-13- Quasi Amore

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Volevo scusarmi per il grande ritardo con cui ho postato il capitolo, ma in questo periodo sono stata in ballo con il trasloco e sono ancora senza linea...
Mi scuso tantissimo, e spero che questo capitolo più succoso del solito vi piaccia.

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«Ferghi è molto, molto dispiaciuto che tu non abbia ancora pagato l'ultimo carico di scorte alimentari.» Il grosso umanoide coperto di pelliccia verdastra, a quelle parole, lo fissò.
«Può essere triste quanto cazzo vuole, se non mi dava roba marcia lo pagavo!» la strana pronuncia dell'alieno rendeva difficile capire bene quello che diceva, ma l'atteggiamento, nonostante fosse di una specie radicalmente diversa dalla sua, non lasciava nessun dubbio.
«Non c'era nulla di marcio, paga e vedrai che la cosa finisce qua.» Aronui sorrise, il viso tranquillo e l'aria rilassata.
«Ordini al nauhea di farmi a pezzi se non pago?» chiese la creatura, sprezzante, guardando con disgusto il soggetto della frase.Waiti strinse appena le labbra a quelle parole, senza far trapelare nulla dallo sguardo che teneva fisso sull'altro.
Sopportare quel genere di disprezzo proveniente dalle persone e sentirlo come una continua pressione sulla mente era un'esperienza nuova, che non gli piaceva: era abituato all'odio e alla paura, non a quello. Al di fuori dei territori nauhea erano considerati un popolo senza cuore, spietati conquistatori che stavano divorando un mondo dopo l'altro senza rispetto per nulla e nessuno, senza che qualcuno fosse in grado di contrastarli nella loro avanzata. Nessun altro aveva avuto la capacità di unire le più disparate razze, etnie e popolazioni per creare un fronte compatto contro la loro avanzata e nessuno, da solo, era in grado di contrastarli.
Quella parodia di democrazia guidata da Rangatira rappresentava l'unico impero multirazziale dello spazio conosciuto, una forza per ora incontrastabile, eppure Waiti non riusciva a vedere in esso tutto il male che sembrava esserci, almeno secondo quello che sentiva.
Unire così tante genti di mondi diversi aveva portato anche innegabili vantaggi, aveva migliorato la tecnologia di molti pianeti, dato la possibilità di viaggiare, commerciare... certo, sempre sotto il controllo nauhea, ma innegabilmente avevano alzato il tenore di vita di chi si era annesso pacificamente.
Ma poi le immagini di quello che accadeva a chi non accettava la supremazia dei conquistatori gli balenarono in mente. Ogni medaglia aveva due facce e lui stesso aveva contribuito ad alimentare l'odio e il disprezzo, facendo in modo che la fama di sterminatori fosse fondata.
Incrociò le braccia, immobile, senza cogliere la provocazione dell'altro.
Nonostante fossero lì da poco più di un mese non si era ancora abituato a essere considerato l'aiutante, o meglio il braccio armato, di Aronui ma, soprattutto, non si era affatto aspettato che lui possedesse quel tipo di abilità.
Aveva prima trovato il modo di ottenere un passaggio, facendo in modo di poterlo pagare con il loro lavoro come membri temporanei dell'equipaggio con una registrazione sommaria e fasulla, non rintracciabile dagli archivi di navigazione. In seguito aveva procurato in modi sempre più ingegnosi denaro, lavoro, passaggi e rifugi... l'abilità di Aronui di cavarsela e di sopravvivere gli aveva mostrato lati di lui che l'avevano allontanato sempre più dall'immagine del mokai che pensava di conoscere. E trovava che tutto quello lo rendesse ancora più interessante, meravigliosamente interessante.
Per un momento tornò con la memoria sul pianeta agricolo, allo spazioporto dove in poche battute il capitano aveva ceduto.
Aronui l'aveva toccato, o meglio, aveva toccato prima in un bar della zona la sedia dove era seduto non appena si era alzato. L'avevano poi seguito ed era bastato scambiare qualche frase per far cedere l'altro, anche se malvolentieri. Non aveva sentito cosa si dicevano, lui era a una certa distanza a controllare che non arrivasse nessuno in quel vicolo per lasciare tempo al compagno e in seguito aveva rispettato il suo silenzio sull'argomento, ma durante il viaggio coglieva il disagio del capitano ogni volta che incontrava Aronui e la soddisfazione dell'amico.
Il passaggio successivo, un viaggio molto più breve fino al luogo dove si trovavano ora, l'aveva però procurato in un modo che lui non aveva affatto apprezzato.
Aveva abbordato un altro capitano, stavolta di un piccolo cargo che faceva spola solo all'interno di quel sistema solare e, in cambio di sesso, aveva trovato posto per sé e per lui. Per tutta la settimana del viaggio 'Nui era stato la puttana dell'uomo e lui aveva scoperto di essere profondamente irritato da ciò. Quando aveva parlato di quell'emozione, che secondo lui andava contro ogni logica visto che non avendo denaro era una forma di pagamento alla loro portata, Aronui era scoppiato a ridere, per poi scuotere la testa e dirgli che sembrava gelosia, la sua.
Conosceva il significato della parola, ma Waiti non credeva affatto che quello che provava corrispondesse a quell'emozione e, fermo nella sua convinzione, aveva ignorato ogni altra altra risata dell'umano. La gelosia era uno stato emotivo di ansia, di tormento dato dal sospetto più o meno fondato che la persona amata fosse insidiata da qualcuno. Un rivale, magari.
