-15- Rakara

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Salve a tutti, ecco un nuovo aggiornamento!
Allora, che ne dite della storia? Un pochino piace? Fatemi sapere qualcosa!

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Rakara non si era mai allontanata dal pianeta minerario, XD456H era stata l'unica casa che aveva conosciuto.
Lì, tra i popoli e le diverse etnie che convivevano nell'unico scopo di depredare il globo delle sue risorse, in quell'incontro e quello scontro di forze così diverse, abitudini e culture agli antipodi, era diventata una giovane nauhea.
Graw l'aveva educata secondo le discipline del loro popolo, insegnandole a reprimere le emozioni, a considerarle indegne e motivo di disonore. Non erano cose che un razza evoluta e superiore come la loro poteva accettare in un suo membro, soprattutto in uno che, come lei, prometteva di essere elitario.
Eppure qualcosa, dentro di lei, negava quegli insegnamenti.
Era successo poche, pochissime volte, eppure quando sfuggiva alla sorveglianza di Graw e con Kiuma si addentrava nei quartieri interraziali, scopriva che non solo si poteva sorridere, o ridere, ma che era piacevole. Lo faceva con discrezione, in maniera timida e provando un feroce senso di colpa e una sottile vergogna, eppure i suoi ricordi più belli e preziosi erano quei momenti con il fratellastro.
Quando la portava in quei locali in cui non avrebbe dovuto mettere piede, facendole vedere un aspetto della vita che le avevano detto essere inesistente e orrendo, era felice. Divertirsi, ridere, scherzare e giocare non era più un'onta, era liberatorio e piacevole, ma sapeva di doverlo nascondere accuratamente. Si rendeva conto di percepire qualcosa di diverso da chi la circondava, rispetto a Graw. Non sentiva solo le parole, era come se fossero colorate e credeva fossero le sfumature emotive dei pensieri. Anche se non era certa di capire, di spiegare anche solo a se stessa nel modo giusto quello che percepiva, per Rakara era ciò che si avvicinava di più a come sentiva le altre menti.
Certo, lei e Kiuma non erano chiassosi o espansivi come le altre razze, ma per i loro standard anche solo un'occhiata divertita e un accenno di risata era molto anomalo e lei amava percepire i colori brillanti dei pensieri del fratello, quando erano assieme. Con lei non li celava e anche se non aveva nomi per essi, la facevano stare bene.
Mescolarsi con le altre razze era malvisto: erano inferiori, indegne, erano solo specie che non avevano raggiunto il loro livello evolutivo. Eppure con loro si trovava a suo agio, almeno in un certo senso. Non sentiva come fastidiosa la presenza di quelle menti disordinate, luminose come fuochi d'artificio e altrettanto colorate. Premevano contro la sua e quel vortice indisciplinato, caotico, era come una foresta vergine inesplorata e selvaggia, che l'attirava. Ma ogni cosa che le era stata insegnata, ogni progetto fatto per la sua vita, ogni speranza di un'esistenza degna di essere vissuta tra la sua gente, le imponeva di rispettare le leggi isolazioniste, di sviluppare le sue capacità bloccando ogni emotività, di smettere di provare emozioni... come faceva Graw.
Perché lei e Kiuma erano diversi, lo sapeva. Loro due avevano un segreto, l'amore che li legava. O meglio, se avesse avuto una parola per definire quello che provava, l'avrebbe chiamato amore fraterno.
Strinse con più forza le dita sottili e delicate sul bordo del corrimano che la portava lontano dalla nave che l'aveva condotta su Whenua. Non poteva fare a meno di ammirare e apprezzare quella bellezza, eppure avrebbe rinunciato a tutto pur di riavere Kiuma con sé o di poter stare con lui, alla colonia, dove sorridere poteva ancora essere accettato fuori dai quartieri nauhea. Dopo che Graw l'aveva cancellato dalla loro genealogia era scomparso: la loro genitrice non si era data nessuna pena per quel fatto, il suo dovere l'aveva svolto ed era diventato inutile, ma lei non si dava pace.
Sotto l'espressione neutra e calma celava un abisso in tumulto che stentava a celare e mascherare: incolpava la donna di quella scomparsa e si chiedeva disperatamente se anche lei avesse in qualche modo contribuito. Sapeva che Kiuma provava qualcosa di simile a quello che sentiva lei, ne era certa. Era qualcosa che emanava da ogni suo pensiero quando erano assieme, ma sapeva che lui non poteva sentire il suo sentimento allo stesso modo e si chiedeva se non avesse dovuto dirglielo. Credeva lui lo sapesse, ma se invece fosse convinto di essere una specie di nullità anche per lei? Se si fosse allontanato da lei credendo che il biasimo della loro genitrice fosse presente anche nei suoi pensieri?
La passerella finì e mise piede su una strada cosparsa di una sostanza chiara, simile a sabbia, eppure compatta. Davanti a lei altri giovani nauhea appena entrati nell'adolescenza o poco più, attendevano.
