paura prese un vassoio, lo aprì e cercò di far bere l'amico. Lentamente, con pazienza, grazie a quelle piccole attenzioni sembrò riprendersi e finì di mangiare da solo.

Davanti alle continue occhiate preoccupate dell'altro, gli sorrise. Non sapeva se la sua impressione fosse vera, ma Liska si sentiva più grande di nove. Non poteva basarsi più di tanto sul loro aspetto per capire se, davvero, fosse più vecchio dell'altro, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che Nove era solo il ragazzo che sembrava.

«Smettila di fissarmi, sto bene adesso.» Lo sguardo dell'altro rimase su di lui ancora un istante, poi Nove annuì.

«Cosa ti stanno facendo?» Chiese piano, titubante.

«Sai, tu? Tu sai cosa fanno a te, per caso?» fece una smorfia amara, per poi sospirare «Cercano di ottener qualcosa, e fanno le prove. Possiamo finire morti, riportati come mostri senza cervello sulla terra o usati ancora per altro. Cosa quel altro sia non lo so, però. Se tu sai qualcosa...»

«So che hai una faccia da schifo, oggi.» Liska rise, rinfrancato dal cibo stava meglio anche se un dolore preciso e fastidioso al centro della schiena non aveva ancora smesso di assillarlo.

«Allora dimmi cosa è cambiato.»

«Va bene.» Nove si sedette più comodo, osservando attentamente l'altro. «Hai le spalle più gonfie, grosse. Sei pallido e la faccia è più piatta.»

«Sono una bellezza insomma.» Mormorò, appoggiando la testa al muro. Si rendeva perfettamente conto che le trasformazioni mostruose erano le più pericolose, quelle che non lasciavano praticamente mai intatta la mente. Liska si passò i palmi delle mani sul viso. Vedeva anche in modo diverso. I colori erano mutati dal giorno precedente e percepiva sfumature dell'infrarosso. Qualcosa, in lui, gli diceva che non aveva più molto tempo. «Ascoltami, Nove. A giorni potrei non tornare più, non aspettarmi a mangiare come hai fatto ultimamente... sarebbe inutile.»

Il ragazzo scosse freneticamente il capo, gli occhi che si facevano immensi, lucidi e spaventati nel viso pallido.

«Perché...? Non... non hai niente che non va!» Liska gli sorrise. Anche Nove era cambiato molto in quelle settimane, ma in modo completamente diverso da lui. I tratti del viso e del corpo si erano affinati, sembrava molto più androgino, ora. Gli occhi da blu erano diventati viola e i capelli diventavano sempre più chiari, ogni giorno che passava si schiarivano visibilmente. Stava diventando una creatura quasi eterea.

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