Non era il suo caso, ne era certo, era al di fuori di ogni logica.
Continuando a sorprenderlo per la facilità con cui si muoveva in quei mondi ai suoi occhi caotici e disorganizzati, Aronui aveva trovato il modo di infilarsi in una società locale. Una specie di unione a delinquere capeggiata da un certo Ferrghi, che li aveva ingaggiati per trovare chi non pagava i suoi servizi e convincere il malcapitato a versare il dovuto. Aronui, grazie alla psicometria, individuava in fretta il suo obbiettivo e, una volta trovato, di solito faceva agire lui.
A volte bastava che lo guardassero bene, altre doveva andare oltre e lasciare qualche osso rotto, ma senza esagerare, per convincerli.
«Esattamente, amico. E sai benissimo che lo farà.» Aronui incrociò le braccia, un sorriso sottile e minaccioso sul volto delicato.
«Sei solo un vigliacco, ma lo sanno tutti ormai. È chiaro che sei uno schifoso mezzo nauhea, uno sporco codardo, uno di quegli esper senza palle che vogliono fare tanto i padroni!» digrignò i denti, fissando con astio Aronui «Cosa sei, eh? Il figlio di qualche soldato che ha messo incinta qualche puttana? Uno scarto?»
Aronui socchiuse gli occhi e le iridi violette divennero fredde come la pietra.
Dalla tasca del giubbotto estrasse un pugnale di un metallo bronzato e il sorriso si allargò, inquietante e quasi folle. Fece un passo avanti, facendo cenno a Waiti di rimanere fermo, mentre muoveva minacciosamente la lama dal lungo filo ondulato in direzione dell'umanoide.
«Mi sa che ho cambiato idea, pellicciotto. Mi hai irritato, a te ci penso io.»
Con estrema calma l'altro estrasse da una piega della strana tunica che indossava un'arma da fuoco, puntandola contro l'umano.
«Smamma, per quanto sia veloce il tua amico non credo lo sia più di un proiettile a frammentazione.»
Aronui sorrise ancora di più, stringendosi nelle spalle con aria sicura e rilassata.
«Scommettiamo...?»
Capendo al volo quello che l'altro intendeva fare Waiti agì: il proiettile partì, ma venne assorbito da un frammento esagonale dell'hoari del soldato, che afferrò il polso dell'umanoide strappandogli l'arma di mano e gettandolo al suolo.
«Direi che ha perso la scommessa, sono stato più veloce del proiettile.» Secco, Waiti parlò guardando il volto di Aronui, sentendo le sue emozioni sfiorarlo, caotiche e furenti. Rivolse poi lo sguardo alla loro preda, fissandolo gelidamente «Hai intenzione di pagare?» gli chiese, tenendolo fermo. L'essere ringhiò furibondo un diniego, dimenandosi inutilmente nella presa del militare.
«Non è ancora abbastanza spaventato, guardalo! È solo incazzato la merda qua...» Aronui si chinò, avvicinandosi all'alieno e puntandogli la lama bronzea all'addome «dimmi, cosa fa diventare la rabbia paura?»
«Sei solo uno schifoso whakatika mezzo nauhea con l'amichetto nauhea! E non potete farmi fuori, perché da morto non pago, idiota!» Sul viso vagamente scimmiesco si disegnò un ghigno sprezzante e la lama di Aronui affondò di scatto, strappandogli un grido di dolore, paura e sorpresa.
«Ho letto che avete tre stomaci. O erano tre fegati? Non ricordo...» l'assoluta calma, la voce quasi distratta come se stesse parlando del tempo mentre pronunciava quelle parole, fu più inquietante dell'urlo dell'umanoide che rimbombava attorno a loro. «Credo sia il caso di indagare...»
«No! Fermo, no!» la frase uscì come una supplica dalle labbra sporche di sangue della creatura.
Aronui ignorò quelle parole e con il pugnale recise la carne, aprendo un taglio da cui un sangue giallognolo fuoriuscì copioso, odorando vagamente di zolfo.
Un urlo di dolore si dipanò nuovamente in quell'ambiente isolato e la paura iniziò dilagare incontrollabile dell'umanoide, premendo contro le barriere del nauhea. Waiti alzò lo sguardo su Aronui ma rimase in silenzio: sapeva che in quel momento non l'avrebbe ascoltato tanta era la furia che emanava sotto quell'apparenza calma e placida, quasi distratta. Detestava in un modo viscerale essere chiamato mezzo nauhea e la rabbia accendeva qualcosa di selvaggio e pericoloso nell'umano, qualcosa che ora non si curava più di controllare completamente.
Con l'ira lasciata libera di manifestarsi una certa follia veniva a galla e calmarlo, o fermarlo, diventava quasi impossibile: ora che non era più un mokai non aveva autorità su di lui, o meglio, era consapevole che tra loro c'era parità e che un ordine non aveva nessuna presa su di lui. A meno che non avesse ragione e non lo portasse a cambiare idea, Aronui non gli avrebbe dato retta, ma in quel caso non vedeva la necessità di fermarlo, sapeva che non l'avrebbe ucciso, non era veramente pazzo.
Lo guardò mettere la mano dentro la ferita, mentre faticava a tenergli fermo l'umanoide che si dimenava e contorceva disperatamente, urlando a pieni polmoni, fino a quando dal taglio non venne estratto un organo bianchiccio, grosso e gocciolante.