Graw le aveva detto che, dopo dei test iniziali per stabilire esattamente la sua tipologia di doni e la loro forza, le sue attitudini, sarebbe stata smistata in diversi tipi di corsi. Aveva detto che si aspettava il massimo, per rendere ancora più importante la loro stirpe. Per il bene del loro stesso popolo avrebbe dovuto impegnarsi, perché i nauhea erano superiori a chiunque altro ed era importante dimostrarlo in ogni cosa.
Beh, non aveva usato proprio quei termini, ma il concetto era quello, pensò la ragazzina trattenendo un'espressione sconsolata.
Posando le iridi scarlatte, identiche a quelle del fratellastro, su quegli alberi che aveva visto solo nelle riproduzioni tridimensionali a matrice bio olografica, trattenne un sorriso e il desiderio di toccarli davvero. Certo, conosceva la sensazione della corteccia sotto le dita, ma era certa che con un albero vero sarebbe stato diverso, più vivo.
«Rakara tam'Graw?»
Una donna nauhea in una divisa bianca e blu, con l'aria severa di ogni adulto della sua razza che lei avesse mai incontrato, la chiamò. Fece i passi che le separavano uscendo suo gruppo e si fermò davanti a lei: era anziana e i capelli erano striati di grigio e bianco.
«Sono io.»
«Bene, attendi qua, stiamo controllando la tua identità.» Aveva puntato al viso della ragazzina un sottile filamento collegato alla sua divisa. Sembrava un viticcio di un blu intenso e quando l'aveva sfiorata, causandole un minuscola puntura simile a un pizzico, una goccia del suo sangue era stata assorbita da esso.
Dopo alcuni istanti la donna annuì.
«Sì, i dati combaciano. Benvenuta sul pianeta madre» si guardò attorno, controllando probabilmente qualcosa, poi puntò il dito verso una capsula poco lontana. «Salite, ci dirigiamo allo stabile dove verranno effettuati i primi test per lo smistamento.»
La decina di giovani nauhea si avviò obbediente, senza guardarsi indietro.
Solo una volta girò appena la testa, guardando la nave senziente che l'aveva portata lì e desiderando segretamente di poterci nuovamente salire per andare a cercare il fratello. Si ricompose immediatamente, mentre la donna prendeva la parola, rivolgendosi in tono didattico ai giovani che viaggiavano con lei.
«Emozioni e sentimenti si manifestano come degli stati di attivazione psicologica e fisiologica, in risposta a un cambiamento nel proprio ambiente fisico, sociale o mentale. Sono reazioni che nascono dal retaggio animale di ogni specie che si è evoluta ma, come voi ben sapete, noi Nauhea siamo riusciti ad avanzare ulteriormente, controllandole. Le emozioni possono essere descritte come l'insieme delle risposte pubblicamente osservabili, risposte che sono inadeguate e fonte di sbagli. La logica, il controllo, la soppressione di quelle manifestazioni è la chiave necessaria al raggiungimento degli obbiettivi superiori che ci contraddistinguono.
«Le emozioni sono stati di breve durata, transitori, sappiate però che esistono i sentimenti. Essi non sono osservabili e sono a un livello di interazione diverso: sono l'elaborazione consapevole dell'impatto che ha l'ambiente con ogni parte di noi. Con la struttura corporea, psicologica, sociale. Hanno una profondità maggiore, e sono stati di lunga durata. La fedeltà all'imperatore, l'orgoglio per la superiorità del nostro popolo... sono sentimenti, e non dovrete mai confonderli con le emozioni. Anche se un ferreo controllo delle emozioni dà un maggior dominio sui sentimenti.»
Attorno a lei i visi attenti sembravano non perdersi una parola, il silenzio era assoluto.
Rakara si chiese se, allora, quello che sentiva per il fratello poteva essere accettato. Non era un'emozione, quelle erano passeggere, no?
Ricordava di aver provato da sempre quello slancio verso Kiuma, che sorrideva solo a lei, di nascosto, come non faceva nessun altro. Ed era certa che quello scintillio degli occhi, quell'espressione, fossero solo per lei: un tesoro che veniva dato solo e unicamente a lei.
Provò il fuggevole impulso di chiedere alla donna se quello che provava era giusto, ma si trattenne.
Sapeva che non lo era, sapeva che quell'espansività, il mescolarsi con le altre razze, quello che faceva il fratello e che a volte aveva fatto anche lei, era considerato spregevole quando non era apertamente illegale. Era indegno della loro razza, gettava un'ombra sulla loro superiorità.
La donna continuò a parlare, spiegando le tecniche che avevano acquisito dalle loro genitrici e dagli insegnanti fino a quel momento in un modo nuovo. Un'ottica che metteva in risalto come il controllo e la soppressione dell'emotività in ogni sua forma non necessaria elevassero i nauhea, li rendessero superiori. Come solo i sentimenti di fedeltà all'imperatore, al sovrano che li guidava in quel percorso verso la perfezione e il dominio assoluto fosse corretto, come l'identità nazionale, l'orgoglio di appartenere a quella razza, fossero giuste e permesse.
Rakara ascoltò con attenzione, mentre i semi già presenti in lei di un indottrinamento venivano innaffiati e potenziati, trovando però a contrastarli emozioni e sentimenti troppo radicati per poter essere soppressi e accantonati.

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