-2- Jako

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La dodicesima cerchia, l'ultima, era un ammasso di immondizia, umana e non.

Aronui camminava aderente a quello che rimaneva del perimetro esterno di un edificio nei pressi dell'ultima barriera. Sentiva la pelle quasi formicolare tanto era teso: lì, incontrare qualcuno pronto a uccidere per piacere personale era il rischio minore e, probabilmente, anche la cosa più piacevole che poteva accaderti. Nella dodicesima la barriera era frammentaria, scostante, e si vedeva chiaramente la sua luce pallida lungo le linee di frattura energetica e, nei punti dove veniva a mancare, si scorgeva il mondo al di fuori della città.

Verde, lussureggiante, tranciato qua e là dalle fluttuazioni che lasciavano cicatrici che tagliavano anche le montagne. Era pericoloso e impossibile da abitare e rischioso da attraversare. Le continue fluttuazioni della realtà avevano reso il mondo, fuori dalle barriere delle città, estremamente instabile: un momento prima c'eri, quello dopo, se ti andava bene, eri in un altro posto.

Ricomparivi, se accadeva, fatto a pezzi, smembrato da quelle forze.

Borbottò un'imprecazione quando il sibilo inconfondibile di una parte della barriera che cedeva lo raggiunse. Si premette ancora di più contro quei ruderi, abbassandosi e guardandosi attorno con occhio attento.

Doveva solo trovare quella fottuta scatola e riportarla indietro.

Sapeva perfettamente cosa conteneva, nonostante il cliente avesse addotto a motivi strettamente sentimentali aveva letto, toccando la sacca da dove era caduta nella fuga, il suo reale contenuto.

Aveva mantenuto un'espressione neutrale, badando a non far trapelare assolutamente nulla.

Lo aveva mandato a recuperare delle pietre matrici rosse, di livello alto. Pietre di trasmissione nuove e mai sintonizzate, almeno dieci. Sul mercato nero valevano una fortuna: erano adatte sia per essere usate come nucleo di trasmissione di circuiti più grandi e complessi, sia per essere rese matrici di controllo illegali.

Ma il suo compenso era abbastanza alto da spingerlo a inoltrarsi fin lì e, inoltre, non provava nessuno scrupolo per l'ovvio uso che ne sarebbe stato fatto. Non sprecò neppure un pensiero per quei poveracci a cui sarebbe stata innestata la matrice di controllo, non era un problema suo.

Era stato Jako a metterlo in contatto con il cliente; era più di un mese che non si vedevano e, in cambio di quel lavoro, aveva voluto una parte del profitto: rimaneva il solito strozzino che non si lasciava mai scappare una percentuale.

Chiuse gli occhi, accantonando gli altri pensieri e concentrandosi sulle immagini sfuocate che aveva percepito dal sacco: si era impigliato in quella zona e la stoffa si era lacerata nella corsa. Quindi le pietre dovevano essere lì, nelle vicinanze.

Aronui dubitava che qualcun altro le avesse trovate, nessuno sano di mente faceva passeggiate scavando tra le macerie, in quella cerchia. Nessuno sano di mente rimaneva lì, in effetti.

Solo i derelitti, quelli resi folli dalla droga e che, a forza di farsi di oni, perdevano ogni contatto con la realtà. Oppure i mutanti rispediti indietro dai nauhea, ma era un altro discorso, quello.

Il suono della barriera che vacillava lo raggiunse di nuovo e con attenzione si guardò attorno; uno strano brivido d'inquietudine lo attraversò, gelido, e sapeva che ignorarlo poteva essere rischioso.

Troppo spesso quelle sensazione l'avevano salvato.

Si mosse basso, attento a individuare la sporgenza dove la stoffa si era impigliata e finalmente la trovò, a pochi metri di distanza. Con i sensi tesi, all'erta, esaminò lo spazio che lo separava dal piccolo tesoro: sembrava non ci fosse nessuno e si mosse, arrivando a toccare il punto dove la stoffa si era lacerata.

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