«Fegato, non stomaco, decisamente...» Aronui lo appoggiò sul petto dell'umanoide, con delicatezza «Ne hai ancora altri due, per ora... puoi ancora sopravvivere tranquillamente. Lo sai vero che potrei anche voler scoprire se sono tutti quanti brutti uguali?»
«Pagherò! Maledetto whakatika, pagherò!» gridò, ma aveva usato l'unico termine che poteva peggiorare la sua situazione.
«Vedi di farlo.» sbottò sibilando di rabbia Aronui, incupendosi visibilmente.
Mentre tagliava una grossa fetta del fegato afferrò la mandibola dell'umanoide, costringendolo ad aprirla e premendo in quella bocca il tessuto poroso e gocciolante di quello strano sangue. «Mastica» ordinò, «dicono il fegato faccia bene alla salute, sai?»
L'orrore si dipinse sul volto scimmiesco e coperto dalla sottile pelliccia, mentre cercava di sottrarsi alla presa. Ci volle tempo, ma Aronui fece ingoiare tutto l'organo all'altro, sotto gli occhi impassibili di Waiti.
A un passo dalla morte dell'alieno chiamò un medico, andandosene assieme al soldato e ripulendosi del sangue giallastro come meglio poteva.
Una volta in strada, fuori dall'edificio, Waiti fissò insistentemente Aronui fin quando l'umano non lo guardò, annoiato.
«Che c'è?»
«Hai perso la calma.»
«Perspicace come sempre...» borbottò, affondando le mani nelle tasche. «Mi infastidisce essere chiamato ibrido nauhea.»
«In un certo senso lo sei... te l'ho detto che gli innesti mutano leggermente il DNA e che spesso vengono inseriti parti di DNA nostro.»
«Devo incazzarmi anche con te?» L'occhiata offesa che l'umano gli scoccò fece sorridere Waiti, il gesto di un istante, per poi scuotere negativamente la testa.
«Non devi perdere il controllo per così poco, non è... professionale.» stirò appena le labbra in un acerbo accenno di sorriso «Era lavoro, eseguivi un compito, dovresti mettere quello davanti alle tue emozioni.»
L'umano dopo un minuto di silenzio sorpreso scoppiò a ridere.
«E da quando quello che facciamo è professionale? Il tipo doveva spaventarsi in modo da non cercare più di fregare Ferrghi e pagare, ho ottenuto lo scopo. Siamo solo impiegati della malavita che riscuotono il giusto obolo dovuto a chi ci assume. Non vedo professionalità in ciò, solo la possibilità di manifestare un po' di violenza gratuita e, a volte, rilassante.»
«Lavoravi così, facevi questo sul tuo pianeta?»
A quella domanda l'altro storse la bocca, pensieroso per qualche minuto prima di parlare.
«Più o meno, cercavo di non fare troppi morti se potevo evitarlo, attirano troppo l'attenzione. Ma mi occupavo soprattutto di trovare oggetti smarriti, preziosi o meno, e di consegnarli al proprietario.»
La strada che avevano percorso era pressoché deserta, avevano scelto di allungare il tragitto per evitare ogni tipo di possibile guaio, evitando di attraversare quartieri in cui gli impiegati di Ferrghi non erano ben visti.
Entrarono nella bottega del loro datore di lavoro, scostando con noncuranza le lunghe strisce di plastica opaca e sporca all'ingresso e trovandolo dietro al bancone, pieno come sempre di oggetti. Era una specie di rigattiere, in un certo senso... almeno ufficialmente.
Nel vederli la pelle marroncina di Ferrghi divenne quasi ocra, palesando la sua irritazione, mentre fissava i due davanti a sé.
«Io non ti ho detto di ucciderlo, Aronui!» lo accusò puntandogli contro un dito.
«Infatti non è morto, quindi avrai i tuoi soldi.» Il viso dalla pelle squamosa mostrava una certa insoddisfazione e dalla voce si percepiva il disappunto.
«Se sopravvive, vorrai dire!»
«Quante storie, gli ho solo tolto uno dei tre fegati...»
«E glielo hai fatto mangiare! Per l'uovo cosmico, tu sei pazzo!» schioccando le labbra leggermente cornee Ferrghi tamburellò le dita unghiute sul bancone. «Però non è morto, quindi credo che tu abbia fatto quello per cui ti devo pagare. Ma potrebbe morire.»
«Vuoi una scusa per non saldare?» Aronui sorrise, divertito. «Sono di buon umore, ora, quindi ti faccio una proposta. Dammi la metà dei soldi e, se entro tre giorni non è morto, l'altra metà; altrimenti mi tengo solo mezzo compenso.»
«Tutto tra tre giorni, se non è morto. Altrimenti nulla»
«Senti, Ferrghi, mi piaci e sono di buon umore, per ora. Volevi avesse paura, ora ce l'ha, e tanta. Sento ancora la puzza di come se la faceva addosso. Tre quarti ora e se sopravvive tra tre giorni l'ultima parte.»
«Ehi, avevi detto metà!»
«Quello era prima che cercassi di fottermi.» La mano dell'umano, ancora sporca del sangue giallastro, si posò sul cranio squamoso del rettiloide. «E sarò di buon umore ancora per poco. Sai che sono fedele solo a chi mi paga e solo finché lo fa, Ferrghi.»
Senza dire altro il rigattiere mise in mano all'altro una barretta e lui la fece scivolare in tasca.
«Se hai ancora bisogno di noi faccelo sapere. Non preoccuparti di avvisarmi, se sopravvive vengo a riscuotere senza che ti scomodi a chiamare.»
Waiti percepì chiaramente il divertimento e la soddisfazione di Aronui mentre lo seguiva all'esterno, verso il loro alloggio. Una volta in strada, l'umano alzò gli occhi verso le cupole di protezione, l'unica cosa che li separava dal nulla dello spazio, sospirando.
«Non ci bastano i soldi dell'affitto a questo giro.» si voltò verso Waiti, che lo fissò senza dire nulla, perplesso dal repentino cambio d'umore del compagno.
Aronui sapeva quanto l'altro fosse spiazzato e, se da una parte gli dispiaceva, non poteva fare a meno di trovare divertente il modo quasi infantile in cui a volte sembrava scoprire e vivere emozioni per lui ovvie.
«Cosa pensi di fare? Cercare di posticipare?»
«No, pensavo di convincere Galiona a farmi saldare in altro modo...»
«No.» interrompendo l'altro, Waiti disse quelle sillabe in modo così secco e duro da far sobbalzare Aronui, che non se l'aspettava.
«Non essere stupido, il sesso è una moneta di scambio come un'altra. Se ci paga casa, o meglio quel buco infestato da insetti in cui teniamo il culo, è comodo da usare.»
«Ti ho detto no.» il nauhea fissò con le iridi d'onice il compagno, sconcertato dalla sua presa di posizione «Odiavi essere solo un oggetto a palazzo e ora invece sei disposto a lasciare che chiunque lo faccia, ti usi... non capisco.»
Aronui studiò l'altro: come sempre il volto era impassibile, eppure con lo sguardo e la voce gli aveva comunicato chiaramente le emozioni che lui stesso non comprendeva.
«Lascio che mi usino in cambio di qualcosa, di un mio tornaconto. E lascio lo facciano perché lo voglio e perché io lo permetto, non perché sono costretto, che mi piaccia oppure no. Non permetto che mi tocchino la schiena, così non hanno il controllo completo su di me e continuo a essere io a decidere.» Aronui passò il braccio attorno alle spalle dell'altro, sorridendogli divertito «Sono solo affari, che sia trovare qualcosa o qualcuno, riscuotere denaro o dare il culo, finché sono io a volerlo e ad avere il controllo, non è un problema. E se non lo è per me, non deve esserlo per te.»
Si mossero verso la zona più esterna della stazione orbitante, tra abitazioni fatiscenti che ospitavano i rifiuti dei rifiuti. Strutture addossate le une alle altre creando passaggi stretti, claustrofobici e labirintici pieni di mendicanti e di elementi che, per un qualunque motivo, preferivano l'anonimato che quegli slums davano.
La stazione era un porto di collegamento per lo scambio merci, ospitava sopratutto lavoratori dei mercantili e chiunque avesse un'occupazione che poteva essere collegata alla manutenzione della stessa o delle astronavi. Equipaggio in cerca svago, marinai che cercavano lavoro, strutture ricreative e negozi che servivano chi era di passaggio e gli abitanti della stazione stessa... era una babele di elementi di ogni estrazione, cultura e origine.
A volte Aronui si era sorpreso di come le razze, per quanto aliene, ricordassero la stessa tipologia di forma evolutiva, con abitudini di base molto simili tra di loro sotto certi aspetti.
«No.» Waiti disse in tono basso ma deciso «Continuo a non capire.»
«Entriamo, intanto.» Aronui sospirò appena, precedendo l'altro dentro una palazzina dalla facciata piena di grafiti, su cui erano inchiodate delle tettoie traballanti sotto cui vivevano dei mendicanti, dividendo quel riparo con alcune puttane che aspettavano con aria annoiata qualche cliente.
Entrarono in una stanza, un solo locale munito di un bagno e di un materasso gettato per terra, coperto da qualche coperta sintetica e lisa.
«'Nui...» l'umano zittì con uno sguardo irritato il soldato, spiazzato e confuso dalla risposta che gli era stata data e dall'ennesima variazione nelle emozioni che gli provenivano dall'umano. Non capiva come potesse essere diverso, un oggetto era un oggetto, no? Essere trattati come tale che lo si volesse o perché costretti, cosa cambiava?
«Ascoltami bene, quando vuoi una cosa, per qualunque motivo, a te va bene ottenerla, no?» Waiti annuì e l'altro proseguì, cercando di mantenere il tono calmo «A me va bene essere usato come oggetto, se sono io a dettare le regole. Lo capisci?»
«So benissimo che non sei felice quando succede.»
Sapeva che l'altro era in difficoltà quando doveva capire scelte legate all'emotività. E, paradossalmente, la sua empatia gli era d'ostacolo.
«Non sono felice, è ovvio che non mi piaccia... ma mi sta bene.» mise una mano sulla guancia dell'altro «Ascolta, sono arrabbiato, lo senti, giusto? Sono arrabbiato con te, con me, con molte cose eppure allo stesso tempo sono divertito.» Waiti annuì, fissandolo sempre più confuso. «Ma le emozioni e i sentimenti non sono compartimenti stagni, uno non esclude l'altro. La mente logica mi dice che una certa cosa è la soluzione più rapida e indolore, so che posso accettarla perché è una mia scelta. Ma non per quello ne sono felice. Eppure essendo una cosa che io ho voluto mi rende allo stesso tempo soddisfatto, perché ho avuto la libertà di fare ciò che ho deciso e ogni conseguenza e beneficio sono responsabilità mia, nel bene e nel male. Non devo scopare con qualche ministro perché Rangatira me lo ha ordinato, non devo farlo perché altrimenti vengo punito, non devo farlo perché lui vuole informazioni... lo faccio per conservare la mia casa e la mia libertà. Anche se chiamare questo cesso casa è un atto di coraggio.»
«Il modo più rapido e indolore...?» Waiti prese la mano posata sul suo viso e la scostò «Quando Galliona arriverà a chiedere l'affitto sistemerai così, allora?»
«Sì. E non capisco perché ti irriti così!» borbottò sospirando «È solo sesso, Waiti. Solo... meccanica. Mica lo amo!»
«La scelta è tua, lo hai detto tu.»
«Sì, ma vuoi dirmi perché sei così infastidito?»
Ci vollero lunghi minuti in cui l'umano si spazientì e, alla fine, l'altro rispose in tono incerto:
«Non lo so.» Guardò fuori dalla piccola finestra, distogliendo gli occhi dal volto di 'Nui e proseguì «So che mi sembra sbagliato e mi irrita, che mi mette a disagio, ma non so il perché, non lo capisco, e questo mi spiazza. Non voglio allontanare ancora le emozioni, ma sono sempre più confuso ogni giorno che passa e, invece di capirle di più, succede solo il contrario. Sto cercando di fare come mi hai detto, di non bloccarle ma viverle per comprendere, ma non sta succedendo.»
«Ci vuole più tempo, non un paio di mesi... è una vita intera che vivi bloccandole e negandole, se vuoi conoscerle e capirle ci vuole tanto tempo.»
«Galliona sta arrivando.»
«Hai cambiato argomento.»
«Sì.» Aronui sorrise e fissò l'altro con aria divertita, ogni irritazione svanita.
«Sai, Waiti... non sembri neanche più tu a volte, ma mi piaci lo stesso.»
L'altro lo fissò, senza rispondere, chiedendosi cosa intendesse Aronui e percependo il divertimento dell'altro venato di una specie di tenerezza che gli sfuggiva completamente.
Perché tutto quello?, si chiese in un momento d'irritazione. Perché le emozioni erano un intricato labirinto che si ripiegava e nutriva di se stesso a quel modo?
Un deciso bussare alla porta e Aronui aprì.
«Galliona, che piacere!» Sottile, alto e agile, simile in tutto e per tutto a un umano a parte le iridi dalla pupilla orizzontale e le orecchie appuntite e leggermente biforcute, l'altro entrò.
«Ne sono certo. Sono qua per l'affitto.» tese la mano e le sei dita si mossero in un chiaro cenno.
«Non li ho, non tutti... e se ci mettessimo d'accordo in altro modo?»
Lo sguardo di quelle iridi di un vivido arancione divenne interessato, mentre gli occhi si posavano prima su Aronui con una luce diversa, poi su Waiti.
«Spiegati.»
Con un sorriso complice 'Nui si avvicinò all'altro, fermandosi a pochi centimetri dal suo volto e posandogli la punta delle dita sul viso.
«Ho notato come mi guardi, e se stavolta saldassimo la cifra con un po' di... tempo solo per te?»
«Sei bello, ma se mi offri un pagamento simile voglio lui.» Alzò gli occhi su Waiti, indicandolo con un cenno del mento.
«No.» Aronui e Waiti lo dissero assieme, e Galliona rise.
«Allora i soldi, oppure sai dove è la porta. La notte in strada non si sta poi così male, mi dicono.»
Waiti strinse le labbra, sentendo emozioni che in quel momento non voleva, e non poteva, gestire, salire con prepotenza in lui. Con una decisione repentina le chiuse fuori, fissando Aronui per un lungo istante.
Stare nelle vie significava per l'altro toccare continuamente superfici cariche dei ricordi di menti altrui, essere entrambi esposti ai pericoli e neppure lui poteva vegliare ininterrottamente.
«Va bene.» disse il nauhea dopo un attimo di riflessione, la mente sgombrata da tutto quello che non era fredda logica. Lo sguardo di Aronui si velò ma, dopo aver incontrato quello del compagno, anche se di malavoglia annuì.
«Direi che allora posso riscuotere.» Galliona sollevò, soddisfatto, un angolo delle labbra sottili e Aronui senza guardarlo uscì dalla stanza con il volto duro come pietra, lasciandolo solo con Waiti. Tornando a guardare il nauhea, una volta soli, gli si avvicinò posando una mano sul suo volto. «Un nauhea, uno vero, fuori dai confini del suo impero e tutto per me. Direi che è una cosa di cui posso vantarmi: non conosco nessun altro che ha potuto fare questo con uno di voi.»
Si avvicinò, posando le labbra su quelle dell'altro e stringendogli i fianchi.
«Solo per stavolta, Galliona, non farci l'abitudine.» Il tono glaciale di Waiti non sembrò minimamente impressionare l'altro.
«Allora vedi di non essere rigido come un morto, meno mi piace, meno vale la scopata. Credevo fosse ovvio.»
«Come vuoi te.»
Waiti ricambiò il bacio, lasciandosi spogliare e accarezzare, passando a sua volta le mani sul corpo dalla pelle nera come la notte dell'altro. Chiuse gli occhi, mentre le sue dita sfioravano il crine dello stesso vivido arancio delle iridi, legato in una sottile treccia che scendeva lungo la schiena.
Fare le cose perché le si sceglieva non era meno... doloroso, pensò.
Doloroso, quella la parola che balenò nella mente di Waiti a quel pensiero, assieme all'espressione di Aronui. Scacciò tutto, sentendo un nodo salirgli nel petto e i muscoli contrarsi, pieni di emotività.
Non poteva permetterselo, non in quel momento.
Ormai nudo lasciò che l'altro lo guardasse. Quello sguardo era curioso, delicato, eppure lo mise a disagio: essere studiato come un oggetto, valutato, osservato, stimato, cercando pregi e difetti.
Quello accadeva ad Aronui? Provava quel disagio, quella strana vergogna che percepiva ai confini delle barriere che aveva eretto?
«Cosa sono? Disegni sulla pelle?» sfiorando con i polpastrelli gli innesti del nauhea, Galliona domandò, curioso.
«Sono... qualcosa del genere.»
«Belli.» Galliona li accarezzò, sentendo sotto il suo tocco il lieve rialzarsi della pelle in concomitanza con quelli che pensava essere dei decori, tornando poi a dare attenzioni al resto di quel fisico statuario e perfetto. Passò ogni centimetro del corpo dell'altro, sfiorando innesti e cicatrici, curioso e affascinato.
Infine, anche lui nudo, lo spinse con delicatezza sul materasso, sputandosi sulle dita e spingendole contro l'apertura di Waiti con decisione.
Irrigidendosi per un istante il nauhea lo fissò con le iridi nere velate di fastidio, a un passo dallo scostarsi e colpire Galliona si impose la calma, lasciandolo fare e allontanando ancora una volta ogni emozione.
Si era reso conto che, una volta che si iniziava a lasciare loro spazio, era difficile tenerle a bada e doveva continuamente usare le tecniche di controllo che si insegnavano ai bambini che iniziavano il percorso di studi. Chiuse gli occhi, concentrandosi sulla propria respirazione e imponendosi di non allontanare l'altro, di non sovrapporre i ricordi a quello che accadeva nel presente e di non lasciarsi sommergere da ciò che premeva ai margini di quelle mura mentali che mai, prima, aveva percepito tanto fragili e vicine a fallire nel loro impiego.
Percepiva le emozioni dell'altro, impossibili da tenere del tutto fuori a causa dell'intimità: il contatto aumentava le percezioni empatiche in modo vertiginoso e, da quando aveva iniziato ad abbassare le proprie difese psichiche, era diventato impossibile tenerle del tutto fuori se c'era unione fisica.
Ondate di un desiderio curioso, gentile, affamato eppure delicato gli giunsero, insinuandosi in lui e risvegliandolo. Era come uno specchio che reagiva in modo speculare a quello che percepiva, in un certo senso.
Detestava la contaminazione che la percezione dell'emotività altrui aveva in lui, da quando aveva iniziato a seguire il consiglio di Aronui e viverle capire cosa era davvero suo, a volte, era quasi impossibile.
Al tocco dell'altro Waiti si voltò docilmente, lasciando che entrasse in lui. Con un movimento delicato Galliona iniziò a premere e lentamente si mosse, approfondendo il contatto e assaporando ogni sensazione. Sentiva la carne del nauhea stringere, invasa, e un gemito di piacere roco e profondo gli scaturì dalle labbra.
Portò la mancina sul sesso di Waiti, massaggiandolo, mentre il piacere iniziava a percorrere il corpo del nauhea facendolo rabbrividire.
Waiti ansimò leggermente, mentre i movimenti attenti che venivano impressi sul suo corpo gli donavano un piacere quasi inaspettato, la carne che lo riempiva lo stimolava con attenzione e in preda a quelle sensazioni si lasciò andare alla lussuria, lasciando che il desiderio dell'altro filtrasse completamente in lui in modo da non pensare, da cancellare quello che stava venendo a galla nella sua mente.
Non voleva pensare a Rangatira, non voleva pensare e basta.
Si abbandonò a quelle attenzioni, dimenticando tutto se non la sensualità dei gesti dell'altro, il tocco delle mani nere che risvegliavano i suoi sensi e il piacere che l'invadeva.
Non seppe quanto Galliona rimase con lui, poco più di un'ora, probabilmente, stando alla luce artificiale che simulava il giorno e la notte della stazione. Avevano concluso più volte, con Galliona che sembrava insaziabile nella sua ricerca di piacere, come se il poter possedere in ogni modo a lui congeniale un nauhea lo stimolasse al di là di ogni aspettativa. Aveva dato fondo a ogni sua fantasia, o quasi, fino a Infine Waiti si trovò sotto, le caviglie posate sulle spalle dell'altro con il peso dell'altro che gravava completamente su di lui e il respiro leggermente affannato che gli accarezzava l'orecchio in quella posizione decisamente scomoda.
«Potreste pagare sempre così.» la proposta fece irrigidire Waiti, che voltò la testa trovandosi il sorriso dell'altro a una distanza ravvicinata.
«Preferirei di no. Questa era un'emergenza, Galliona.» si mosse, cercando di liberarsi da quell'abbraccio, distendendo le gambe e iniziando a scivolare da sotto il corpo dell'altro che, però, lo strinse a sé, impedendogli di allontanarsi. Guardando l'altro con ferrea decisione proseguì «Una situazione spero unica e irripetibile.»
«Non dirmi che non ti è piaciuto!» il tono era offeso e le braccia che lo stringevano si chiusero ancora di più, aumentando l'irritazione del soldato.
«Galliona, non sono una puttana, se il debito è saldato ti consiglio di mollarmi.»
«Come siamo suscettibili e permalosi!» ma la stretta scomparve e Waiti si sedette sul materasso, la schiena contro la parete. «Dai, non dirmi che non ti è piaciuto!»
«Il debito è saldato oppure no?» il tono assolutamente gelido fece sospirare Galliona, che alzò gli occhi al cielo ed emise uno strano suono simile a un miagolio di disappunto.
«Un disonore, per me e la mia razza, i migliori amanti del quadrante e non ti è piaciuto!» borbottò.
«Doveva piacere a te, Galliona.» L'occhiata dell'altro era piena di disappunto, poi però le iridi divennero luminose e divertite.
«Sì, a me è piaciuto, e so che è piaciuto anche a te... è impossibile il contrario!» finì di vestirsi e se ne andò, soddisfatto.
Waiti, immobile sul materasso, vide Aronui entrare dopo qualche minuto.
Un'ondata di colpa lo assalì e si rese conto che non era un'emozione dell'altro, ma sua: era parte di quel grumo emotivo e incomprensibile che aveva tenuto lontano, ma non c'era solo quello...
Colpa, rabbia e disgusto emersero prepotentemente assieme a una vergogna sottile e viscerale.
Si prese la testa tra le mani, cercando ancora di scacciarle, respirando e liberando la mente, ma sembravano aver messo radici in lui. Le sue barriere erano una diga in cui era fiorita una crepa da cui lentamente si diramavano nuove fessure, distruggendo inesorabilmente quella barriera.
Alzò lo sguardo e incontrò quello dell'umano, che capì immediatamente che qualcosa non andava.
«Waiti?» chiese piano, mentre gli si sedeva accanto. «Cosa c'è?»
«Non riesco a scacciarle...» con voce soffocata e venata di sofferenza il soldato rispose, affondando sempre più forte le dita tra i propri capelli, afferrandoli a ciocche, il respiro che mancava di trovare l'equilibrio della calma. «Le emozioni non se ne vanno...»
«Cosa provi?» la gentilezza della voce e il tocco delicato con cui aveva iniziato a districare le dita del compagno dai capelli aiutarono Waiti a focalizzarsi, dandogli qualcosa che non fossero le emozioni a cui aggrapparsi.
«Era, è, non lo so...» prese un profondo respiro. «Lo ho scelto, ma ho come la sensazione di aver sbagliato, anche se era la cosa che ci serviva, quella giusta da fare. Non lo so, non capisco.»
«Non è solo questo, vero?» il nauhea scosse la testa e lui proseguì. «Ma non riesci a capirlo e a parlarne, giusto?» stavolta in capo dell'altro si mosse in un cenno d'assenso.
Aronui sospirò, stringendo appena a sé l'altro e chiedendosi cosa potesse fare. Non si era assolutamente aspettato che Waiti ne uscisse tanto sconvolto, ma accettare di essere solo un qualcosa da usare, e lasciare che l'altro facesse i suoi comodi, sembravano averlo scosso in un modo che capiva e che non si aspettava assolutamente nell'altro. Era certo che fosse l'incapacità di gestire le emozioni ad averlo ridotto in quel modo, più che l'evento in sé.
«Mi dispiace, davvero.»
«Non devi, l'ho scelto io. Non funziona così?» l'umano sorrise sghembo, muovendo il capo in un gesto che non era né una negazione, né un'affermazione.
«Non proprio, sai? Tu lo hai scelto senza sapere davvero a cosa andavi incontro.» le iridi viola di 'Nui si posarono su quelle dell'altro, calamitandole «Io so cosa vado a fare, come reagire e agire... per me fare la parte dell'oggetto è solo una noiosa maschera, ormai... per te no. Sono anni che interpreto quel ruolo, so come difendermi. Tu no... ormai io sono una puttana professionista che sa estraniarsi.» un sorriso sardonico e venato di autoironia danzò sul volto delicato di Aronui. «Ammetto che a volte fa male anche a me, ma se ho imparato una cosa, nei primi tempi in cui sono tornato a Taone Nui, è che questo non è importante, non cambia nulla di quello che conta davvero.»
«Cosa è successo i primi tempi che sei tornato di nuovo nella tua città?» Stringendo le labbra e prendendo un respiro profondo, vedendo che l'altro si stava calmando e che le sue parole sembravano aiutarlo, decise di raccontare. Non gli aveva mai parlato di quello, non ne aveva parlato mai a nessuno in realtà, ma se serviva a fargli passare quella crisi emotiva poteva anche fagli sapere quello che gli era accaduto.
«Arrivato di là ho scoperto che ero prezioso. La merce esotica piace e, siccome ero troppo stanco per oppormi, mi hanno catturato e venduto a un bordello.» prese la mano di Waiti e la posò all'entrata cervicale che aveva sul retro del collo, facendola scivolare con attenzione per non causarsi dolore sui bordi metallici dei fori per gli spinotti. «La tecnologia del mio mondo si basa sulle matrici: sono insiemi meccanici dall'aspetto di un minerale che si collegano alla nostra mente; ne esiste un tipo illegale che si chiama matrice di controllo. Viene inserita nella cavità interna dello spinotto e programmata, se ti ribelli causa dolore. È insopportabile, sembra che il fuoco ti divori e ti consumi e finché non obbedisci, finché non decidi di cedere, continua. Me ne hanno messa una e la mia tanto sognata libertà è andata in fumo. Per fortuna non mi hanno mai fatto troppe domande, volevano solo fare soldi con me, non scoprire qualcosa di me; credo sia per quello che non hanno mai capito che non ero solo un ragazzino dal faccino delicato.» Sbuffò al ricordo, ripercorrendo con la memoria i primi tempi nella casa di piacere: il dolore, la rabbia e la disperazione «Una delle ragazze che lavorava lì da anni un giorno vedendomi particolarmente... giù... ha deciso di parlarmi. Sapevano venivo dal mondo degli invasori, ero un mostro per loro, un estraneo. Non mi aveva mai parlato nessuno solo per conoscermi o scambiare qualche parola, l'unica cosa che si prendevano la briga di dirmi erano ordini o insulti.» All'epoca la solitudine causata da quel trattamento, dall'essere alieno nel suo mondo, l'aveva segnato profondamente.
Si era fatto delle aspettative, credeva davvero di trovare una casa, un rifugio... invece la realtà era quella: alieno tra il popolo come tra i nauhea.
«Cosa era successo?» Aronui alzò un sopracciglio, ma si strinse nelle spalle.
«Se proprio lo vuoi sapere, era stata la prima volta che mi avevano spacciato per donna. Odio come sia facile farmi passare per femmina, ma ai clienti piaceva un sacco questa mia qualità e avevano iniziato la sera prima a vestirmi e a ordinarmi di agire in modo da non far capire il mio sesso. Sai quanto la cosa mi dia noia.» Waiti annuì e l'umano continuò. «Bene, vedendomi disperato e furioso, in realtà urlavo come un maiale in preda al dolore perché avevo cercato di togliermi la matrice di controllo, è venuta in mio soccorso. Mi ha detto che non è importante quello che possono pensare di me i clienti, o come apparivo ai loro occhi. Cosa facevo perché lo volevo o perché costretto: nulla poteva cambiare quello che ero davvero, se io stesso non volevo accadesse. Le cose per me importanti, nella mia anima, non potevano essere toccate se io non lo permettevo...
Mi sentivo disperato, desideravo la libertà e invece ero finito una prigione anche peggiore nel mio stesso modo. Non pensavo di trovare quella che poteva essere la mia famiglia, o qualcuno che mi riconoscesse e a cui fossi mancato... ma mi sono trovato a essere un mostro per la mia stessa gente. Non importava che non fossi io ad aver voluto quello che mi era accaduto: ero stato contaminato dai misteriosi nauhea, ero sporco come loro.»
Una nota amara pervase la voce di Aronui e Waiti gli strinse la mano, sentendo in quelle parole uno specchio di qualcosa che, simile, albergava in lui.
«Cosa è importante?»
«Me stesso. Il mio nome mi è stato dato da Rangatira, non ho ricordo di quello vero, ma è comunque mio. Io sono Aronui, sono fedele a me stesso e a quello che davvero sono, il mio nucleo, la mia anima, chiamala come vuoi, mi appartiene: è mia e solo mia. E se permetto a qualcuno di usarmi, in realtà possiede solo una parte di me che ho messo in prestito. Sono lo stesso io, e nulla di quanto mi si possa fare può cambiare questo fatto. Anche se mi togliessero di nuovo la memoria io sarei me stesso, nel profondo. Sarei sempre Aronui.»
«Essere se stessi. Fedeli a quello che si è...» Waiti mormorò quelle parole, fissando il soffitto sporco, la nuca appoggiata la muro dietro di lui nascosto da un telo sintetico che copriva la superficie sporca.
«Già.» Aronui sospirò, si voltò e baciò con gentilezza l'altro, stringendosi a lui. «E non ci pensare a Galliona... beh...»
«Sono un nauhea. Qua oltre i confini dell'impero è tanto se non cercano continuamente di ammazzarmi, no?» chiuse gli occhi, il calore delle labbra dell'altro ancora vivo sulle sue. «Sai, credo di amarti.» disse in un soffio, aprendo le palpebre e fissando con le iridi d'onice quelle dell'altro.
«Non sono cose che si dicono alla leggera.» Aronui sospirò, sorridendo, sentendo la sua anima dare un guizzo di pura gioia. «Non sai neanche cosa vuol dire, non davvero... diciamo che ti sto simpatico. Potrei prendermela a morte se poi tu cambiassi idea. Quindi se tra un po' lo penserai ancora, quando saprai davvero che vuol dire, me lo ridirai.»
«E se non saprò mai cosa vuol dire davvero?»
«Allora vorrà dire che non ami me, o che non ami e basta.»
«Come si scopre cosa vuol dire amare?»
«Di solito si capisce quando perdi quello che ami.»
«Sembra una cosa poco piacevole, allora, l'amore. Me ne avevi parlato diversamente.» Waiti incrociò lo sguardo immoto dell'altro, profondo come un abisso e luminoso come un sole.
«È entrambe le cose. Piacevole e spiacevole, dà felicità e tristezza, dà e toglie. Ma soprattutto dà. È quando metti il bene di un altro davanti al tuo, quando non sai il perché, ma ami, quando sapere che è con te ti da la forza di andare avanti qualunque sia l'ostacolo.»
«Allora penso sia amore.»
«Sarebbe bello, ma aspetta a esserne sicuro, Waiti. Potresti sempre esserti sbagliato, non dirmi cose così, se non ne sei certo.»
«Quando ne sarò sicuro al di là di ogni dubbio, allora te lo dirò di nuovo.»
«Allora aspetterò che tu sia certo.»

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